
Il libro di Fabrizio Fidecaro entra nelle pieghe della storia dei Mondiali regalando aneddoti e riportando alla mente episodi e situazioni leggendari. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Cosa differenzia la tua opera rispetto ad altre pubblicazioni sulla storia dei Mondiali?
Penso che la differenza principale sia la forte attenzione riservata agli episodi e ai personaggi “minori”. Ho dato più spazio possibile ad alcune storie meno note, di squadre e giocatori rimasti ben distanti dalla conquista del trofeo, ma che hanno vissuto comunque avventure uniche e coinvolgenti. Mi sembrava giusto portare alla luce certe vicende, e dare loro il rilievo che meritano. In generale, esistono moltissimi testi sulla storia dei Mondiali, gli eventi principali sono stati narrati mille volte e analizzati in ogni sfumatura. Questo libro, per sua natura, non poteva ovviamente ignorarli, e infatti se ne parla anche qui. Ho cercato, però, una chiave diversa dal consueto, utilizzando punti di vista (spero) originali e prestando un’attenzione particolare al lato umano dei protagonisti.
Il tuo libro denota grande cura del dettaglio ed un minuzioso lavoro di ricerca, come l’hai organizzato?
Grazie dell’osservazione, mi fa molto piacere che dalla lettura emergano questi aspetti.
Il lavoro ha richiesto parecchi mesi. Ho consultato diversi testi italiani e stranieri sull’argomento (ad esempio “Storia critica del calcio italiano” di Gianni Brera e “The story of the World Cup” di Brian Glanville), fatto ricerche sul web, visionato tanti filmati d’epoca, per le edizioni più recenti attinto a qualche ricordo personale e alla mia collezione di libri e riviste specializzate. Incrociando i dati, ogni volta emergevano nuovi dettagli e le storie diventavano più ricche. Per questioni di spazio, ho dovuto operare una selezione, abbandonando a malincuore alcuni episodi per concentrare l’attenzione su quelli che mi sembravano più interessanti, provando ad approfondire il più possibile questi ultimi e, a un certo punto, lavorando di cesello per sistemare il tutto. È stata un’attività divertente e stimolante. Con il trascorrere del tempo, mi sono appassionato sempre più a ciò di cui stavo scrivendo. La soddisfazione di scoprire nuovi risvolti nelle vicende o di riuscire a trovare quell’elemento che pareva mancare nella narrazione è stata impagabile.
Sei più attratto dalle storie più datate o da quelle più recenti?
I Mondiali di calcio sono una miniera inesauribile di storie appassionanti, dalle origini a oggi. Dovendo scegliere, senza nulla togliere ai tornei degli ultimi decenni, devo dire che su di me le edizioni più datate emanano un fascino particolare, pionieristico, in un certo senso “avventuroso”. Mi riferisco, ad esempio, alle vicende dell’uruguaiano José Leandro Andrade, all’Egitto nel ’34, a Cuba e alle Indie Orientali Olandesi nel ’38, alla Corea del Sud nel ’54, e così via. Sono racconti provenienti da un mondo che non esiste più, fatto di minore consapevolezza, speranze ingenue e vitali, interminabili traversate oceaniche, piccole grandi imprese vissute con semplicità.
C’è un’edizione del Mondiale che più ti intriga e ti entusiasma?
A parte l’edizione inaugurale, per il fascino pionieristico di cui parlavo, e quelle che hanno visto trionfare l’Italia, per ovvi motivi, scrivendo il libro sono rimasto intrigato dal torneo del 1958. Questo perché – al di là del fatto che purtroppo gli azzurri non si qualificarono – sono tante le storie avvincenti che ha raccontato: l’agognato primo titolo del Brasile, giunto otto anni dopo il devastante Maracanaço, la consacrazione del discusso Didi, l’esplosione del giovanissimo Pelé, la finale raggiunta da una Svezia che negli anni precedenti aveva rinunciato ai “professionisti”, l’inatteso percorso del combattivo Galles, il record di gol firmato dal francese Just Fontaine, in origine destinato alla panchina… Una serie di spunti che mi ha entusiasmato approfondire.
Sulla copertina ci sono Pelé, Paolo Rossi e Diego Armando Maradona: sono loro che ti vengono in mente quando pensi ai Mondiali?
Quelli che troviamo in copertina sono senz’altro i campioni più “universali”. Pelé era davvero fenomenale: ho potuto constatarlo una volta di più ammirandolo all’opera in diversi vecchi video (non che ve ne fosse bisogno…). Inoltre, è l’unico ad aver vinto tre titoli: il suo nome è legato in maniera indissolubile alla Coppa Rimet, che consegnò in via definitiva al Brasile. Maradona è stato inarrivabile a Messico ’86; Pablito, specie dalle nostre parti, richiama subito alla mente emozioni indelebili. Con le loro gesta iridate hanno incantato tutti, arrivando a toccare persino coloro che di calcio non sono appassionati. Poi, logicamente, la storia del torneo abbonda di altri personaggi meritevoli, ma, vedendo questi tre fuoriclasse in quelle immagini iconiche, l’accostamento con i Mondiali nasce spontaneo.
A tal proposito ti chiedo se la vittoria del Mondiale sia la definitiva consacrazione per un campione. Per intenderci a Messi e Cristiano Ronaldo manca questo particolare?
Credo che la vittoria in un Mondiale sia il massimo traguardo per un calciatore, che non esista nulla di equiparabile per prestigio, neanche la pur ambitissima Champions League. Non si possono discutere le qualità di fuoriclasse come Messi e Cristiano Ronaldo, ma penso che, specie all’argentino, manchi questo trofeo nel palmarés. Maradona lo vinse da protagonista assoluto, e colmare questa lacuna significherebbe molto per il sette volte Pallone d’Oro: sarebbe un accostarsi, seppur timidamente come nella sua indole, all’ineguagliabile connazionale. Un po’ diverso è il discorso per Ronaldo, che, giocando nel Portogallo, nazionale storicamente valida ma non a livelli d’eccellenza, forse ha meno rimpianti in tal senso. Per lui riuscire a conquistare un Mondiale, dopo l’Europeo del 2016, sarebbe un’impresa eccezionale.
Cosa ti aspetti dall’edizione del 2022?
Si tratterà del primo torneo in scena nel Medio Oriente, e il Qatar cercherà di mostrare al mondo il lato migliore di sé. Lo scenario si presenta suggestivo, con le strutture magnificenti e avveniristiche a poca distanza dalle dune del deserto. Sarà un’edizione anomala, visto che per la prima volta si giocherà alla fine di un anno solare, nel bel mezzo di una stagione, che, di fatto, verrà divisa in due. Come accade puntualmente ogni quattro anni, i bookmaker danno per favorito il Brasile. Alle spalle dei sudamericani, si tende a inserire l’Inghilterra. In effetti, di solito i giocatori britannici arrivano al top della condizione proprio nei mesi autunnali e invernali. Inoltre, dopo la finale europea persa ai rigori con gli azzurri di Mancini di fronte al proprio pubblico, saranno desiderosi di rifarsi.Poi, occhio all’Argentina di Messi, che avrà senz’altro forti motivazioni come dicevamo prima, e al consueto gruppetto di squadre top del Vecchio Continente: Francia, Spagna, Germania, l’incompiuto Belgio… È una disdetta che per la seconda volta di fila non ci sia l’Italia. Occorrerà vedere quali nazionali riusciranno ad adattarsi meglio a una situazione che non ha precedenti. Credo che mai come stavolta il torneo sia aperto a ogni sorpresa, e la cosa non può che ingenerare curiosità.
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