
Il libro di Jvan Sica analizza attraverso Roberto Baggio 12 anni d’Italia, combinando dinamiche politiche e sociale con i propri ricordi, creando un magnifico quadro generazionale. Ne abbiamo parlato con l’autore.
“Il sublime e la speranza”: come spiegheresti questo titolo ad un potenziale lettore?
Ne ho proposti diversi all’editore, devo essere sincero, ma in fondo tutti facevano riferimento a quello che Roberto Baggio ci ha dato in quei dieci anni e a tutto quello che di rimbalzo abbiamo vissuto noi italiani/tifosi/amanti di calcio grazie a lui. All’inizio Baggio è stata la vera speranza del calcio italiano, il ragazzo che doveva svegliarci a dolcissimo caffè bollente dopo la sbornia ancora non digerita di Spagna ’82. Dopo pochi anni però la speranza è diventata evidenza, tutta riflessa nella grazia della sua sublimità calcistica. Il titolo mette insieme queste due sensazioni e l’idea di questo passaggio.
Nel pensare alla mentalità che avevi negli anni’90 che tipo di sensazione provi?
Beh, ero un bambino, che diventa ragazzino e poi diventa adolescente. Se penso a Baggio penso a un tempo lunghissimo. Sono 8 anni, ma a quell’età di trasformazioni e scoperte 8 anni sono sembrati eterni. Per farti un paragone, Insigne ha giocato 10 anni nel Napoli, è andato via quasi pensionato e a me è sembrata una fase rapidissima del calcio italiano, oltre che nella mia specifica relazione con il calcio. Baggio ha accompagnato la mia crescita e l’ho vissuto con fortissima intensità.
Cosa ha avuto in più o di diverso Roberto Baggio per essere un simbolo di una generazione?
Era diverso dagli altri, per chi è bambino-ragazzo conta molto. Dopo puoi ammirare la rocciosità difensiva, la compostezza e l’ordine nello smistare il gioco, la bravura nel farsi trovare tra le pieghe della partita, tutte cose che da bambino non percepisci. Quando sei bambino il giocatore evidentemente diverso dagli altri ti salta agli occhi, anzi vedi quasi solamente lui. E così è stato per la nostra generazione e Baggio.
Delle tre edizioni del Mondiale oggetto del libro a quale sei maggiormente legato e quale ritieni sia stata più significativa?
USA ’94. Ho scritto anche altre volte che per l’appassionato di calcio il Mondiale dei 14 anni è quello che vivi con l’ardore più estremo. Quello poi è stato fantastico, perché giocato in vari momenti della giornata, con tantissimi contenuti free delle televisioni che lo seguivano e l’Italia che ha fatto il solito “viaggio dell’eroe”, tra cadute, risalite, cattivi e nuovi piccoli eroi. Se penso al calcio giocato, il Mondiale del 1998 forse è il più bello di sempre (c’erano Ronaldo, Zidane, Vieri al massimo, per dire), ma quello del ’94 è stato il più strano.
Nel 2002 come avresti visto una sua convocazione? Come avresti impostato un ipotetico quarto capitolo di questo libro?
Io lo avrei convocato perché Baggio aveva la capacità di farti vincere la partita con un tocco solo. Diciamocela tutta, conterà la mesta acrimonia italiana, ma contro la Corea del Sud è stata una partita completamente falsata e non avremmo mai potuto vincerla (i sudcoreani sono molto bravi, ma allo stesso tempo sgamatissimi, basti ricordare Nardiello a Seoul ’88, ma gli esempi si sprecano. Se qualcuno facesse un’inchiesta seria su quel Mondiale, credo che lo cancellerebbero dall’albo d’oro). Quindi, se la fine doveva essere questa, meglio che Baggio non sia andato. Però magari con lui, la Corea del Sud agli ottavi non l’avremmo presa. Parlo da innamorato e revisionista, s’intende.
Dal libro emerge una tua passione per i protagonisti di realtà calcistiche minori e poco conosciute, come nasce? È legata solo alla tua fase adolescenziale?
Sì, si è un po’ persa in questi anni, ma dipende tanto dal fatto che vivendo in un piccolo paese si parlava più del calciatore quasi vicino di casa che sempre e perennemente del campione. Ci sono calciatori come Giovanni Pisano della Salernitana degli anni ’90 che erano un tema molto più presente di Baggio nel bar che frequentavo. Mi fai pensare a una cosa strana: prima i Giovanni Pisano non li vedevamo mai, se non per qualche secondo in una trasmissione Rai come “Ci siamo”. Oggi possiamo vedere le loro partite per intero, ma parliamo solo ed esclusivamente di dieci calciatori internazionali. Una sorta di ottusa globalizzazione degli interessi e della chiacchiera relativa, è una brutta cosa.
Secondo te perché Roberto Baggio ha sempre dovuto dimostrare qualcosa in tutta la sua carriera, al netto dei tanti gol e delle tante prodezze?
Perché proprio nei suoi anni emerge un calcio in cui la struttura fisica diventa la prima cosa che guardano gli scout e di conseguenza gli allenatori, i direttori sportivi, i presidenti e così via. Il sacchismo ha preso questa strada e il Milan 1998-99 ha vinto con un centrocampo di quasi esclusiva corsa formato da Ambrosini, Guly e Giunti. E ti rendi conto che in un calcio del genere, Baggio doveva ogni volta dimostrare di servire a qualcosa che non fosse la bellezza, come se fosse poco. Chi ci ha creduto, si è reso conto che lui alla bellezza univa la vittoria, più di così.
Nel libro fornisci anche concetti letterari e filosofici di alto livello: a livello credi che tali contributi si sposino bene la narrativa calcistica.
Io sono per una letteratura sportiva che invada tutti gli altri campi dello scibile umano, perché lo sport è analizzabile da un punto di vista matematico, come da una sociologico, da un punto di vista storico ma anche geometrico, geografico e letterario, insomma lo sport è una delle poche attività umane piene di punti di vista narrabili. Il bello è che se lo sport ha più o meno 170 anni, poche volte se n’è parlato tirando in ballo tutti questi elementi. Lo si fa in pratica da 30 anni o giù di lì e questo ci fa dei quasi pionieri. Bello, no?
Socialmente dal 1990 al 2022 ravvisi un’evoluzione o un’involuzione? Il progresso tecnologico ha portato ad una regressione di valori morali?
Domanda di complessità estrema. A me personalmente il futuro è sempre piaciuto più del passato, ma è una mia predisposizione, quello che scoprirò mi intriga più di quello che so. E poi il futuro per fortuna è inevitabile. Pensa ai diritti civili su cui stiamo facendo tutto sto casino, come se fosse arginabile la loro meravigliosa ed essenziale esplosione. Chi pensa una cosa del genere fa schiattare dalle risate.
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