Intervista a Mauro Grimaldi

Ciao Mauro, è sempre un piacere ritrovarti su Bibliocalcio. Con l’uscita del tuo libro Storia d’Italia, del calcio e della Nazionale. Uomini, fatti, aneddoti (1995-2021)” hai finalmente portato a conclusione la tua fantastica trilogia. Ricordiamo infatti che questo volume segue i due precedenti, relativi al 1850-1949 (il primo volume) e 1950-1994 (il secondo volume). Perché una trilogia sulla storia della Nazionale italiana?

L’idea nasce con l’obiettivo di raccontare, soprattutto alle generazioni più giovani, la nostra storia, la storia d’Italia utilizzando uno strumento attrattivo per i ragazzi come può essere il calcio. L’anfitrione di questo viaggio nel tempo è la Nazionale che secondo me rappresenta la vera anima del nostro Paese. Non esiste organizzazione politica, economica, istituzionale che sia così trasversale alla gente, che riesca a coinvolgerla emotivamente a prescindere dal colore politico. Questo perché l’identificazione tra il calcio e la nostra vita è molto forte. Uno dei maggiori filosofi del ‘900, Jean Paul Sartre, nella sua “Critica della ragione dialettica” ha scritto che “Il calcio è la metafora della vita.” Questa mi sembra la sintesi perfetta di quello che rappresenta e ha sempre rappresentato il calcio. Ormai è un fenomeno globale che procede in simbiosi con tutte le aree della nostra società e anche questa non è una novità. Anche storicamente esiste un forte parallelismo tra la storia d’Italia e quella del calcio, un percorso simbiotico che inizia dal periodo post-unitario, cioè da quando l’Italia, finalmente nazione sovrana, muoveva i primi passi e si apriva alle influenze europee, soprattutto anglosassoni che nel periodo Vittoriano, con la rivoluzione industriale, avevano dato una spinta significativa ad un radicale cambiamento del modello economico e sociale europeo. Da qui si assiste ad un processo di proletarizzazione del calcio che passa dall’essere un fenomeno aristocratico e borghese a un fenomeno di massa. È questa la prima grande rivoluzione che deve essere riconosciuta al calcio che ha saputo rompere gli schemi e proiettare il Paese verso nuovi orizzonti.

Questo terzo volume si concentra su accadimenti di cui praticamente siamo stati tutti testimoni. Come hai fatto a mantenere il giusto equilibrio tra storia e cronaca?

Sotto l’aspetto della ricostruzione storica è stato il più complesso. È vero che siamo stati testimoni diretti degli avvenimenti descritti ma, paradossalmente non abbiamo avuto il tempo di metabolizzarli. Sono comunque eventi di grande portata storica e ce ne renderemo conto, più compiutamente, tra qualche anno.  Dal 2008 al 2021 abbiamo assistito ad eventi che hanno cambiato radicalmente le nostre abitudini e i modelli sociali. Prima le due grandi crisi finanziarie poi la pandemia che ci ha fatto riflettere su noi stessi, sul senso della vita e ha modificato sostanzialmente la nostra visione della vita. È stato un periodo terribile che ho voluto descrivere nel modo più analitico per lasciarlo impresso nella memoria. Poi c’è il calcio che ha avuto un ruolo fondamentale di collegamento sociale e che ha pagato un pesante tributo economico, ma è stato un punto di riferimento per tutti, una parvenza di normalità in uno dei periodi più bui della nostra storia. Il coronamento di tutto si è avuto con la vittoria della Nazionale agli Europei che ha dato una forte scossa al Paese in termini di rinascita, motivazione, identità nazionale e attenzione. Questa vittoria è servita anche a misurare quando la Nazionale di calcio occupi, nella passione degli italiani, il primo posto in assoluto. Nel 2021, a livello sportivo, l’Italia ha vinto tutto. Su 16 campionati europei di diverse discipline disputati ci siamo assicurati 7 titoli continentali. A questo aggiungiamo le vittorie alle Olimpiadi e alle Paralimpiadi, con le splendide medaglie d’oro nella velocità in atletica e salto in alto. Poi il ciclismo su pista con 4 ori mondiali, gli ori mondiali sulla ginnastica ritmica, artistica, karate. Insomma, potrei andare ancora avanti fino alla conquista del campionato mondiale di pasticceria. Eppure, l’unica vittoria che ha trascinato la gente in strada, che ha fatto impazzire le città con cortei e caroselli automobilistici, che ha intasato le prime pagine dei giornali e del web è stata quella degli Azzurri a Wembley. Questo significherà pur qualcosa? Poi ho dovuto mettere insieme tutte le tessere di questo puzzle per rendere il racconto armonico ma questo è stato meno complicato perché si è creato una sorta di automatismo tra calcio e eventi storici perché mai come in questo periodo il calcio è diventato parte integrante della nostra società civile.

