Il libro di Jo Araf si rivela fondamentale per meglio conoscere il Wunderteam e i protagonisti della sua epopea. Ne abbiamo approfondito i contenuti con l’autore.
Il tuo bellissimo libro colma un vuoto della letteratura sportiva italiana: è stata questa mancanza a spingerti a scriverlo?
Innanzitutto vi ringrazio per aver apprezzato il mio libro! In parte si, nel senso che documentandomi ho più volte notato l’assenza di un libro che esplorasse il Wunderteam come squadra e che si soffermasse sui suoi vari componenti. Tanto in Italia come all’estero la letteratura in materia si è finora concentrata su due personaggi: Matthias Sindelar ed Hugo Meisl, due figure si chiave, si di grande richiamo ma che da sole non spiegano il Wunderteam come fenomeno sportivo e sociale. Penso che il Wunderteam si sia guadagnato questo soprannome (La Squadra delle Meraviglie) in virtù di più fattori che ho provato a descrivere all’interno del libro
Nei vari capitoli arrivi a smentire vari luoghi comuni su molti componenti del Wunderteam: come mai secondo te tali non veritieri illazioni si sono mantenuti per così tanti anni?
Io credo che tutto nacque dalla fine della seconda guerra mondiale, ovvero dal bisogno di diversi paesi di prendere le distanze da quanto accaduto solo qualche anno prima. Se rovistassimo le biblioteche di qualsiasi paese che durante la guerra ha collaborato e/o è stato invaso dalle truppe naziste, potremmo rimanere sorpresi dalla quantità di libri sulla resistenza a discapito di quelli sul collaborazionismo. Eppure i collaborazionisti hanno dato un apporto non trascurabile agli invasori nazisti. Il mondo del calcio non ne era rimasto indenne: tanti giocatori giovarono della situazione acquistando a prezzi stracciati attività arianizzate, diversi club vennero ‘sottoposti ad ordinaria amministrazione’ (solitamente club che vantavano tra le proprie file giocatori, allenatori o dirigenti ebrei o alle volte anche solo radici ebraiche), altri nominarono tra i propri ranghi membri del partito nazionalsocialista per ingraziarsi i favori del regime ed un buon numero di giocatori non esitarono ad indossare la maglia della Germania nazista. Terminata la guerra, questi legami dovevano essere dimenticati e rimossi completamente. Iniziarono a scomparire immagini di giocatori che a bordo campo esibivano il saluto nazista ed altre che li ritraevano con la divisa della Wehrmacht, tanto a Vienna quanto sul fronte orientale od occidentale (alcune di queste sarebbero state recuperate in seguito). Quindi, in un paese come l’Austria la cui adesione al nazismo era stata evidente fin dal 1938 (i nazisti vinsero un referendum ed il sentimento pangermanista era molto forte a Vienna dintorni), quale miglior modo di creare icone di resistenza per emanciparsi dagli anni della guerra? Matthias Sindelar (ed in parte Karl Sesta) rappresentava da questo punto di vista un personaggio estremamente spendibile, essendo il campione di punta della nazionale austriaca e godendo di una fama a quel tempo non inferiore ai volti più noti del cinema e della letteratura.
Che eredità hanno lasciato a tuo avviso Jimmy Hogan e Hugo Meisl in termini di sviluppo del gioco del calcio?
Credo che la loro partnership sia stata fondamentale per arrivare a ciò che oggi definiamo tiki taka e alla filosofia di calcio che riscontriamo in squadre come Ajax o Barcelona, e che in passato hanno contraddistinto nazionali come l’Olanda degli anni ’70 e l’Ungheria degli anni ’50. Una tradizione calcistica da sempre antitetica a quella nostrana, basata su difesa e ripartenze. Meisl ed Hogan credevano fermamente in un gioco rasoterra e nella forte coesione tra i reparti, e tali idee si erano presto diffuse in tutte le province dell’allora Impero austroungarico grazie anche al contributo di altri allenatori britannici. Il Wunderteam fu la prima formazione a rendere quella filosofia di calcio vincente a livello internazionale quando nel 1932 sollevò la Coppa Internazionale. Anche i successi nella Coppa Mitropa da parte dell’Austria Vienna furono in parte influenzati da questa filosofia: sia Meisl che Hogan erano infatti transitati tra le fila della formazione violetta. Una figura che sarebbe risultata caratterizzante in questo stile di gioco fu quella del centravanti, ovvero un giocatore più dedito alla rifinitura che non alla realizzazione. Nel Wunderteam questo fu il ruolo di Matthias Sindelar, sebbene Meisl avesse inizialmente deciso di puntare su attaccanti con altre caratteristiche.
