Intervista: Ferenc Puskas – Il Campione Dei Due Mondi

La carriera, ma sarebbe più giusto dire la vita, di Ferenc Puskás è stata spaccata in due dalle ingerenze politiche che hanno interessato l’Ungheria nel 1956, indentificando in tal senso una prima parte legata alla Honved ed alla nazionale magiare ed una seconda legata al Real Madrid. Claudio Minoliti considera questi due periodi descrivendoli in simbiosi, compiendo riusciti flashback per meglio chiarire come il Colonello sia arrivato ad un passo dal terminare la carriera, prima di trovare nuova gloria con la maglia delle Merengues. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Nel 2023 cosa l’ha spinta a scrivere un libro sul grande Ferenc Puskás? 

La figura del fuoriclasse ungherese mi ha sempre affascinato. In particolare, mi colpiva come fosse stato capace di avere due carriere, distinte e separate, entrambe straordinarie. Una con le maglie della Honvéd di Budapest e la Grande Ungheria, l’altra con la camiseta del Real Madrid. In mezzo, quasi due anni senza poter giocare a causa della squalifica della Fifa, il periodo meno conosciuto della sua vicenda umana e sportiva. La curiosità del cronista mi ha spinto a cercare notizie e testimonianza di quel periodo, compresa la ricerca dei documenti ufficiali della Federcalcio mondiale che gli aveva imposto lo stop di qualsiasi attività agonistica. Senza trascurare un evento epocale, come l’invasione nel ’56 dei carri armati sovietici nella capitale ungherese, da cui tutto ha origine, con le sue molteplici ripercussioni. L’idea di un libro su Puskás risale a oltre vent’anni fa e via via ho messo nel cassetto appunti, ritagli di giornali, brani di romanzi e saggi, interviste. Fino a quando la mia attività professionale mi ha consentito di dedicarmi a quel progetto. E, soprattutto, di trovare in Roberto Mugavero di Minerva un editore che ha creduto nel mio lavoro, al quale ha aggiunto un prezioso archivio fotografico.

Crede che nelle cronache attuali la grandezza e l’importanza di Puskás nella storia del calcio siano sottovalutate? 

Quando, periodicamente, vengono stilate le classifiche dei più grandi giocatori di tutti i tempi, si pensa subito a Pelé e Diego Maradona (l’ordine non è casuale…). Subito dopo, arrivano Messi e Cristiano Ronaldo, i campioni a noi più vicini. E se ci guardiamo un po’ indietro ecco Alfredo Di Stéfano e Johan Cruijff. Tutti legittimi criteri e valutazioni, ma è innegabile che Ferenc Puskás sia stato il calciatore simbolo degli anni Cinquanta, trascinatore e capitano di una Nazionale che ha cambiato e scritto la storia del calcio. Certo, di quel football, rispetto a periodi più recenti, abbiamo pochissime immagini. Ma le cronache e i libri dei giornalisti, in alcuni casi sarebbe meglio definirli scrittori, dell’epoca aiutano meglio di qualsiasi video. E non può essere casuale che la Fifa abbia intitolato al campione magiaro il trofeo per il più bel gol dell’anno.

 La finale di Berna del 1954 é stata uno spartiacque per il Puskás giocatore? Esiste, in tal senso, un Puskás pre e post finale Mondiale?

La sconfitta nella finale della Coppa Rimet rappresentò uno choc per Puskás e compagni. E non solo a livello sportivo. In un Paese come l’Ungheria, dove lo sport era anche propaganda politica per affermare i valori del socialismo, contrapposti al capitalismo d’oltrecortina, perdere il Mondiale da strafavoriti era uno smacco quasi insopportabile. Non privo di conseguenze per lo stesso Puskás, l’allenatore e inventore della cosiddetta “Squadra d’Oro” Gusztáv Sebes e altri giocatori. Ma il vero spartiacque è l’invasione sovietica. Puskás è lontano da Budapest per giocare una sfida di coppa dei Campioni, dove la sua Honvéd è tra le squadre favorite per la vittoria. Non tornerà a casa, chiudendo di fatto la sua carriera. La prima, per fortuna.

Quanto ha contato la sicumera nell’affrontare la Germania Ovest nella finale del Mondiale? La nomea di “Squadra d’Oro” ha giocato contro l’Ungheria?