Nel periodo di tempo analizzato l’Italia ha avuto clamorosi alti ma purtroppo anche bassi dolorosi. Alla luce di questa mancanza di costanza della Nazionale italiana nel panorama calcistico internazionale, che giudizio dai del nostro movimento, siamo ancora una nazionale di spicco oppure no?

La Nazionale è un must da cui non si può prescindere. Ci fa piangere, ci fa gioire, ci fa abbracciare, ci fa urlare, ci fa sentire italiani anche con una punta di orgoglio. Poi c’è l’aspetto sportivo che è legato alle dinamiche dello sport che è segnato da cicli dove le sconfitte fanno parte del gioco ma sono funzionali alle vittorie. La cosa importante è credere nel progetto, in quel progetto che è iniziato dopo la mancata qualificazione ai Mondiali di Russia con Roberto Mancini e ci ha portato a due finali consecutive di Nation League, ad una vittoria nel Campionato Europeo ottenuta con grande merito e conclusasi battendo gli inglesi a casa loro. Certo, resta la seconda esclusione consecutiva dai Mondiali, difficile da accettare. Poi possiamo discutere sui singoli episodi, sui due rigori decisivi sbagliati da Jorginho proprio con la Svizzera e tante altre cose ma la realtà è che siamo fuori dai Mondiali. Tutto questo, però, non sminuisce il ruolo di una Nazionale tra le più forti al Mondo e la scelta di continuare a scommettere sul progetto iniziato con Roberto Mancini è una risposta importante e per certi versi storica. Mai, fino ad oggi, un allenatore che aveva fallito un obiettivo simile era rimasto al suo posto. Adesso bisogna iniziare a ragionare in prospettiva. In Italia, per cultura, siamo abituati ad esonerare l’allenatore appena qualcosa va storto, non riusciamo ad immaginare un progetto a lungo termine come in Inghilterra, un esempio su tutti Alex Ferguson con il Manchester United. I progetti vanno costruiti e ci vuole tempo. Tra l’altro, in un campionato dove oltre il 70% dei calciatori sono stranieri non è facile selezionare calciatori all’altezza ma a Mancini va riconosciuto il merito di avere introdotto in Nazionale una mentalità di squadra, di aver lanciato giovani talenti che costituiranno l’ossatura della Nazionale nei prossimi anni. Intendiamoci, non esistono alibi ma bisogna ampliare gli orizzonti ed iniziare a ragionare in prospettiva per costruire un progetto su fondamenta solide e i talenti non mancano.

Nonostante il volume sia andato in stampa a maggio di quest’anno la narrazione si chiude con la vittoria dell’Europeo in Inghilterra. Come mai hai deciso di non tenere in considerazione la mancata qualificazione al Mondiale in Qatar?

Potrei dire che volevo chiudere con una vittoria e non con una sconfitta. In realtà il volume era terminato da tempo e in fase di rilettura e impaginazione per cui non me la sono sentita di rimettere mano a tutto. Sarà una buona scusa per mettere in cantiere il quarto volume…

Quest’ultimo volume tra i tre è il più corposo, parallelamente al racconto calcistico, infatti, hai optato per un’analisi storica di grande respiro. Ad oggi la Nazionale azzurra rispecchia il nostro tessuto sociale?

Il fatto di aver vissuto come testimone diretto questi avvenimenti mi ha portato a descrivere con dovizia di particolari gli aventi accaduti. Una sorta di immedesimazione storica per lasciare una traccia più realistica possibile di questi anni. Tra l’altro le diverse fonti desumibili dal web consentono, a differenza degli altri periodi storici, la possibilità di accedere a testimonianze dirette. Come avrai notato, il refrain dei tre volumi, è quello di riportare il più possibile, virgolettato, il pensiero dei protagonisti proprio per non dare una visione distorta della realtà dei fatti attenendomi il meno possibile ad interpretazioni gratuite. Poi l’anello di congiuntura tra i vari eventi e il loro parallelismo, che è la parte più difficile, rappresenta il vero lavoro per facilitare il lettore alla comprensione. Per quanto attiene al ruolo della Nazionale, cioè se ancora oggi rappresenti il nostro tessuto sociale, direi sicuramente di sì. Come ho già detto la Nazionale raffigura l’anima del Paese, ne mutua pregi e difetti, fa da collettore a passioni e delusioni, trasferisce l’immagine di un’Italia sportiva, volitiva e spesso vincente. Non saprei immaginare un’Italia senza Nazionale e, soprattutto, senza calcio.