Sei d’accordo con chi afferma che Matthias Sindelar fosse il più forte giocatore del periodo? Ed in tal senso quanto rammarico c’è nel non aver potuto vederlo all’opera nel Mondiale del 1938 insieme a Leônidas e Meazza?
È molto difficile stabilirlo. Le immagini sono poche e spesso di bassissima qualità. Qualche mese fa mi illusi di poter vedere all’opera Matthias Sindelar dopo aver acquistato due DVD sul calcio austriaco. C’erano delle immagini sull’Anschlussspiel e qualche altro incontro dell’epoca, ma si vedevano veramente male. Complessivamente ritengo sia stato tra i primi, non saprei dire se il primo. Credo che Meazza e lo stesso Josef Bican (se stiamo agli anni tra le due guerre e quelli della guerra) siano due ottimi competitors. Poi potremmo anche inserire Zamora nella contesa e l’uruguayano Scarone, sebbene nei primi anni ’30 iniziava ad eclissarsi. Sindelar dalla sua ha un grandissimo impatto europeo: fu il simbolo di una squadra che vinse due edizioni delle Coppa Mitropa in due annate nelle quali l’Austria Vienna non era nemmeno la migliore formazione del proprio paese. Ed in più fu chiave nella vittoria della Coppa Internazionale, visto che la cavalcata degli austriaci inizia col suo innesto regolare in squadra. A corroborare invece la candidatura di Meazza quale miglior giocatore dell’anteguerra ci sarebbero invece due Mondiali e una Coppa Internazionale vinti da protagonista. Oltre ad un’esplosione immediata che Sindelar, contrariamente a Josef Bican, per un motivo o per un altro non ebbe (i suoi highlights partono dal 1931, quando Sindelar è già 28enne).
Può essere che l’alone di mitico, ma anche di mistero, che avvolge Der Papierene possa aver offuscato le figure di fuoriclasse Pepi Bican, Franz Binder e Josef Uridil?
Decisamente secondo me. Come dicevo prima, quando decisi di scrivere Generazione Wunderteam uno dei miei obiettivi principali era far luce su un’epoca ed alcuni personaggi trascurati. Josef Bican è certamente un personaggio trascurato, soprattutto per il fatto – a mio giudizio – di essere definitivamente esploso durante i suoi anni cecoslovacchi, ovvero in una fase – gli anni ’40 – in cui non si giocavano i mondiali. Lui in realtà aveva disputato a 21 anni il mondiale del 1934, anche con discreti risultati, ma da comprimario di Sindelar ed adattato in un ruolo non suo. Lo stesso discorso potrebbe estendersi ad esempio al nostro Valentino Mazzola: un fenomeno che indubbiamente non ha avuto la ribalta internazionale che meritava. Al di la di Bican – che rappresenta probabilmente l’esempio più eclatante – ci sono certamente Franz Binder, Anton Schall, Josef Smistik, Walter Nausch e Karl Zischek. Sintomatico è il fatto che Sindelar in patria vinse un solo scudetto e da riserva. Cinque furono le formazioni che tra il 1925 – anno in cui il calcio diventa professionistico – e la fine della guerra vinsero il titolo. Ciò da un’idea di quanto ricca di talenti fosse la scena calcistica viennese.
Tra i tre indicati nella domanda precedente chi ritieni più meritevole di attenzione e chi aggiungeresti nel caso?
Dei tre menzionati, sicuramente Josef Bican è quello che ha lasciato più il segno. Era conosciuto per la sua velocità supersonica – correva i 100 metri in 10.8 secondi, come il recordman della specialità del tempo, Percy Williams – ma non solo: era un giocatore raffinatissimo e con un innato senso del gol, tanto è vero che è tutt’ora il massimo goleador della storia del calcio. Vinse anche da protagonista una Coppa Mitropa, nel 1938, stabilendosi anche come capocannoniere in quella che al tempo era la più forte formazione del continente (basti leggere alcune cronache del tempo per comprendere la reputazione di cui godeva lo Slavia Praga). Potrei anche citare Karl Zischek, un’eccellente ala destra, Walter Nausch, giocatore duttile che tutti gli allenatori – Meisl soprattutto – vorrebbero e che dovette saltare per infortunio il mondiale del 1934 e Josef Smistil, l’idealtipo del centromediano del tempo. Binder fu uno straordinario realizzatore ed un simbolo del Rapid Vienna, ma tutto sommato un attaccante più classico e meno iconico di Sindelar e Bican (secondo me).
