Intervista: LeggendAjax. Storia e Storie Di Una Svolta Epocale

Con grande passione Alfonso Esposito dedica un capitolo ad ognuno dei più grandi protagonisti di quel rinnovamento tecnico-tattico, basandosi con oculatezza su capisaldi della letteratura calcistica come “Brilliant Orange” di David Winner e “ La rivoluzione dei tulipani” di Alec Cordolcini, impreziosendo tali spunti con interessanti punti di vista ed una spontanea passione per una squadra e la sua ventata di novità assoluta. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Nel libro condividi di essere innamorato del cosiddetto “Calcio Totale” nel 1974 durante il Mondiale: quale caratteristica ti ha folgorato?

Sicuramente mi impressionò di più la ‘onnipresenza’ delle maglie arancioni, cioè la loro capacità
di occupare il rettangolo di gioco con un dinamismo ed un’intelligenza tattica quanto mai originali.
In pratica sembrava che sapessero in anticipo cosa fare e come farlo. Una caratteristica, questa,
che un grande assente di quei mondiali, Barry Hulshoff, spiegò, almeno per quanto riguarda
l’Ajax, con l’abitudine appresa grazie a Michels di calcolare in modo rapido e preciso lo spazio da
conquistare e le energie da spendere a questo scopo.

Credo che alcuni dei campioni di quel grande Ajax siano stati un po’ sottovalutati nel corso del tempo? Sono stati un po’ nascosti dall’aurea di Johan Cruijff?

Anche oggi, a distanza di decenni, sembra pressoché inevitabile che il genio di Cruijff in qualche
modo appanni la luminosità degli altri protagonisti di quel ciclo irripetibile, ma, riflettendoci, forse
non è proprio o solo così, perché la classe di Johan fu messa in condizione di risplendere al
massimo grado anche grazie al talento, certamente di gran livello, dei suoi compagni di squadra.
Insomma, chi lo coadiuvava senza dubbio beneficiava della sua genialità, ma, allo stesso tempo,
assecondandola, le consentiva di esprimersi in modo ineguagliabile. Era un reciproco scambio,
da cui traevano vantaggio tutti.

Guardiola una volta disse che il centravanti del suo Barcellona era “lo spazio”: chi era invece il centravanti di quell’Ajax?

Sono convinto che Guardiola lo abbia affermato avendo in mente, appunto, l’interpretazione del
ruolo incarnata da Cruijff stesso, peraltro suo allenatore ai tempi del Barcellona. Johan, in pratica,
aveva applicato la teoria della relatività di Einstein allo spazio del campo di calcio, dilatando o
restringendo la posizione ‘tradizionale’ del centravanti secondo le circostanze e l’utilità che se ne
poteva ricavare. Questo significa anche che quel ruolo non era ricoperto rigidamente solo da chi
indossava la casacca n. 9, ma da chiunque, in ossequio alla duttilità dei ruoli predicata da
Michels, si ritrovasse ad operare da punta centrale.

L’Ajax degli anni’70 prendeva pochi gol, come si sposava tale peculiarità con la matrice innovativa del suo gioco?

Quello che può apparire un paradosso era, in realtà, una diretta conseguenza del calcio offensivo
ajacide: gestendo costantemente il gioco in proiezione d’attacco e aggredendo col pressing gli
avversari fin nella loro metà campo, era giocoforza che le sortite offensive di questi ultimi si
riducessero sia di numero che di efficacia realizzativa.

Quanto era importante la componente atletica in una squadra eccelsa per conoscenza tecniche e tattiche?

La tenuta atletica rappresentava e rappresenta ancor oggi, per chi intende ispirarsi a quel
modello, una componente irrinunciabile, perché solo una forma fisica ottimale consente di
mettere in pratica quel dinamismo costante, quasi frenetico, che connota il modello di gioco
dell’Ajax e della Nazionale olandese di quel tempo.

Velibor Vasovic, Barry Hulshoff, Horst Blankenburg ed anche Arie Haan: quanto era importante per il cavo olandese del periodo avere una perfetta uscita palla dalla difesa?

Michels comprese immediatamente che l’interpretazione del ruolo di regista difensivo o ‘libero’ –
per quanto si voglia adattare questa definizione al paradigma tattico dell’Ajax o dell’Olanda anni
’70 – non poteva limitarsi alla distruzione delle offensive avversarie, ma doveva tradursi nella
prima costruzione della propria manovra, quella ‘dal basso’, di cui oggi tanto si parla. E che altro
non è che figlia di quel progetto ‘a zona’ che metteva le qualità dei singoli a disposizione del
collettivo, quindi era più che naturale che anche i difensori, non solo quelli centrali, cooperassero
per strutturare fin dalla loro zona di competenza la trama complessiva di gioco.

Qual era l’idolo assoluto di Alfonso Esposito relativamente a quel grande Ajax?

Escludendo Cruijff, che rappresenterebbe la risposta più prevedibile, se non scontata, la scelta
non è affatto semplice. Personalmente ho sempre adorato Krol (da me perfino idolatrato ai tempi
del Napoli di Marchesi), Gerrie Mühren, Keizer, non ti dico poi Johnny Rep, prolifico ed
intelligente come pochi. Ma, se proprio devo sceglierne uno, opto per Neeskens, l’universale per
eccellenza, incontrista, regista, mezzala, all’occorrenza anche capace di segnare. Nel libro mi
permetto di far notare che, se l’Olanda del ’78 in Argentina comunque centrò di nuovo la finale,
anche senza campioni del calibro di Cruijff e Van Hanegem, è grazie soprattutto a Neeskens,
che, con la sua versatilità e mobilità inesauribile, da ‘gregario di lusso’ di Cruijff diventa il vero ago
della bilancia, per non dire l’autentica anima di quella nazionale.

Johan Neeskens viene generalmente indicato come il prototipo del calcio totale: sei d’accordo?

La risposta precedente vale anche per questa domanda, aggiungo che con Neeskens
l’universalità, più che la totalità – termine che Michels stesso non amava, perché riteneva che non
descrivesse adeguatamente la sua idea di gioco –, da parola astratta diventa realtà concreta,
tangibile. Neeskens è l’idea universale che si fa calciatore. In modo esemplare.

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