
Ciao Giovanni e benvenuto su Bibliocalcio.
Come prima domanda non posso non chiederti come è nata l’idea di questo libro così particolare?
L’idea è nata quando ho conosciuto il mio editore, Rosario Esposito La Rossa per averlo invitato ad una manifestazione letteraria organizzata dall’Assessora alla Cultura del mio paese, Marilena Belardo. In quella occasione Rosario venne a presentare alcuni libri della collana “Le Cartoline”. Da lì è nato un dialogo sempre più interessante e suggestivo e Rosario mi ha chiesto di scrivere una Cartolina su Santiago del Cile 1973.
Questo era il tuo esordio letterario, che avventura è stata?
Molto piacevole. Scrivere è sempre stata una passione un po’ disordinata. L’idea di raccontare la storia attraverso una storia è stato un viaggio molto affascinante. Ho ripreso appunti e suggestioni di un tempo ed ho iniziato a scrivere. Ho dovuto stringere perché la storia ogni tanto debordava, andava per conto suo. Diciamo che ad un certo punto ho dovuto mettergli le briglie.
Il libro fa parte di una collana di “Cartoline” dedicata a diverse città, come mai hai deciso di focalizzarti proprio su Santiago de Cile?
L’esperienza di Salvador Allende mi ha affascinato sin dagli anni del liceo. Ne ho fatto l’argomento della mia tesi di laurea. Il fatto che attorno ad essa si sia coagulato, a cavallo tra gli anni ’60 e i ’70, tutto un universo di artisti, intellettuali, personalità straordinarie mi ha sempre suggestionato. Santiago del Cile, nel 1973, mi è sembrato un chiavistello ideale per impostare una storia, realmente accaduta, interessante ed in grado di stimolare chi la legge a leggere ancora, a cercare di conoscere qualcosa di più, ad interessarsi a figure eccezionali come, per citarne solo una, Violeta Parra.
Con una trovata da navigato scrittore hai deciso di affidare l’io narrante a Carlos Caszely, come mai ti sei affidato proprio a questo giocatore?
Carlos Caszely incarna quel particolare tipo di calciatore, in effetti piuttosto raro, che ha coniugato la passione per il calcio con la militanza politica. In anni peraltro assai difficili.
La sua carriera copre praticamente tutto il periodo che va dalla vittoria di Allende al ritorno alla democrazia, seppur controllata, con il referendum del 1988.
La sua è una storia affascinante e raccontarla attraverso la sua voce, di calciatore e, appunto, di militante comunista, mi è sembrato suggestivo e mi ha dato modo di incrociare fatti e figure molto interessanti.
Pinochet sulla scia dei vari governi militari del Sudamerica e prima ancora dei regimi dittatoriali degli anni ‘30 e ‘40 ha utilizzato il calcio come vetrina per il suo governo; Riguardo il governo Allende invece, che notizie si hanno a riguardo?
Pinochet, come molte dittature, specialmente sudamericane, ha utilizzato il calcio come strumento di consenso. Come arma di “distrazione di massa”. Basti pensare che dopo il golpe il regime “fondò”, di fatto, molte squadre distribuite su tutto il territorio nazionale. Probabilmente la più famosa fu il Cobreloa, la squadra di Calama, la capitale mineraria del Cile. L’obiettivo era quello di “distrarre” gli operai del rame dall’attivismo e dalla militanza. In pochi anni, il Cobreloa passò dalla seconda divisione a vincere il titolo fino ad arrivare addirittura a due finali di Copa Libertadores, perse entrambe, una contro il Flamengo di Zico. Nel governo Allende in molti erano appassionati di calcio. Victor Jara era per esempio un grande tifoso del Colo Colo, al punto che chiese ai figli di continuare, anche se lui fosse morto, a fargli l’abbonamento. Lo stesso Allende seguiva con attenzione il Colo Colo, specie quando giocava la Libertadores. E’ celebre una foto che lo ritrae con Carlos Caszely in occasione della finale con l’Independiente del 1973. Non ha mai utilizzato, però, il calcio di alto livello a fini propagandistici o di creazione del consenso.
