Intervista: Quasi Gol


Giorgio Simonelli, sfruttando la sua grande competenza ed un massiccio lavoro di ricerca contestualizza i vari decenni che hanno caratterizzato il connubio tra calcio e tv , dando contezza degli aspetti più positivi e di quelli più critici, impreziosendo il tutto con un punto di vista atto a determinare cause e conseguenze. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Quanto é durato il lavoro di ricerca e come é stata organizzata la stesura del libro?

C’è un lavoro di ricerca remoto che dura dal 1989, quando cominciai a osservare le mutazioni dello sport televisivo su richiesta della Fonazione Agnelli che aveva affidato alla mia università uno studio in vista di un convegno intitolato Lo specchio sporco della televisione. Poi c’è stato il lavoro di scrittura del libro che è durato sei/sette mesi  che ho organizzato in capitoli corrispondenti ai  6 periodi in cui ho diviso la storia. 

Nel valutare il livello attuale dei contenuti e dei modi delle trasmissioni calcistiche c’è stato un’involuzione qualitativa?

La qualità dei prodotti televisivi calcistici è molto alta dal punto di vista tecnologico nelle dirette in cui vengono offerte immagini da vari punti di vista, dettagli e particolari, scomposizioni. Il tutto però cade spesso nella tentazione narcisistica di una tv che celebra sé stessa, le sue potenzialità. Per rquanto riguarda invece i programmi di commento, da studio non mi pare ci sia molta originalità, invenzione come accadde negli anni 90. L’ultima idea originale è Calciomercato ora detto appunto L’originale.

Riesce ad identificare un momento particolare nel quale la questione di calcio in TV é diventato un preciso strumento politico?

Non c’è dubbio: il 1980 quando Berlusconi sollevando la questione del Mundialito mostra di voler fare del calcio un contenuto determinante per il successo della sua tv.

Crede che l’evoluzione del calcio in tv coincida in pieno con quella dei costumi e delle tendenze a livello sociale? Quale ambito si é maggiormente adattato all’altro?

Quello che più mi colpisce nel rapporto tra il calcio televisivo e il costume è quella specie di globalizzazione che ha separato il clacio “che conta” con le sue squadre prestigiose, i suoi campioni di cui compare la maglietta, il calcio internazionale, dal calcio minore, delle squadre di provincia. E’ un fenomeno che ha degli aspetti positivi, di sprovincializzazione ma anche dei pericoli di oscuramento della propria realtà, della perdita delle proprie radici.

Crede che le trasmissioni di qualche decennio fa avessero una maggior capacità di favorire il confronto ed il dialogo a livello sociale?

 Certo in passato ci sono stati esempi di programmi attorno ai quali si accendeva il dibattito anche fuori dagli studi e a video spento: Il processo del lunedì, Quelli che il calcio, Mai dire gol con i suoi neologismi diventati di uso generale (il gollonzo…). Bisogna tener conto del fatto che il dibattito oggi si è spostato in gran parte sui social dove, a parte qualche eccezione, non è di grande livello.

Giorgio Simonelli in qualità di spettatore ha nel cuore una particolare trasmissione calcistica? 

Nel mio cuore ci sono i programmi di Giorgio Porrà da Lo sciagurato Egidio fino all’attuale L’uomo della domenica . Mi piace ricordare anche Dribbling quello degli esordi nei primi anni 70 quando introdusse uno sguardo giornalistico del tutto originale sul mondo del calcio . Poi ci sarebbe Tutto il calcio minuto per minuto che è un bene culturale della nazione, ma quella è radio… 

Come crede evolverà la qualità del calcio in TV, al netto delle probabili migliorie tecnologiche?

Mai fare pronostici sull’evoluzione della tv, si fanno solo brutte figure. Credo che il ruolo della tv abbia raggiunto l’apice con l’introduzione del VAR. Se devo indicare una certa novità degli ultimi mesi, mi pare che nelle dirette le telecamere di recente offrono più spesso immagini del pubblico come parte importante dello spettacolo. E non si limitano a inquadrare bambini e belle ragazze…. 

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