Ha vinto le Olimpiadi a Helsinki nel ’52, battuto il Brasile nei quarti e i detentori dell’Uruguay in semifinale, è in vantaggio 2-0 nella finale della Rimet dopo otto minuti contro i tedeschi, già umiliati 8-3 nei gironi. Il destino della “Aranycsapat”, la Squadra d’Oro, sembrava segnato. E penso che in pochi, tra i 64mila presenti, credessero in quello che poi, non a caso, viene ricordato come il “Miracolo di Berna”. Lo stesso Puskás ammise: “Improvvisamente ci siamo addormentati e, quando ci siamo svegliati, stavamo perdendo 3-2”. Certo, c’è il gol del 3-3 annullato per un fuorigioco, forse inesistente, al capitano magiaro. Quella strana epatite che colpì alcuni giocatori della Germania. Di sicuro, era la fine della Grande Ungheria e la rinascita tedesca.

Riesce a tracciare un parallelo tra l’Ungheria degli anni ’50 e l’Olanda degli anni ’70? Puskás e Cruijff erano leader allo stesso modo?

Il calcio socialista di Sebes e il calcio totale di Rinus Michels hanno rivoluzionato, nei rispettivi periodi, il modo di giocare. Negli anni Cinquanta imperava il cosiddetto modulo WM, spazzato via dalla Squadra d’Oro che umilia 3-6 a Wembley i maestri inglesi. Nei Settanta l’Arancia Meccanica travolge il gioco di posizione e marcature con le sue ondate di giocatori a caccia del pallone. Il calcio d’avvio di Inghilterra-Ungheria con i magiari che riconquistano subito palla ricorda il pressing olandese, come la partecipazione di tutti i componenti della squadra alla costruzione della manovra. Velocità diverse ma concetti simili. E due fuoriclasse a guidarle. Entrambi capitani e leader indiscussi. Puskás è il finalizzatore, Cruijff il direttore. Il magiaro è il “colonnello”, l’orange il capo della comune.  

Caratterialmente come lo definirebbe, considerando il grande amore per la famiglia, ma anche certi atteggiamenti impulsivi (vedi la rissa con il Brasile) e certe forti prese in un momento molto delicato?

Nel giorno del funerale di Puskás, lutto nazionale in Ungheria, il grande Di Stéfano disse: “Era una persona migliore del calciatore”. E la “Saeta Rubia” lo conosceva bene, non solo in campo, dove l’intesa tra i due era perfetta. La moglie Elisabetta e la figlia Aniko, insieme con il pallone, erano la sua vita. Un capitano riconosciuto e rispettato in tutti gli stadi d’Europa. Un leader che non si tirava indietro, come nella rissa con i brasiliani in quella che viene ricordata come la “Battaglia di Berna”. Che, raccontano, fosse generoso ma non particolarmente abile negli affari privati. E che ha pagato a caro prezzo le sue prese di posizione. Per tornare definitivamente in Ungheria ha dovuto attendere la Caduta del Muro di Berlino, senza poter assistere ai funerali della madre. Oggi è un Eroe della Patria, sepolto nella cattedrale di Santo Stefano a Budapest, assieme a Santi e sovrani. 

Da amante del calcio la affascina di più il reparto offensivo dell’Aranycsapat o la “delantera” del Real Madrid con Puskás in campo?

Meglio Budai, Kocsis, Hidegkuti, Puskás, Czibor (Inghilterra-Ungheria 3-6)? O Canário, Del Sol, Di Stéfano, Puskás, Gento (Real Madrid – Eintracht Francoforte 7-3)? È quasi come scegliere tra la mamma e il papà. L’abilità di “Testa d’oro” Sándor Kocsis e la velocità di Francisco Paco Gento. Il genio di Zoltan Czibor e la forza di Canário. L’intelligenza di Hidegkuti e il dinamismo di Del Sol. L’immenso Don Alfredo Di Stefano. Puskás di qua e di là. Ma quando l’attacco dei Blancos, come ha raccontato lo scrittore Javier Marías, decideva di passarsi la palla solo di tacco era irresistibile.

Come vorrebbe che fosse ricordato ai nostri giorni?

Ferenc Puskás è venerato in Ungheria, celebrato nella Casa Blanca del Real Madrid. Il premio che porta il suo nome va al gol più bello dell’anno. Se, come avveniva un tempo, si giocasse la partita di tutti i tempi tra Europa e Resto del Mondo, indosserebbe la maglia numero 10 del Vecchio Continente. 

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