
In un0ì’ipotetica lettera ad Enzo Barzot Darwin Pastorin trasmette tante emozioni e permette di rivivere e conoscere momenti e situazioni leggendarie. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Enzo Bearzot é stato più un fine psicologo o un abile tattico?
Enzo Bearzot è stato il grande protagonista, sotto il profilo umano, psicologico e tecnico, della vittoria epica al Mundial. È stato lui, contro i tanti, i troppi, a credere in Paolo Rossi, reduce da una lunga e ingiusta condanna per lo scandalo delle scommesse clandestine: e non lo ha abbandonato nemmeno dopo le prime quattro partite senza gol. E con il Brasile, Pablito è rinato: tre reti e il suo sorriso aperto, a girasole ritrovato. Grazie, certo, al suo lucente talento, ma anche alla testardaggine del Vecio. Bearzot era un uomo dalla schiena dritta, una persona onesta, incapace di accettare qualsiasi tipo di compromesso. Andava dritto per la propria strada, stupendo Don Chisciotte.
Cosa pensavi all’epoca delle pesanti critiche subite da Bearzot alla vigilia del torneo? Condividevi almeno in parte i dubbi su qualche sua scelta?
Trovavo certe critiche troppe offensive, rancorose. Bisognava avere pazienza, credere di più nel Vecio e in quel gruppo di uomini veri. Il silenzio stampa, di sicuro, ha compattato ancora di più il collettivo. E, alla fine, è venuto fuori il carattere e l’orgoglio e la bravura di quei giocatori capaci di scrivere una storia indelebile, e non soltanto calcistica: in quel trionfo troviamo la bellezza, la letteratura, la stoica volontà, la determinazione, la filosofia.
Molti pensano che in Argentina nel 1978 Bearzot abbia gettato per le basi per il successo del 1982, sei d’accordo?
Sì, senza dubbio. La nazionale del 1978 ha mostrato un football quasi perfetto sotto l’aspetto della fantasia e della tenacia. In quella Coppa del Mondo è nato il mito di Pablito. E Bearzot si è ritrovato, alla vigilia del Mundial di Spagna, senza un attaccante come Bettega (in ogni caso sostituito più che degnamente da Graziani). Il 1982 è stato l’anno della nostra impresa, ripeto, più bella e poetica. Qualcosa di irripetibile.
A tuo parere, al di là delle doti morali, cosa vedeva Bearzot in Paolo Rossi che nessun altro attaccante poteva dargli?
Bearzot vedeva in Rossi il suo figlio calcistico. Un attaccante dotato di talento e intuito, soprattutto un ragazzo capace di restituire, con i fatti, il bene e l’affetto. E in Spagna, Pablito ha ricambiato con sei gol tutta quella infinita stima. E il mio amico Paolo mi manca, moltissimo.
La partita con il Brasile sembra essere stata una sfida tra sue concetti diversi di intendere il calcio: é un’analisi pertinente o la sfida del Sarriá va oltre questo tipo di concetti?
Il Brasile, fino al 5 luglio, aveva dato spettacolo: gol e meraviglie. Con tanti assi in campo: da Júnior a Cerezo, dal capitano Sócrates a Falcão, da Zico a Éder. Telê Santana intendeva il football come celebrazione dell’estetica e dell’estro. Il pallone come strumento della felicità. Ma al Sarrià la Seleção si è, probabilmente, specchiata troppo nella propria bellezza, trovandosi davanti un’Italia coraggiosa e determinata e un Rossi tornato Pablito. Un match pieno di epica, di emozioni, di stupore. Un match come un infinito romanzo popolare.
La vittoria del 1982 ha avuto delle ripercussioni positive dal punto di vista sociale? Ha conferito maggior fiducia in una nazione in un clima di tensione?
Sì, quella era una stagione segnata dal terrorismo, dai disagi sociali, dalla lotta alla mafia. La vittoria di Spagna ha riportato in una nazione, in quegli abbaglianti giorni d’estate, un rinnovato senso di gioia, di appartenenza, di recuperata serenità. Il calcio, come sappiamo, sa essere una travolgente metafora della vita, come insegnava Jean-Paul Sartre.
In un calcio gravato da interessi materiali e valori talvolta deprecabili c’è ancora spazio per virtù e propositi come quelli espressi da te nel libro?
In alcuni, casi, sì. Ma Bearzot e quei giocatori resteranno per sempre nel mio cuore e nella nostra memoria collettiva. Era un calcio che possedeva sentimenti forti, protagonisti esemplari. Per me è stata una immensa soddisfazione aver preso parte, come giovane cronista di Tuttosport, a quella Coppa illuminata dall’azzurro più intenso.
Un abbraccio, Darwin
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