Intervista: Wembley. La Storia E Il Mito

Nel suo libro Antonio Cunazza ripercorre la storia di Wembley in un’analisi multidimensionale davvero interessante. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Come e quando nasce il progetto di dedicare un libro a Wembley ed alla sua storia?

Occupandomi di giornalismo in architettura, e in particolare in architettura sportiva, ho spesso valutato la possibilità di una pubblicazione coerente su questi temi. In realtà Wembley è stato il primo stadio che sognavo di vedere quand’ero bambino, e per molto tempo l’ho vissuto come un mito da raggiungere, prima di vederlo di persona sia nella versione ormai scomparsa che in quella nuova. Negli ultimi anni ho poi pubblicato articoli e approfondimenti su alcuni aspetti specifici dell’impianto e gli Europei 2021 hanno rappresentato una tappa perfetta per chiudere un primo percorso storico che poteva essere analizzato e raccontato in modo completo in un libro.

Come spiegheresti in poche parole l’unicità di Wembley ad un neofita?

Bé, si potrebbe pensare al fatto che fu concepito come uno stadio temporaneo che doveva durare solo il tempo dell’Expo dell’Impero, e venne progettato da due architetti che non avevano alcuna esperienza in stadi di calcio! Si decise di continuare a usarlo poi soprattutto per le corse dei cani, con il calcio in secondo piano, ma diventò in breve tempo lo stadio nazionale d’Inghilterra, arrivando a ospitare Olimpiadi, Mondiali, una decina di sport diversi, spettacoli e concerti di livello planetario. Pensavano di demolirlo dopo due anni, è diventato lo stadio a cui ambisce ogni calciatore e un luogo conosciuto e ammirato in tutto il mondo semplicemente dal nome. Non esiste nessun altro stadio nella nostra epoca moderna che abbia avuto questa incredibile epopea.

Wembley é indubbiamente legato al successo inglese del 1966, ma anche alle sconfitte ai rigori del 1996 e dell’anno scorso. C’è il rischio che la sua leggenda sia un po’ offuscata da un alone di negatività per gli inglesi?

C’è in effetti questo senso di “irraggiungibile” per la Nazionale inglese, che può essere visto in modo negativo (quasi un incubo sportivo) ma allo stesso tempo, paradossalmente, aumenta l’importanza dello stadio. Quasi come se fosse un’utopia, che l’Inghilterra ancora deve raggiungere e che quindi continua a inseguire, rinnovando ogni volta la speranza e l’entusiasmo di potercela fare. Trovo che sia una caratteristica che sottolinea ancor di più il “mito” di questo luogo.

Fuori dal contesto sportivo pensare a Wembley porta al Live Aid del 1985: eventi come questo hanno superato per clamore e partecipazione quelli sportivi o per meglio dire calcistici?

Per certi aspetti sì, e hanno permesso a Wembley di entrare nella storia culturale del Novecento, superando il piano sportivo. Quando pochi anni prima Papa Giovanni Paolo II celebrò la Messa lì, durante la sua storica visita in Inghilterra, certificò che quello non era solo uno stadio ma rappresentava uno dei pochissimi luoghi universali (e universalmente riconosciuti per importanza) del nostro mondo moderno. Al di là del calcio, sono proprio questi eventi eccezionali che hanno portato Wembley a un livello superiore.

Qual è il tuo giudizio sul “nuovo Wembley”, al netto della necessità di intervenire e variare la precedente struttura?

Il nuovo Wembley va probabilmente giudicato per ciò che rappresenta come progetto nuovo contemporaneo, e in questo senso il mio giudizio è in linea di massima positivo. Al di là di qualche valutazione estetica soggettiva, l’attuale stadio è un’architettura eccezionale per lo spettatore, anche se stona un po’ l’enorme rigenerazione urbana che si è portato dietro con i nuovi progetti di edilizia dell’area circostante. Oggi, il viale d’accesso all’impianto è fin troppo oppresso da una serie di nuovi palazzi che hanno fatto perdere la percezione di unicità e di maestosità che si aveva con il vecchio stadio. Questo è in effetti un peccato, perché si riesce a vivere poco l’impatto dell’architettura del nuovo stadio come si poteva fare prima.

Il costo di oltre 900 milioni di euro può far pensare ad una gestione carente della sua realizzazione?

Il tema del costo della struttura lascia qualche perplessità, in effetti, ma va considerato che le cose furono volutamente fatte in grande per il desiderio di “segnare un’epoca”, per certi versi, di tracciare un cambio di rotta con il passato e rappresentare un esempio da seguire per il futuro. Lo stadio è ancora estremamente attuale anche oggi, a quasi vent’anni dalla sua progettazione e in un’epoca che è avanzata molto velocemente rispetto ai primi anni Duemila. Quindi si potrebbe considerare come una spesa troppo alta ma lungimirante.

Come ti poni personalmente tra la necessità di rinnovare un impianto ed il desiderio di mantenerne inalterate le peculiarità storiche? Può esistere un compromesso?

Sono fermamente convinto che l’architettura del Novecento vada generalmente portata avanti nell’ottica di un cambiamento, di una sua trasformazione e integrazione con il nuovo. Quando si parla di stadi, però, la funzionalità e gli spazi pensati negli anni ’30 o negli anni ’50 diventano un nodo difficile da districare, e integrare vecchio e nuovo non è sempre possibile (l’esempio delle due torri di Wembley in questo caso è chiarissimo). L’unica cosa che si può fare è valutare ogni progetto rispetto al contesto in cui si trova, senza rincorrere modelli esteri da copiare/incollare. A seconda delle necessità e della natura dello stadio, si può conservare qualcosa o si può anche trovare il coraggio di demolire e rinnovare, a patto che il nuovo impianto sia davvero un passo avanti da tutti i punti di vista.

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