
Aldo Putignano ripercorre il Mondiale del 1982 tra interessanti dettagli e ricordi personali, in un libro molto coinvolgente e molto preciso. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Risulta più emozionante aver vissuto il Mondiale da ragazzino o averlo ripercorso con la competenza attuale nel 2022?
Ricordo il Mondiale di Spagna come un’esperienza straordinaria e di rara intensità: da bambini tutto si amplifica e questo ha senz’altro contribuito, ma riviverla mi ha fatto sentire emozioni profonde. D’altronde quante gioie, quante cose importanti disperdiamo nel corso della vita per l’ottusa abitudine del tempo ad andar sempre avanti? Fermarsi a coltivare un ricordo ti forma e ti dà senso. Nulla paga quella gioia infantile, ma sono grato al libro che mi ha portato a comprenderne appieno il valore.
Al di là della vittoria italiana come giudichi il livello del Mondiale spagnolo? É corretto considerarlo una delle edizioni più belle di sempre?
Sono perfettamente d’accordo: in Spagna si sono ritrovati non solo alcuni fra i più grandi calciatori di sempre, ma in ogni nazionale vi era un calciatore simbolo, uno cioé che nel suo paese ha fatto la storia, da Maradona a Rummenigge, da Platini a Boniek, da Zico a Keegan, e il cileno Figueroa, gli algerini Madjer e Belloumi, il camerunense Milla, e tanti altri. A mio avviso – anche per la partecipazione estesa – è stato il primo Mondiale dell’era moderna, e forse anche il più bello in assoluto.
L’Italia sembra essere stata spinta dal desiderio di rivalsa di molto suoi componenti: é stato questo a fare la differenza per gli azzurri?
Da quanto mi hanno raccontato i giocatori che ho intervistato, credo che il silenzio stampa sia stato determinante, e anche per alimentare questo senso di ribellione a un trattamento che tutti loro avvertivano come ingiusto. Con quest’atto a suo tempo clamoroso hanno sfidato l’opinione pubblica e questo ha dato loro ulteriore forza, quel qualcosa in più in termini di consapevolezza umana, non solo sportiva.
A tal proposito ti chiedo se il successo calcistico abbia rappresentato anche una rivalsa sociale per un paese che proveniva da anni duri.
Sicuramente. In un’Italia disgregata e ferita, la vittoria degli azzurri ha segnato una svolta, restituendo al Paese quella fiducia che andava smarrendo. Nessuno credeva in loro, ma loro ci credevano e hanno dato a tutti una bella e salutare lezione. Il mondo del calcio, per altro, veniva dal trauma del calcioscommesse, e solo una simile botta d’entusiasmo avrebbe potuto rimetterci in corsa e darci tanto slancio: dovremmo essere grati a persone come Bearzot, che rappresentano il meglio di noi italiani, e invece di lui si parla ancora troppo poco, lo trovo imperdonabile.
Il clima mite della Galizia ha effettivamente favorito gli azzurri nel risparmiare energie per la seconda parte del torneo?
Ecco, proprio Bearzot, in un’intervista di pochi giorni prima dell’inizio del Mondiale, affermò che il clima avrebbe fatto la differenza, se si aveva la lucidità di sfruttarne al massimo i vantaggi. Mi ha colpito quanto mi ha raccontato Giampiero Marini: l’Italia, fin dal suo arrivo in Spagna, ha organizzato la preparazione atletica al fine di arrivare alla massima forma per le battute finali. Insomma, ci credevano, altro che comparsata, erano andati in Spagna per vincere e hanno vinto, guidati da uno staff di altissima competenza, un grande stratega e da un cuore senza confini.
La partita della svolta per gli azzurri é stata più quella con l’Argentina o quella con il Brasile?
Domanda difficile: la prima ha alimentato la seconda e la seconda ha creato i presupposti per la vittoria finale. Ma la vittoria con il Brasile è stata un’impresa epica, credo meriti la massima considerazione. Abbiamo battuto una squadra di fenomeni, giocando da fenomeni: sono cose che lasciano un segno.
Come sarebbe andata con la Francia in un’ipotetica finale? Platini e compagni erano superiori alla Germania Ovest?
Li avremmo massacrati. In quel momento nessuno poteva battere l’Italia di Bearzot. Certamente gli strascichi di una semifinale così combattuta si sono fatti sentire (era successo anche a noi in Messico, privandoci di fatto della possibilità di giocarci al massimo la nostra finale) ma dopo aver battuto il Brasile eravamo diventati invulnerabili. Non credo che la Francia fosse superiore alla Germania, giocava meglio, certamente, ma aveva ancora poca esperienza di vertice e in certe competizioni il talento non basta: la Francia di Spagna 82 mi ricorda l’Italia di quattro anni prima in Argentina, fortissima ma mentalmente non ancora pronta.
A 40 anni di distanza cosa provi nel pensare al Mondiale di Spagna 82?
Una gioia infinita. Tante esperienze più recenti, sportive e non, mi sembrano curiosamente molto più lontane: è come un segnalibro fissato nella mente, ed è stato magnifico tornare a leggere quelle pagine gloriose. Anche per questo ho voluto raccontarlo, è un’esperienza da vivere e la scrittura, a volte, è una macchina del tempo. Potete non crederci, ma provate a salirci: fa miracoli.
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