Intervista: Cruijff Turn

Piero Faltoni racconta una fase della carriera di Johan Cruijff spesso sottovalutata, valere a dire quella finale al Feyenoord. Con tantissimi particolari e con uno stile ricercato l’autore risalta l’ennesima ed ultima scelta vincente del “Profeta del gol”. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Nel complimentarmi per il libro, ti chiedo come nasce l’idea di dedicarsi ad una pagina poco conosciuta della carriera di Cruijff, vale a dire la sua esperienza al Feyenoord.

Come ho scritto nell’Introduzione, ho voluto raccontare come è stato possibile che un calciatore, un uomo, di trentasei anni sia riuscito a trovare le energie e le motivazioni per rimettere insieme i cocci della sua storia gloriosa andata in pezzi e costruirne una nuova altrettanto splendente, facendosi apprezzare, dire amare sarebbe esagerato, da migliaia di persone che fino a pochi mesi prima detestavano anche solo udire il suono del suo nome. È una storia di rinascita dopo la sconfitta, di ansia di vendetta unita alla necessità di pagare un debito di riconoscenza. Tutti ingredienti che si prestavano per una trasposizione letteraria.

Nel libro utilizzi uno stile ricercato ed esprimi concetti di un certo livello culturale: credi che la letteratura sportiva sia pienamente adatta a questo tipo di narrazione?

Più che ricercato, direi che è il mio stile. Non saprei scrivere diversamente. Cerco prima di tutto di farmi leggere e di appassionare il lettore. E il primo lettore di quello che scrivo sono io: se non mi diverto io, non vedo perché dovrebbero farlo gli altri. In pratica, impiego più tempo a rileggermi e a correggermi che a scrivere. In questo senso, ad essere ricercata è la mia lettura, piuttosto che la scrittura. Per rispondere alla tua domanda, non mi chiederei se la letteratura sportiva sia adatta ad un certo tipo di narrazione, bensì se questa narrazione sia avvincente o meno.

Al tempo stesso le cronache delle partite sono precisissime e ricche di riferimenti e spunti: quanto è durato e come hai impostato il lavoro di ricerca?

Un paio di mesi. La ricerca è andata avanti di pari passo con la scrittura. Trattandosi di un periodo relativamente a noi vicino nel tempo, ho potuto visionare i filmati di quasi tutte le partite del Feyenoord in quella stagione, o almeno spezzoni di esse. Per i tabellini delle partite ho consultato vari siti specializzati in lingua olandese o inglese. Per quanto riguarda la vita del “Profeta del gol”, tra i riferimenti bibliografici che cito a fine testo, mi è stata di fondamentale aiuto la voluminosa biografia (560 pagine!) scritta dall’olandese Auke Kok, di cui, per mia fortuna, è uscita nel 2019 un’edizione in lingua spagnola. A giugno scorso ne è stata pubblicata la versione inglese, ma a quel punto avevo già ultimato il libro da un bel po’.

A Rotterdam il suo ruolo in campo ha avuto un’evoluzione legata all’età o un’involuzione sempre legata all’età?

Un’evoluzione, senza dubbio. A 36 anni aveva raggiunto una maturità ignota al periodo dell’Arancia meccanica. Al tempo stesso, la sua autorità, messa in discussione negli ultimi due anni all’Ajax, venne accolta di buon grado dai nuovi compagni del Feyenoord. Nel 1983-84 Johan poté giocare nel modo a lui più congeniale: da regista a tutto campo, con licenza di segnare. Bisogna anche dire che fu sorretto per l’intera stagione da una forma fisica invidiabile.

A tal proposito i critici potrebbero obiettare che il Feyenoord avrebbe potuto vincere campionato e coppa anche senza Johan, visto il rendimento di certi singoli (ad esempio Hoekstra e Houtman): come confuteresti questa tesi?

Dicendo che quei singoli, in particolare Hoekstra e Brard, quel rendimento così elevato lo ebbero solo nella stagione con Cruijff in campo, che veramente sapeva trarre il meglio dai suoi compagni. Almeno da quelli che seguivano i suoi suggerimenti, che non di rado erano precetti indiscutibili. Aggiungerei, a beneficio dei “critici”, che l’anno successivo, pensionatosi Cruijff e con Gullit
infortunato per metà annata, il club di Rotterdam tornò ad essere una squadra “normale”.

Ho molto apprezzato il riuscito paragone tra le movenze di Johan e la danza; credi che anche per questo l’olandese rappresenti un unicum nella storia del calcio?

Molti calciatori brasiliani sembrano ballare mentre giocano. Ma sono dei ballerini di samba. Cruijff era un danzatore classico, non a caso ammirato da Nureyev. Il suo busto e le braccia apparentemente esili erano impiantati su due gambe fortissime che gli consentivano balzi impensabili, e il famoso gol all’Atletico Madrid ne è solo l’immagine più emblematica. Le sue giravolte in campo erano simili a volteggi di alta scuola. E poi, pur essendo destrorso, sapeva usare benissimo anche il piede mancino: il suo vezzo di calciare di esterno destro era, appunto, un vezzo, una stravaganza per restare meglio impresso nella mente dello spettatore. Quando si parla di calcio- spettacolo dovremmo sempre ricordarci di Johan Cruijff, per il quale la vittoria contava meno del modo in cui era stata ottenuta. Sì, credo che sia stato un calciatore unico. Ed irripetibile.

Credi che, con questa vittoriosa esperienza, abbia dimostrato di essere al di sopra di squadre ed allenatori? Per dirla alla catalana, Cruijff è stato “Més que un Club”?

I tifosi del Barça sono soliti ripetere in coro: «Per questa squadra nulla è impossibile. Anche perché noi siamo molto più che una squadra». Che per lui nulla fosse impossibile, Johan lo aveva già dimostrato con la sua vita. Idem che fosse al di sopra di compagni e allenatori, e spesso in contrasto con loro. Per lui, come per pochi altri campioni nel mondo del calcio, vale il detto «Chi non è con me è contro di me»: era convinto, probabilmente a ragione, di capire di calcio più di chiunque e, inevitabilmente, si scontrava con chi la pensava diversamente, come il tecnico tedesco Weisweiler, o con chi riteneva lo avesse “tradito”, come l’amico Keizer. Gli unici capaci di tenergli testa furono il suocero Cor Coster e il “generale” Michels.

Dopo il libro su Boninsegna e questo su Cruijff hai già in cantiere altri progetti? Ci puoi anticipare qualcosa?

Ho molti libri nel cassetto. Da leggere. Quando li avrò letti tutti, o quasi, mi metterò alla ricerca di una storia da raccontare. Una storia che sia interessante per chi dovrebbe affrontare la fatica di leggerla, più che per me che dovrei scriverla. Vorrei evitare di scrivermi addosso, una peculiarità che riscontro di frequente, anche nei cosiddetti autori di best-seller.

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