
Antonio Barillà e Renzo Parodi ricordano e corredano con competenza tutti gli allenatori che si sono avvicendati sulla panchina del Milan, regalandoci un libro denso di contenuti, aneddoti e spunti interessanti. Ne abbiamo parlato con gli autori.
Il libro è caratterizzato da un filo conduttore che collega ogni profilo; come nasce tale esigenza?
Il filo conduttore ovviamente è la personalità degli allenatori in rigoroso ordine cronologico. Attorno a loro ruotano dirigenti e le imprese propriamente calcistiche dei campioni che hanno indossato la casacca rossonera. Non solo. Si è cercato, per quanto possibile, di inserire il tutto nel processo dinamico della storia.
Qual è l’allenatore più sottovalutato della storia rossonera a vostro parere?
Al termine della seconda guerra mondiale Bologna e Milan si scambiano due attaccanti: Puricelli, dopo aver contribuito in maniera determinante alla conquista di due scudetti per i felsinei, passa al Milan mentre veste la maglia rossoblu Gino Cappello. Con l’attaccante uruguaiano il Diavolo intraprende una nuova filosofia calcistica, basata su un gioco offensivo sempre più spumeggiante, per poi cedere la
maglia numero nove a Gunnar Nordahl. Come allenatore subentra a Bela Guttmann, un tecnico davvero talentuoso, ma che non riesce a concludere il campionato a causa di dissapori con la dirigenza. Il Milan è lanciato verso la conquista dello scudetto e Puricelli ha il merito di non disperdere la vocazione spettacolare della squadra: determinante l’apporto di quel fuoriclasse suo connazionale che corrisponde al nome di Schiaffino.
Lo scudetto comunque arriva e sarebbe stato bissato anche l’anno successivo (1956) se il Milan non avesse incontrato sulla sua strada la Fiorentina più forte di sempre. Ottimi anche i risvolti europei: nella
prima Coppa dei Campioni viene eliminato solo dal Real Madrid, mentre si aggiudica la Coppa Latina. L’anno seguente Puricelli lascia la panchina a Gipo Viani. Ci pare che Puricelli venga ricordato come calciatore di indubbie qualità realizzatrici, mentre la sua carriera come allenatore stenti a decollare fra due personalità troppo forti come Guttmann e Viani, e non sia sufficientemente ricordato per i risultati ampiamente positivi che ha oggettivamente raggiunto.
La mentalità offensiva di Lajos Czeizler era troppo all’avanguardia negli anni’50 per poter aprire un ciclo?
Czeizler guida il Milan per tre stagioni, dal 1949 al 1952. Con lui la squadra rossonera raggiunge livelli di gioco altamente spettacolari, votata a un gioco d’attacco pragmatico quanto esteticamente raffinato
grazie al fenomenale trio Gren, Nordahl e Liedholm. Prosegue sulla strada luminosa aperta dal Grande Torino ma offuscata poi dall’Inter catenacciara di Foni. Certo, dopo quel Czeisler e quel Milan, ci fu un periodo di aridità generale, se si esclude l’Ungheria di Puskas sconfitta tuttavia ai Mondiali elvetici del 1954. Bisogna aspettare sul finire degli anni Cinquanta il Brasile samba di Pelé e il Real Madrid pirotecnico di Distefano per assaporare un calcio da favola.
Béla Guttmann asseriva che un allenatore deve stare in una squadra non più di tre stagioni: ci sono rimpianti per non averlo visto per tale periodo al Milan?
Non direi. Il Milan ha proseguito spedito con i tecnici seguenti, confermandosi su alti livelli spettacolari, con la conquista di prestigiosi risultati. È stata la prima squadra italiana ad avere una dimensione europea. Probabilmente avrebbe pagato la personalità straripante di Guttmann.
Secondo voi quanto è stato importante Gipo Viani durante il primo periodo di Nereo Rocco in panchina?
Viani nella veste di direttore tecnico ha avuto il merito, grazie al suo carattere ombroso ma pragmatico all’ennesima potenza, di contro bilanciare la personalità ruspante di Rocco. In particolare hanno insieme rimosso due ostacoli per le fortune del Milan lanciatissimo del 1961/62, l’inserimento di un Greaves decisamente incostante, e la giusta attesa per il lancio definitivo del fuoriclasse Gianni Rivera. Con l’acquisto dell’euclideo Sani al posto del britannico troppo legato alla passione per gli alcolici e una posizione in campo più idonea al genio alessandrino, la compagine rossonera guarda tutti dall’alto in basso sia in Italia sia in Europa. Le divergenze caratteriali che spingono Viani quasi alla gelosia per un Rocco amatissimo dalla stampa e dai tifosi passano in cavalleria.
Nello scudetto della stella qual é stato il merito maggiore di Liedholm?
Liedholm, vera anima rossonera per aver condiviso le sorti della squadra per quasi quarant’anni, come allenatore ha vinto solo uno scudetto, quello della “stella”, nel 1978/79. Il Milan ai nastri di
partenza non partiva certo favorito, dominava incontrastata la Juventus di Boniperti, copertasi di gloria con i Mondiali di Argentina.
La campagna acquisti estiva lasciava piuttosto a desiderare, ma il tecnico svedese riesce nel miracolo: con la sua fine saggezza riesce a compattare una compagine alquanto depressa e vittima di una triste serie di infortuni. Il risultato finale, nell’ultimo campionato disputato da Gianni Rivera, va al di là di ogni più rosea aspettativa: scudetto numero dieci, lasciando la sorpresa Perugia a tre punti di distanza.
Alla luce delle sfortunate esperienze di Filippo Inzaghi e Cristian Brocchi vale ancora il principio di avere come allenare un ex giocatore?
Nessuna preclusione, anzi la conoscenza dell’ambiente e l’appeal nello spogliatoio possono rivelarsi valori aggiunti. Importante è puntare sulle nuove qualità, un passato da campione in campo non garantisce sempre intuizioni tattiche e capacità di gestione.
Cosa pensate di Stefano Pioli e quali meriti gli attribuite nella rinascita del Milan?
Pioli ha grandissimi meriti, ha saputo organizzare la squadra, valorizzare i giovani e gestire fuoriclasse senza tempo. La cosa più bella è che lo fa in silenzio, senza proclami e manifesti come tanti suoi colleghi.
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