Intervista: F***ing Zizì

Angelo Taglieri racconta la figura particolare ed affascinante di Lugi Cevenini, autentico campione degli anni’20, attraverso la sua avvenuta in Inghilterra. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Come nasce l’idea del libro e come sei venuto a conoscenza dell’avventura inglese di Luigi Cevenini?

Sono venuto a conoscenza dell’avventura inglese di Zizì dopo aver redatto un articolo sui fratelli nel calcio per calciomercato.com. La storia di questi fratelli, tutti calciatori nei club milanesi, mi ha affascinato da subito e andando in profondità ho incontrato Zizì. È stato amore a prima ‘lettura’. Ho iniziato a leggere tante cose su di lui, dagli articoli al libro di Filippo Grassia. Ed ecco, leggendo quest’ultimo ho deciso di scavare sull’esperienza inglese.

Quando è durato il lavoro di ricerca e quale tipo di fonti hai utilizzato?

Chiaramente per il ritratto personale e i rapporti interpersonali mi ha trasmesso tanto il libro di Filippo. Per quanto riguarda l’esperienza in Inghilterra, invece, è stata fondamentale una biblioteca online inglese, che dava la possibilità di leggere i quotidiani dell’epoca, in particolare ’The Western morning news and mercury’. 4 articoli gratuitamente registrandosi con la propria mail. Ne ho usati un po’ di indirizzi… Il lavoro è stato lungo, ma le notti sono passate in fretta, perché quando vedi che la ricerca porta frutti non senti la stanchezza

È corretto considerarlo il primo fuoriclasse del calcio italiano per un classe ed indole?

Sicuramente il primo genio e sregolatezza. Ma credo che sia corretto considerarlo il primo fuoriclasse del calcio italiano. Anche perché Peppino Meazza aveva lui come idolo, e qualcosa vuol sicuramente dire.

Nell’immaginarne le giocate lo accomuno ad Ibrahimovic, un “9” con la visione di gioco di un “10”, sei d’accordo?

Fisicamente non era Zlatan, quindi io me lo sono sempre immaginato come un Antonio Cassano, un 10 che poteva giocare anche da 9, un talento incredibile con un carattere un pochetto così, sia con la stampa sia coi compagni. In grado, comunque, di regalare spettacolo.

Il suo ego gli é stato più utile o dannoso? Avrebbe potuto rendere di più con un atteggiamento più conciliante?

Era un altro calcio, non erano professionisti in Italia, quindi nel nostro Paese avrebbe avuto sempre la stessa rilevanza. Anzi, magari con un altro carattere sarebbe rimasto nella ‘normalità’ di quei tempi. Probabilmente, con un’altra testa, sarebbe rimasto in Inghilterra a ritagliarsi il suo spazio. Ma come tutti i talenti sregolati, l’istinto ha sempre la meglio rispetto a un percorso ragionato. Ed è bello così.

Ho molto apprezzato la bella ricostruzione che hai fatto del contesto degli anno’20: cosa ti affascina di quell’ambito calcistico?

La cosa che mi ha affascinato di più è sicuramente la normalità, il calcio nel suo stato puro, inteso quasi come hobby. Leggere di giocatori dell’Inter che mettono a posto la staccionata intorno al campo o che giocano con i bambini nei cortili milanesi è stato magico, mi ha fatto tornare bambino, quando sognavi di fare uno scambio con uno dei tuoi idoli.

Nel libro emerge un sano campanilismo tra le squadre milanesi: quanto è cambiato il calcio per arrivare agli eccessi di oggi?

Tantissimo. Come dicevamo prima, appunto, era sano dilettantismo. E quel calcio lo ritrovi eh, perché se ti mischi nelle tribune semivuote di paese, a vedere una partita di terza, seconda o prima categoria, ritrovi il ragazzo che il sabato pomeriggio allena i pulcini e la domenica scende in campo con la Prima Squadra, dopo aver pulito gli spogliatoi in settimana perché uscito per ultimo. Poi c’è il calcio professionistico, che  è un altro mondo, inevitabile. Del resto il calcio che vediamo noi è l’evoluzione di quello che sognava Zizì: lui era andato in Inghilterra per fare il professionista, voleva essere pagato per giocare a calcio; ora, nella crescita degli anni, tutti sognano la Premier. E mi fermo al campo. Perché adoro il campo. Ed è l’unica cosa che conta.


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