Intervista: L’Anno Del Grifo

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Nel suo libro, uscito nel 2017, Marcello Altamura ripercorre la splendida stagione 1978/1979 terminata al secondo posto senza perdere una partita. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Il Perugia 1978/1979 è ancora oggi un autentico concetto ancora vivo nella memoria di tanti: motivazione di questo libro risiede nel tramandare anche ai meno giovani la splendida stagione della compagine umbra?

Sì, l’obiettivo del libro è proprio questo, cioè raccontare a chi allora non c’era una storia sportiva unica, che è sopravvissuta al tempo e, come tutte le cose mitologiche, resta ancora oggi viva. Poi è chiaro che questa rievocazione serve anche a far ricordare a chi invece quei giorni li ha vissuti e magari leggendo il mio libro ricorderà anche un pezzo della propria vita.

E’ possibile sintetizzare in con poche parole i meriti di un allenatore come Ilario Castagner?

Credo che, a suo modo, sia stato un anticipatore del calcio moderno, nel senso che nel suo Perugia c’erano giocatori che si scambiavano ruolo e posizione. Era una squadra di giocatori per così dire intercambiabili e che, grazie anche all’acume tattico e al buon senso del suo allenatore, è riuscita a lasciare una traccia nella storia del nostro calcio

Nel libro i protagonisti confermano un legame molto forte con la città: quanto questo aspetto è stato fondamentale?

Sicuramente. Tutti quelli con cui ho parlato hanno sottolineato che il clima quasi familiare di Perugia, il calore di una città che si stringeva attorno alla sua squadra, li abbia aiutati a dare il massimo. Direi che la città coi suoi umori sia stata una parta integrante dello spogliatoio.

Quanto l’infortunio di Franco Vannini è stato decisivo per il mancato aggancio al Milan? C’è spazio per i rimpianti?

Il rimpianto c’è, anzitutto per l’infortunio del Condor. Quando sono venuti meno prima lui e poi Frosio, la squadra si è un po’ sgretolata ha perso consistenza. Il rimpianto maggiore riguarda ovviamente la partita al Curi col Milan, quella del celebre ‘sciopero bianco’ di Bagni, che alla fine è risultata decisiva per l’esito della stagione.

I critici hanno sottolineato come l’undici di Castagner abbia più cercato di mantenere l’imbattibilità invece di rischiare di più per vincere: sei d’accordo con questa illazione?

No, anche se credo che l’imbattibilità alla fine sia diventato un obiettivo quando il Milan è diventato irraggiungibile. Se ci fossero state le coppe ‘allargate’ come oggi, il Perugia sarebbe andato in Champions League e sarebbe stato il giusto coronamento di una stagione che, nel calcio di oggi, probabilmente sarebbe difficilmente ripetibile.

Ho molto apprezzato come sei riuscito a coniugare l’aspetto sportivo con quello sociale, dipingendo un quadro davvero completo : credi che questo tipo di narrazione continuerà ad avere futuro in un’epoca di rapidità fruibilità delle nozioni?

Io credo di sì, soprattutto perché sono convinto che un racconto vada contestualizzato. Per spiegare quell’impresa sportiva bisogna raccontare la città in cui maturò, il clima di quegli anni, non solo sportivo. Sono e resto fedele ad una narrazione complessiva, priva di compartimenti stagni. E credo che questo tipo di impostazione resti sempre valida. 

Dopo quarantanni  è più la soddisfazione per un stagione irrepetibile o il rammarico per non aver vinto lo scudetto pur restando imbattuti?

E’ la domanda con cui chiudo il libro, quella che ho sentito in giro per Perugia quando sono stato in città per incontrare un po’ di protagonisti. Rispondere è difficile, perché l’imbattibilità resta un’impresa da ricordare ma, purtroppo o per fortuna, quello che conta è sempre l’albo d’oro, quindi le vittorie.

Nel calcio di oggi c’è ancora spazio per favole come quelle del Perugia 1978/1979? Vedi delle similitudini con la recente impresa del Leicester?

Certamente il Leicester è un paragone calzante, perché è una squadra di una realtà piccola che ha vinto con una squadra fatta da buoni giocatori ma senza stelle, un po’ com’era il Perugia di allora. Tuttavia credo che oggi sia difficile replicare imprese del genere, specie in Italia dove la forza economica della Juventus è preponderante e dove persino le milanesi fanno fatica, senza dimenticare il Napoli, squadra che seguo quotidianamente per lavoro, che pur avendo fatto cose egregie in questi anni resta sempre un passo indietro non solo dal punto di  vista sportivo.

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