Intervista: Il Centravanti E La Mecca. Calcio, Islam e Petroldollari

Un bel libro che entra nel dettaglio del rapporto tra il calcio ed il contesto islamico, mettendo in evidenza tanti esempi concreti e ambiti di sicuro interessa. Ne abbiamo parlato con Rocco Bellantone

Come nasce l’idea del libro e che impulso ha dato il Mondiale in Qatar per la sua realizzazione?

“Il centravanti e La Mecca” nasce anzitutto dalla passione per il calcio da parte del gruppo di giornalisti che insieme a me ne hanno scritto i contenuti. Ognuno di noi, oltre a essere un appassionato di calcio, è anche un appassionato di esteri. Marco Cochi, Beniamino Franceschini e io siamo specializzati sulle questioni che riguardano il continente africano. Stefano Piazza è un esperto di terrorismo di matrice jihadista, Marco Spiridigliozzi scrive da anni per i principali quotidiani sportivi nazionali. Davide Vannucci, oggi giornalista di Rai Sardegna, ha scritto per anni di esteri nelle principali testate nazionali.Mettere insieme tutte queste nostre conoscenze e farle dialogare con il nostro interesse per i Paesi a maggioranza musulmana oltre che per il calcio ci è venuto naturale. E il risultato è stato questo libro agile, semplice da leggere e al contempo ricco di informazioni e chicche sul calcio per come è vissuto nei Paesi islamici. Il Mondiale in Qatar è stato l’evento che ci ha “costretto” a un certo punto a chiudere il libro. Altrimenti per quanto ci siamo divertiti a scriverlo avremmo continuato all’infinito. Ovviamente considerato che si è trattato dei primi Mondiali di calcio in un Paese del Medio Oriente, era questo il momento migliore in cui far uscire il libro. 

Anche alla luce degli ultimi casi acclarati di corruzione credi che l’Occidente sia alla mercé dei petrodollari provenienti dal Medio Oriente?

Lo scandalo Qatargate, fatto uscire sulla stampa non a caso proprio sul finire di questi Mondiali, dimostra che l’Occidente e l’Europa sono legati indissolubilmente al potere economico ed energetico dei Paesi del Golfo. E questo Mondiale non ha fatto altro che confermarlo. Su una serie di questioni che si conoscevano da tempo – a cominciare dal fatto che in Qatar, essendo un Paese in cui vige la Sharia, non sia possibile esprimere liberamente il proprio essere gay – la Fifa e dunque l’Europa e l’Occidente hanno fatto una pessima figura. Questi mondiali a detta della Fifa sarebbero dovuti servire ad aprire all’Occidente la cultura e le politiche del Qatar. E invece hanno solo confermato che ci sono interessi economici al cospetto dei quali l’Occidente non farà mai un passo indietro concretamente. Anche se si parla di questioni molto importanti che hanno a che fare non solo con la parità di genere ma anche con la sicurezza nei luoghi di lavoro. Le migliaia di morti denunciati da Amnesty International nella costruzione degli stadi di Doha che hanno ospitato le partite continueranno a esserci per le altre grandi opere in questo Paese anche dopo questi Mondiali. 

A tuo parere come può coesistere in Afghanistan l’assoluta risolutezza verso il calcio e allo stempi tempo lo sfruttamento del mercato della droga per finanziario?

Per il Talebani i traffici di oppio e di altri stupefacenti rappresentano da sempre la loro prima fonte di introiti. Il calcio invece viene visto come un “male”, in quanto potenziale distrattore delle masse e corruttore dei loro costumi e delle loro abitudini. E per questo motivo i Talebani lo vietano e anzi usano gli stadi per compiere esecuzioni in pubblico. La soppressione del calcio in Afghanistan è solo uno dei casi che dimostrano come nell’arco di nemmeno due anni con il loro ritorno al potere i Talebani abbiano fatto ripiombare l’Afghanistan e il suo popolo indietro di decenni nella storia. E a pagare le più pesanti conseguenze di questo salto all’indietro sono purtroppo soprattutto le donne, costrette a tornare a diventare ombre degli uomini, a uscire dalla vita sociale del Paese, a non poter più frequentare scuole e università. 

