Intervista: Vittorio Pozzo. Il Padre Del Calcio Italiano

Dario Ronzulli ci regala un bel ritratto del leggendario Vittorio Pozzo, mettendone in luce le virtù ed i profondi valori umani, creando allo stesso tempo validi scenari del contesto della sua lunga esperienza sulla panchina della nazionale italiana. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Come nasce l’idea del libro e come hai organizzato copioso e brillante lavoro di ricerca?

L’idea nasce da una domanda che mi sono sempre chiesto: come mai ad un uomo così importante per il calcio italiano come Vittorio Pozzo nessuno, a parte Mauro Grimaldi, ha mai dedicato un lavoro letterario? Così quando l’editore mi ha chiesto un tema su cui sviluppare un libro ho subito pensato a Pozzo anche per provare a risolvere l’interrogativo. Una risposta unica non l’ho trovata ma in compenso ho scoperto sulla figura calcistica e sulla persona tantissimi elementi che vanno ben oltre le conoscenze che avevo. In questo è stato essenziale andare all’Archivio di Stato di Torino dove sono raccolti tutti i documenti che Pozzo, accumulatore seriale, ha lasciato nella sua ultima abitazione. Oltre a ciò, ho letto tutti gli articoli che il Pozzo giornalista ha scritto per La Stampa, i giornali dell’epoca, visionato quei pochi filmati a disposizione delle partite, attinto dall’autobiografia di Pozzo (che come tutte le opere del genere va presa con le molle). Insomma nonostante la storia abbia quasi 100 anni di materiale a disposizione ce n’è parecchio.

A tuo parere la dizione “uomo d’altri tempi” é appropriata per valori e comportamento? Dove risiedeva a tuo parere la sua eccezionalità?

È assolutamente appropriata. Pozzo è stato senza dubbio un Uomo dell’Ottocento per quelli che sono stati i suoi valori e i principi morali che lo hanno accompagnato per tutta l’esistenza. Ma allo stesso tempo, e qui sta l’eccezionalità della sua persona rispetto alla stragrande maggioranza dei suoi coetanei, è stato uno spirito curioso, un viaggiatore instancabile, un affamato di conoscenze non solo calcistiche, in definitiva un Uomo di Mondo a cui le quattro mura di casa stavano spesso strette. C’è poi un aspetto che lo pone in netta controtendenza rispetto alla sua epoca: per lui i calciatori dovevano essere retribuiti, essere dei professionisti e considerati come tali. Non tutti la pensavano così, anzi.

Quale é stata la sua più grande dote tattica e quale la sua più ammirevole virtù in termini di personalità?

Pozzo ha capito presto che la Nazionale non poteva essere trattata come un club, pur avendo a disposizione tempi di allenamento per cui oggi i commissari tecnici venderebbero l’anima. Poche ma efficaci indicazioni permettevano di avere idee chiare in campo e allo stesso tempo di inserire volti nuovi qualora ce ne fosse stato bisogno. Per esempio quando dovette affrontare l’Austria il 22 febbraio 1931 senza una mezzala rispolverò il genoano Elvio Banchero, che non giocava in Nazionale da tre anni; era  una gara importante, molto sentita ed era Banchero l’uomo che serviva a Pozzo, inserirlo in squadra diventò molto semplice perché il sistema era collaudato. Se poi devo pensare ad una caratteristica eccezionale soprattutto rispetto ad altri ct indico la non riconoscenza: dal Mondiale ’34 a quello del ’38 Pozzo rivoluzionò la rosa, convinto che servisse molta gente fresca, cosa che Bearzot, Lippi e in parte Mancini non hanno saputo o voluto fare.

La sua insistenza nell’utilizzare il Metodo é più da leggere come sicurezza in ciò che meglio conosceva o chiusura mentale verso il progresso tattico?

A mio modo di vedere più la prima. Dai suoi scritti emerge come la sua mente non fosse preclusa alle innovazioni tattiche ma che prima di adottarle voleva studiarle nel dettaglio per comprendere se e come fossero utilizzabili dal parco giocatori che aveva a disposizione. Del Sistema che ad un certo punto nella Serie A diventa imperante scrisse che non poteva essere dato ai giocatori come una pillola da ingoiare sperando che facesse subito effetto.

A quale giocatore era più affezionato sia in termini di personalità che tecnici?

Per quanto riguarda l’aspetto calcistico Pozzo ha avuto i suoi punti fermi: Ferraris IV, per esempio, oppure Monti o ancora Andreolo. Tutti giocatori, non a caso, accomunati da una grande vis pugnandi. Però non bisogna pensare che Pozzo guardasse solo alla tempra e non alla tecnica: Meazza, Orsi, Mazzola sono stati elementi imprescindibili nelle sue nazionali. Tuttavia se la mettiamo su un piano strettamente umano è impossibile indicare un singolo giocatore nel cuore del Commendatore più degli altri: ognuno di loro, indipendentemente dal numero di presenze in azzurro, è sempre stato seguito e coccolato.

Qual era la sua opinione sul fascismo, fermo restando che non prese mai la tessera e mai mostró vicinanza a Mussolini? Era infastidito della maestosa propaganda che accompagnava la nazionale azzurra?

Pozzo non si può definire certamente un antifascista, almeno fino al 1938. Le leggi razziali fanno aprire gli occhi a molti più italiani di quanti possiamo immaginare, compreso il Commendatore che non partecipa al voto per escludere gli ebrei dalla FIGC. Da quell’episodio avvia un’opposizione al regime non certo in prima linea ma comunque sostanziosa fino ad arrivare all’aiuto a partigiani ed ebrei nella sua Ponderano durante la seconda guerra mondiale. Come molti liberali vedeva di buon’occhio la presenza di un governo con l’uomo forte al comando ma non amava né i sacrari né tantomeno la violenza squadrista. Il non voler essere pagato per il ruolo di commissario tecnico è il modo che trovò per non dipendere dalle bizze dei gerarchi e funzionò: la propaganda non poteva certo evitarla ma l’accettava perché poteva lavorare come diceva lui senza intromissioni.

Come mai, a tuo parere, Ferruccio Novo lo osteggiò? Gelosia o timore che i meriti dei successi potessero ricadere su di lui?

Mi sono fatto l’idea che il rapporto tra i due si sia deteriorato senza che ci sia stato un vero motivo scatenante. Con il passare del tempo Novo ha preferito affidarsi ai consigli di altri collaboratori mettendo in secondo piano Pozzo probabilmente perché il presidente del Torino temeva che il Commendatore fosse una figura troppo ingombrante da gestire e che potesse prendersi tutti i meriti. Altrettanto probabile che i due abbiano discusso pesantemente se Novo arrivò quasi a sabotare il lavoro del Commissario Unico e del Giornalista de La Stampa fino ad estrometterlo dagli incarichi federali quando diventò plenipotenziario del calcio italiano.

Che eredità ha lasciato Vittorio Pozzo al calcio italiano?

Le lezioni di buon senso che ci ha lasciato sono tante, dalla necessità di una struttura organizzativa snella e non confusionaria al pensare al bene comune e non a quello del singolo o dei suoi sodali. Ma qualunque eredità vogliamo trovare nell’opera di Pozzo è evidente che il calcio italiano non l’ha fatta sua. Anzi, l’aver messo il suo allenatore più vincente in un angolo della memoria rispolverandolo di tanto in tanto la dice lunga su quanto Pozzo non sia considerato un punto di riferimento.

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