Il boicottaggio dell’Unione Sovietica nonostante fosse una chiara presa di posizione politica aveva un fondamento concreto visti i fatti avvenuti allo Stadio Nazionale di Santiago. Qual è il tuo punto di vista a riguardo, è giusto boicottare un evento sportivo per motivi politici?
Bisogna tener presente il contesto nel quale avviene il boicottaggio e chi lo attua. È chiaro che disertare una manifestazione sportiva per motivi politici si presta a diverse interpretazioni. Se pensiamo che anche i governi, in certi casi, non riconoscono i regimi che nascono da colpi di stato violenti diventa plausibile che anche a livello di rappresentative sportive nazionali possano essere prese scelte del genere. Io credo che possa avere un significato importante quello di boicottare un evento seguito da milioni di persone. Di fronte a governi che utilizzano il calcio per nascondere i campi di concentramento, che anzi utilizzano a questo scopo gli stadi nazionali, che durante le partite preleva forzatamente quelli che poi diverranno desaparecidos, qualsiasi forma di protesta, anche la più radicale, sia lecita.
C’è differenza tra le proteste di rappresentative quali quella tedesca o quella danese nei confronti della FIFA per gli scheletri del Mondiale qatariota e quelle degli atleti russi esclusi dalle competizioni internazionali per l’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina?
Io credo che ci sia una differenza sostanziale. Da un lato una presa di posizione rispetto ad un regime che è molto indietro nel rispetto dei più elementari diritti umani e che ha organizzato un Mondiale nel più completo per la dignità e per la vita di esseri umani “utilizzati” come carne da macello. Anche in questo caso andrebbe sottoposto a critica l’intero governo del calcio mondiale perché è evidente che il Mondiale in Qatar rappresenta solo la punta di un iceberg che affonda molto in profondità.
Nel caso degli atleti russi io credo che si tratti di una protesta legittima. Senza voler scendere nello specifico del conflitto russo-ucraino, l’idea di punire gli sportivi russi, o di impedire concerti e rappresentazioni teatrali di artisti russi mi pare piuttosto grottesca. Una rappresaglia, in un certo qual modo, peraltro a geometria variabile. Mi chiedo: se si legge la Russia come l’invasore e l’Ucraina come l’occupato, per quale motivo una decisione del genere non riguardi anche gli sportivi israeliani, ad esempio.
Nonostante i successi in Copa America della generazione dorata del calcio cileno a livello editoriale in Italia si parla e si scrive solo del passato. Sapresti spiegarmi come mai?
Direi che siamo in una fase in cui il calcio ha perso un po’ la dimensione epica, il discorso calcistico si concentra su poche figure iconiche molto mediatiche che concentrano su se stesse interessi economici enormi. Nel caso del Cile, nonostante appunto le vittorie degli ultimi anni e calciatori di grandissimo livello come Zamorano, Salas, Alexis Sanchez, Vidal ed altri, prevale ancora l’aspetto molto evocativo degli anni ’70 quando il calcio era popolare nel senso più autentico del termine. Diciamo che ancora oggi c’è molto più da raccontare di quel tempo, di quel calcio piuttosto che di quello che accade oggi.
Ma da questo punto di vista, come ho detto, mi pare che sia una tendenza abbastanza generale.
A dispetto del fatto che il tuo sia uscito relativamente da poco, hai già in mente un nuovo progetto? Diciamo che l’esperienza di Santiago del Cile 1973 ha aperto una prospettiva di cui stiamo parlando con Rosario e con Coppola Editore e che può avere delle evoluzioni molto suggestive. Sto lavorando a due idee che riguardano sempre il calcio, la politica e l’America Latina e che a breve troveranno una
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