Intervista: Giocare Col Fuoco

Il romanzo storico di Marco Ballestracci ripercorre le gesta dei Vigili del Fuoco di La Spezie nel campionato del 1944, attirando il lettore con una molteplicità di vicende collegate vere o verosimili. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Per quale motivo l’impresa dei Vigili del Fuoco di La Spezia non è stata sufficientemente celebrata ed addirittura finita nel dimenticatoio per anni?

Sono state date molte risposte possibili all’enigma. Per esempio a Spezia molti sostengono che se, quel benedetto giorno, il Torino Fiat avesse vinto la partita, lo scudetto sarebbe senza dubbio stato assegnato alla squadra granata. In realtà la motivazione per il non riconoscimento è abbastanza palese ed è che, in effetti, il campionato si risolse in una sorta di torneo che riguardava solo l’Alta Italia. In più durante il suo svolgimento accaddero cose al limite del credibile che lo rendono, più che un campionato, una grande avventura. Qualcosa che sconfina nel mito. Non a caso a Spezia i membri della squadra ancora oggi vengono chiamati I Mitici, segno che le loro gesta, quantomeno a casa loro, non sono state affatto dimenticate.

In che modo hai bilanciato la parte reale e quella verosimile in una vicenda per molti versi di per se incredibile?

Se dovessi in qualche modo classificare i libri che ho scritto finora che, perlopiù, hanno sfondo sportivo, con qualche sforzo li inserirei tra i romanzi storici. In realtà non amo le classificazioni e la categorizzazione che amo meno è quella della cosiddetta “letteratura sportiva”. Se “Giocare col Fuoco” fosse considerato un romanzo storico evidentemente la domanda sarebbe superflua, perché la struttura del romanzo storico è piuttosto codificata: esistono gli espedienti del romanzo, ma inseriti in un tessuto storico il più possibile veritiero, che alla fine rendono il libro una storia plausibile del tempo. “Memorie di Adriano” e “American Tabloid” sono esempi straordinari che non richiedono spiegazioni. Quando intraprendo un libro mi attengo alle regole del romanzo storico: lo studio approfondito dei luoghi e del momento storico, su cui implementare personaggi possibili che fanno da traghettatori della vicenda. In realtà il focus del libro non è il campionato ’44, ma la guerra civile e, in particolare, la Resistenza, di cui la squadra dei Vigili del Fuoco è testimone particolare.

A tuo parere nel 1944 come è stato accolto dalla popolazione armistizio con le future forze alleate? Solamente come il termine dei bombardamenti o c’era il sentore di un primo passo per la fine della guerra?

L’Armistizio dell’8 settembre 1943 è stato considerato erroneamente una liberazione. L’Italia il 10 giugno del 1940 entrò in guerra con la convinzione, mutuata da Mussolini, che sarebbe stato un conflitto breve e vittorioso perché i nazisti avevano in poche settimane occupato pressoché tutta l’Europa Occidentale. Poi però la guerra presentò il conto: in Grecia e in Albania, in Africa e Russia e poi cominciarono i bombardamenti. Quando giunse l’Armistizio, nonostante tutti s’augurassero la conclusione della guerra, ormai la situazione era fuori da ogni possibile controllo e il ’44 si rivelò, nonostante i desideri, l’anno peggiore per l’Italia durante il conflitto.

La scelta di utilizzare i dialetti in certo dialoghi risponde alla volontà di dare veridicità alla narrazione? C’è in tal senso in po’ di nostalgia per questi idiomi tendenti ad disuso? 

In un romanzo è necessario adeguare il linguaggio ai personaggi. Chi si muove in “Giocare col Fuoco” appartiene perlopiù alle classi popolari e il dialetto è il miglior modo e anche il più plausibile per far comunicare tra loro i protagonisti del libro. Per quanto riguarda la desuetudine ai dialetti, io sono veneto e ti posso assicurare che noi usiamo il dialetto abitualmente, anche se forse, in effetti, un po’ meno rispetto a un decennio fa. E’ probabile che io tenda a usare così spesso i dialetti nei miei libri proprio perché lo uso frequentemente nella vita di tutti i giorni. Poi mi piace molto il senso di carboneria che un poco i dialetti racchiudono, il senso di appartenenza geografica. Quello che potremmo chiamare il teroir di una storia.

Credi che l’impostazione tattica di Barbieri rientri nell’accezione di Gianni Brera che vuole l’Italia come “squadra femmina”, quindi incline a concernere più che a proporre gioco?

Ottavio Barbieri era allievo di Garbutt, che fu colui che introdusse il Sistema di Chapman in Italia. E’ facile immaginare che Barbieri potesse essere attratto dal Sistema, ma applicarlo con lo Spezia prima contro il Bologna e poi contro il Torino sarebbe stato un suicidio, per l’inferiorità tecnica dei propri giocatori. Ecco che il verrou di Karl Rappan – che era assurto a notorietà nel mondiale del ’38 quando la Svizzera aveva eliminato la Germania, una delle favorite per il titolo, e che indubbiamente Barbieri conosceva – diventava la risposta migliore per cercare di arginare la schiacciante superiorità degli avversari. Non credo che si tratti di dissertare sull’eventuale “squadra femmina” – che è un volo pindarico giornalistico – letterario – quanto piuttosto di ottenere il massimo con ciò che si ha a disposizione.

C’è un giocatore maggiormente meritevole di elogio oppure la possiamo definire la classica vittoria del collettivo?

Mi piace pensare che il cuore della vittoria sia stato Wando Persia. E’ un’idea romanzesca, perché mi piace accostarlo a un altro capitano d’un’ impresa romanzesca, avvenuta anche questa il 16 luglio. Obdulio Varela.

Il Campionato di Guerra del 1944 ha compiutamente distratto la popolazione dalle tragiche giornate del conflitto? É stato in parte una forzatura?

Senza dubbio non lo fu. Non lo fu neppure il triangolare finale, perchè fu funestato dal rastrellamento che avvenne all’Arena di Milano al termine della partita che si giocò la settimana prima dell’inizio degli incontri del torneo finale. Il rastrellamento del 2 luglio fu il più grande disincentivo per chi immaginava di recarsi allo stadio per assistere al triangolare per il titolo. Per quanto il Campionato del ’44 non contribuì a distogliere l’attenzione da ciò che accadeva nell’Italia del Nord, certamente però fu un piccolissimo diversivo per una città come Spezia che fu il luogo più bombardato d’Italia. Un lievissimo barlume di normalità

A tuo parere tale successo meriterebbe di essere conteggiato come un vero e proprio scudetto?

Che lo sia o non lo sia cambia poco. Di certo rimane la storia incredibile d’una vittoria incredibile. Questo vale molto di più d’uno scudetto e spero che “Giocare col Fuoco” possa servire a ricordare un pochetto di più questa storia lontana.

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