
Guglielmo Manuali combina il calcio con la psicologia e la filosofia per raccontare e celebrare il calcio olandese degli anni’70, in un libro di grande presa. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Come nasce l’idea di raccontare in modo originale e forbito il movimento calcistico olandese degli anni’70?
L’idea di raccontare la storia di Jan Jongbloed nasce dal fatto che le emozioni nella nostra vita hanno un posto rilevante, soprattutto quelle che rimangono scolpite dal tempo. La squadra olandese ha rappresentato in quegli anni la sintesi delle nostre aspettative. Emergevano istanze di ordine sociale, politico ed artistico; vi era qualcosa in quel periodo della storia che metteva in discussione tutto ciò che eravamo stati e provocava una nuova idealizzazione. Il racconto che ho costruito, nasce perciò dall’intreccio delle mie conoscenze in campo socio psicologico, coniugate con le biografie dei campioni che hanno colorato la propria giovinezza
Nel scrivere nel suo nel libro ha più soddisfatto un desidero personale o la volontà di condividere una passione?
Nello scrivere questo racconto, mi sono semplicemente messo in gioco , una situazione che mi ha certamente coinvolto. Non avrei mai pensato di arrivare a tanto. Ho dovuto metabolizzare la passione con la privazione; il dolore con la voglia di incedere ed andare avanti. Non sono di fatto uno scrittore. Ed ho perciò provato a fare dei piccoli passi nel campo della poesia; poi mi sono posto un altro obiettivo, che lì per lì, anche per me, sembrava impossibile da raggiungere. Dovevo provare ad andare oltre le semplici liriche; provare a scrivere un libro realizzando un’ architettura e ultimare in seguito un edificio. Scrivevo perché in me si animava un desiderio sordo di poter gestire una passione. Credo che nel libro si possa cogliere effettivamente la mia forza di volontà che consisteva nel voler realizzare un’idea a cui tenevo. Il libro nasce dal vuoto, una mancanza, nell’ osservare il calcio dalla finestra o attraverso gli occhi e le parole degli altri. Per uno che come me che ha una doppia anima: quella dell’insegnante e dell’allenatore ( giammai istruttore), non avere la possibilità di essere in un campo di calcio, di non respirare l’erba e il fango e di non poter costruire e crescere una squadra, mi ha indotto a metabolizzare la privazione attraverso la creazione. Per me questo è stato un costrutto terapeutico, un meccanismo di autodifesa , difficile in molti casi, impervio forse, ma indispensabile per la mia crescita personale.
Perché ha scelto Jan Jongbloed come simbolo del movimento calcistico raccontato?
Ho scelto Jongbloed perché di quel team( il più forte in terra) rispetto al Brasile anni settanta (il più forte in cielo) rappresentava il giocatore più “ improbabile”, poiché molti , tra cui anch’io, non comprendevamo il senso del suo gioco e la metamorfosi del ruolo che egli poneva in luce, all’interno di quella laboratorio elettronico che era l’undici olandese. Poi sono rimasto fortemente colpito da alcuni tratti dalla sua biografia. Il saggio-racconto inizia con il numero 8 ( che è paradossale attribuire al ruolo del portiere) poiché per antonomasia nell’immaginario collettivo rimane il il numero uno. E termina con il numero 8 a cui vengono riconosciute in chiave junghiana alcune tipologie. L’opera incede con questo incredibile personaggio perché come si può intravedere anche nella foto di copertina egli ha descritto il football come fonte di gioia, espressione di un’ avventura che è sempre protesa alla ricerca della perfezione e al dominio dello spazio.
Nel libro evidenzia in maniera perfetta perché Rinus Michels é ritenuto il più importante allenatore del secolo scorso: le sue teorie e la sua tattica sono ancora moderne ai nostri giorni?
Michels è stato ed è un punto di riferimento per chi segue il calcio; per chi lo ama e vuole che questo sport possa e debba migliorare. Sostenere che le sue teorie e la sua tattica di gioco, per una parte, sono ancora oggi applicabili, non è utopistico. Ma io ritengo che il trainer Michels rappresenti un classico del football e quindi, come altri che lo hanno preceduto, rimane ed è ineguagliabile.
Al movimento calcistico olandese é mancata la vittoria nel 1974 o nel 1978 per legittimarsi? Oppure il suo alone rivoluzionario e leggendario va oltre il risultato del campo?
Il suo alone permane, se non altro poiché oggi si insiste ancora sul fatto che le maglie degli oranje appaiono in tv piuttosto sbiadite, rispetto al colore che le accompagnava! La leggenda di quell’epoca è descritta dal fatto che questi eroi bianchi, espressione anche essi della rivoluzione beat, condensavano nei gesti e nelle movenze un modo diverso di intendere il mondo e dinque la vita. Apparivano più veloci, più rapidi, più eclettici e più adatti al collettivo. In una parola facevano della resilienza la loro virtù.
Spesso tale rivoluzione calcistica la si fa derivare dalle rivoluzione sociale imperante in quel periodo? É d’accordo? Esiste ih effetti un rapporto di causa/effetto?
Esiste un rapporto multifattoriale che sarebbe un po’ troppo ampio dover inquadrare. Rimane il fatto che l’Olanda è stato un paese che non ha combattuto durante i due ultimi conflitti mondiali; che ha fatto dell’impegno ecologico (vedi il movimento dei Provos) e del tema dello sviluppo sostenibile nel mondo del lavoro, nell’ambito del rapporto uomo-natura, nello tensione al riconoscimento dei diritti civili , alcuni dei suoi più emblematici percorsi di evoluzione e di coscientizzazione.
Cosa rende il calcio così speciale da poterlo raccontare e confrontate con tematiche filosofiche e psicologiche di alto livello? Cosa risponderebbe a chi la potrebbe ritenere una forzatura?
Risponderei che molti di loro hanno ragione! Ma il football, come ogni altra espressione della vita, può essere narrato in chiave epica , come era solito fare il grande Gianni Brera, o per mezzo di metafore, esempi , similitudini, parallelismi ed invenzioni. A me è piaciuto raccontare di loro (gli uomini dell’Arancia meccanica), attraverso ciò che io sono, in questo momento, e ciò che i miei occhi e la mia mente immaginano. Il libro poi è andato da sé, e tutto ciò rimane, ancora, un affascinante mistero.
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