Domande complicatissima: senza le ingerenze fasciste del 1934 e l’Anschluss del 1938 l’Albo d’Oro del Mondiale potrebbe essere diverso?
Indubbiamente nel 1934 le ingerenze del regime furono molte. Molte furono le partite discusse e quel mondiale fu l’unico caso nella storia di un arbitro che diresse sia la finale che la semifinale. Che Eklind abbia cenato con Mussolini la sera prima della finale forse è una leggenda, certamente non lo è il fatto che la metà dei giudici di gara prescelti per la competizione erano italiani. Io penso che nel 1934 l’Austria avesse qualcosa in più dell’Italia, e che su un terreno neutro probabilmente avrebbe vinto (quantomeno, Monti sarebbe stato cacciato dal campo dopo pochi minuti). Nel 1938 invece l’Italia meritò la vittoria senza se e senza ma: è però evidente che l’Austria avrebbe potuto rappresentare la rivale numero uno, forse senza Sindelar (vicino ai 36), sicuramente senza Meisl alla propria guida (era deceduto l’anno prima) ma con un Bican in piena forma – era l’anno della Coppa Mitropa e dei 10 gol – e tanti altri giocatori in auge come Binder, Hahnemann, Jerusalem e tanti giocatori che avevano preso parte al mondiale di quattro anni prima.
Ho molto apprezzato come tu sia riuscito a combinare sapientemente gli aspetti del campo alla complessa situazione politica del periodo: come hai sviluppato il lavoro di ricerca e di sviluppo del tuo libro?
Sono andato per fasi. Innanzitutto ho cercato di scavare a fondo circa le condizioni storiche e sociali che avessero favorito lo sviluppo del calcio in Austria e più in generale a livello mitteleuropeo. Ovviamente facendo ciò mi sono avventurato nella figura di Jimmy Hogan, progenitore tecnico del Wunderteam. Ripercorrendo poi la sua parabola e quella di Hugo Meisl, ho cercato di raccontare come gli eventi storici del tempo abbiano impattato sul calcio austriaco plasmandone alcune caratteristiche. Mi sono avvalso tanto di libri quando di saggi dal momento che ritenevo impossibile spiegare una squadra degli anni ’30 senza entrare nel merito di alcune vicissitudini storiche.
Diciamo un’eresia se indichiamo il Wunderteam come discendente della disgregazione politica e geografica dell’Impero Austroungarico?
Direi proprio di no. Lo stesso Vittorio Pozzo, solo due anni prima dello scoppio della Grande Guerra, era rimasto sorpreso dalla multiculturalità della formazione austriaca. Dopo aver incontrato Meisl – in qualità di arbitro – ed i giocatori austriaci alle Olimpiadi di Stoccolma, aveva notato come molti di questi fossero di origine boema. Una caratteristica che avrebbe connotato anche il Wunderteam negli anni ’30, visto e considerato che diversi dei suoi interpreti provenivano dalla Boemia e dalla Moravia (Sindelar, Smistik, Sesta, Zischek, Cisar, Bican e Urbanek). Accadeva che all’interno dell’allora Impero austroungarico famiglie provenienti dagli angoli più poveri si recassero a Vienna in cerca di fortuna, e che dei ragazzi nati ai bordi delle periferie della capitale austriaca iniziassero a giocare a calcio vedendo nel pallone uno strumento di riscossa sociale.
Concludiamo con un altro domanda difficile, dato che nel libro parti di due distinti Wunderteam a seconda del periodo: quale dei due è il più importante dal punto di vista calcistico?
Paradossalmente quello che non vinse, ovvero quello del 1934. Quello che si presenta da favorito al mondiale italiano e viene fermato dall’arbitraggio discusso dello svedese Eklind. Quello del 1932 è sostanzialmente diverso a livello di giocatori. C’è Sindelar che si è definitivamente consacrato quale titolare e miglior giocatore del continente ma anche una serie di giocatori sul viale del tramonto, tanto che nel 1933 Meisl metto un campo una vera e propria rivoluzione tecnica. Va oltretutto considerato il fatto che nei primi anni ’30 il mondiale calamitasse l’attenzione di spettatori ed addetti ai lavori molto più di qualsiasi altra competizione. La Coppa Internazionale era un torneo si importante ma ristretto a poche formazioni e che aveva iniziato ad esercitare una suspense molto minore dal momento che veniva disputato in un lasso di tempo di circa due anni.
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