Nella tua analista storica non hai preso in considerazione i successi della Nazionale Under 21, così come non hai avuto modo di raccontare la mancanza di un ulteriore successo olimpico dopo quello del ’36, come mai questa tua scelta?

È vero, una mia mancanza ma ho voluto concentrarmi sul percorso principale, anche se i 5 successi ottenuti dall’Under 21 nel decennio 1992-2004 hanno rappresentato, in termini di crescita della Nazionale maggiore, un valore aggiunto importante. Anche il secondo posto del 1986, sicuramente uno dei più ricchi di talenti, è stato determinante per la costruzione della Nazionale che si classificò terza nei Mondiali del 1990. Tra l’altro, e non è un caso, la Under 21 è stata anche una scuola di formazione per i Commissari Tecnici della serie A, su tutti Vicini e Maldini. Per quanto attiene alle Olimpiadi e all’unico successo datato 1936 è stato trattato, in modo esauriente, nel primo volume. Del resto, a parte l’era targata Vittorio Pozzo, gli Azzurri non hanno mai particolarmente brillato ai Giochi Olimpici. Difficile capirne le ragioni anche perché spesso l’Italia si è presentata ai Giochi con formazioni molto forti e accreditate. Diverso è l’approccio dei Paesi sudamericani che hanno sempre avuto una forte tradizione olimpica. Negli anni 2000, ad esempio, Argentina, Messico e Brasile si sono spartiti gli ultimi 5 titoli olimpici e prima, nelle due precedenti edizioni, è stato un trionfo del calcio africano con Nigeria e Camerun. In effetti quello di conquistare l’oro olimpico potrebbe essere uno dei principali obiettivi dei prossimi anni.

Nell’affrontare questo ventennio tanti sono stati i giocatori di grande livello che abbiamo visto in azione con la maglia azzurra, da Baggio a Maldini, da Totti a Del Piero e così via; allo stesso tempo però chi avrebbe dovuto prendere il loro posto non è stato all’altezza, vedi i vari Balotelli, Cassano e lo sfortunato Giuseppe Rossi. Oggi come oggi il non avere un fuoriclasse di livello internazionale pensi possa essere un vantaggio o uno svantaggio per il nostro movimento complessivamente considerato?

Ci sono dei periodi in cui assistiamo ad un sovraffollamento di campioni. Pensa solo alla coesistenza di Del Piero, Totti e Pirlo. Oggi ne basterebbe solo uno di loro per fare una grande squadra. Poi ci sono quei fenomeni naturali – citi giustamente Balotelli e Cassano – che avrebbero potuto fare moltissimo ed aspirare a riconoscimenti internazionali anche a livello personale e poi si sono persi per strada. Del resto, genio e sregolatezza sono sempre andati a braccetto. Mi è rimasta in mente una frase di uno dei più grandi talenti della storia del calcio mondiale, George Best, che disse “Se io fossi nato brutto, non avreste mai sentito parlare di Pelé”. Esiste, quindi, la consapevolezza delle proprie capacità ma alle volte non si riesce a governare il proprio genio calcistico che tracima in avventure extra-sportive non proprio edificanti. Oggi, di fuoriclasse in Italia ne vedo ben pochi e comunque lontani anni luce dai Baggio e dai Pirlo. Potrebbe essere un bene se vediamo il bicchiere mezzo pieno. Lo ha dimostrato Mancini impostando il proprio credo sul gruppo e non sul singolo.

Chiusa quest’avventura editoriale che progetti hai per il futuro? C’è qualcosa di cui ti vorresti occupare prima o poi?

Di progetti in testa ne ho tanti. Per ora l’area Nazionale l’ho scandagliata per lungo e per largo e quindi vorrei cambiare rotta. Sto lavorando su un progetto editoriale che riguarda lo scudetto della Roma del 1983 anche come fenomeno sociale e culturale, quello di una Roma che all’inizio degli anni Ottanta era il punto di riferimento della cultura europea, dell’effimero, con le estati romane di Renato Nicolini. Per quelli della mia generazione che hanno vissuto quegli anni, resta un’esperienza unica e indimenticabile a cui aggiungerei quel pizzico di incoscienza che ci accompagnava e che solo la gioventù sa apprezzare.

Grazie Mauro, è stato piacevolissimo parlare di calcio e di libri con te. Alla prossima!

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