Nella tratta dei giovani calciatori l’Europa si dimostra da sempre connivente o addirittura parte in cause: quanto una regolamentazione del ruolo degli intermediari e delle pratiche di passaggio di calciatori da una squadra all’altra potrebbe attenuare il fenomeno?

Nel 2001 la Fifa ha introdotto nel proprio regolamento sulla compravendita dei giocatori l’art. 19, che vieta il trasferimento di calciatori sotto i 18 anni in un Paese diverso da quello d’origine, salvo eccezioni ben definite riviste più volte nel corso del tempo e rafforzate in Italia con la legge del 2016 sul cosiddetto ius soli sportivo. Le violazioni non sono mancate, con sanzioni per squadre importanti come Atletico Madrid, Barcellona, Chelsea e Real Madrid.L’iniziativa della Fifa sull’art. 19, però, è in qualche modo aggirata costantemente tramite le scappatoie di un mercato paradossalmente reso istituzionalizzato dal regolamento stesso, anche tramite ambiguità nelle legislazioni nazionali. Allo stesso tempo, inoltre, non è sempre facile per gli inquirenti provare fattispecie quali la tratta di persone o il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in caso di soggetti che arrivino in Europa sulla base di un contratto che, per quanto economicamente sperequato a vantaggio dell’agente, è stato regolarmente sottoscritto dalle famiglie e non ha prodotto situazioni di palese sfruttamento. Le organizzazioni internazionali del calcio non sono state in grado di limitare il fenomeno, anche a causa di alcune scelte che si sono rivelate controproducenti. È il caso della norma Fifa del 2015 che abbassa l’età minima per i trasferimenti da 12 a 10 anni, al fine di estendere le tutele a fronte di un mercato già esistente. L’effetto è stato confermare un trend che mira a cercare talenti sempre più giovani, per seguirne la formazione in modo totalizzante e abbattere i costi. Un importante – e geopoliticamente rilevante – esempio di sistema per il reclutamento di giovani calciatori è stato il progetto Football Dreams della Aspire Academy, fondata dallo sceicco Jassim bin Hamad Al Thani nel 2004 con l’obiettivo di scovare talenti sportivi per aumentare il prestigio del Qatar. Considerate le dimensioni e la potenzialità d’espansione del mercato dei calciatori, la problematica dei movimenti irregolari tra l’Africa e il resto del mondo non si risolverà mai davvero del tutto. Le azioni dovrebbero essere in più direzioni, in termini sia di collaborazione internazionale, sia di consapevolezza dell’opinione pubblica, sia di sviluppo dello sport africano.

Riesci quale sarà a breve il futuro delle società appartenenti a ricchissimo esponenti dei paesi arabi? Il loro progetto potrebbe avere una fine?

Psg e Manchester City si sono poste in pochi anni ai vertici del calcio europeo, anche se ad oggi non hanno ancora alzato al cielo la coppa più ambita, la Champions League. A dimostrazione del fatto che i soldi da soli non bastano per tagliare i più ambiziosi traguardi sportivi. Fino a quando gli sceicchi del Golfo avranno interesse a usare queste squadre per esercitare pressione politica ed economica sull’Europa, allora queste squadre continueranno a essere competitive e riempite di grandi campioni. Prima o poi però il giocattolo potrebbe rompersi. Pensiamo al Chelsea del magante russo Abramovic. Fino a inizio 2022 il patron del Chelsea sembrava intoccabile. Poi la guerra in Ucraina lo ha costretto a lasciare la proprietà della società. E ora il Chelsea sta pagando anche il prezzo sportivo di questo strappo. 

Continuerete ad occuparvii del rapporto contesto mussulmano? Avete già in cantiere qualche altro progetto? 

Ci piacerebbe continuare a esplorare e raccontare il calcio non in modo fine a se stesso, ma sempre collegando questo argomento ad altre sfere delle varie società e culture che popolano il mondo. Questo libro ha dimostrato che si può parlare di cacio anche andando oltre la cronaca della domenica e le notizie di calciomercato. E imparare così a conoscere un po’ di più il pianeta in cui viviamo e quei Paesi che per cultura e filosofia di vita ci appaiono lontani. 

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