
Il libro di Francesco Caremani fornisce precisi e sentiti ritratti di grandi protagonisti della storia dell’Hellas Verona, andando a pescare tra gli artefici dello storico scudetto, ma anche tra chi ha compiuto gesta importanti agli albori. Ne abbiamo parlato con l’autore.
A 119 anni dalla fondazione cosa ti ha spinto a scrivere della storia dell’Hellas Verona?
Due cose principalmente. La prima, l’interesse per una società ultracentenaria con tanti protagonisti che avevano e hanno belle storie di calcio e di vita da raccontare. La seconda più editoriale: a livello nazionale la pubblicistica sul Verona è un po’ sguarnita.
La storia dell’Hellas Verona è fatta di alti e bassi: quanto è stata ed è importante la forte passione del pubblico per reagire ai momenti negativi?
Ricordo i 9mila abbonati in serie C di alcuni anni fa. Ecco questa è una forza che pochi altri club in Italia hanno, una forza che ti permette di reagire alle sventure sportive ed economiche. Espressione di un legame tra squadra e città indissolubile.
Nel libro trovano spazio anche calciatori di epoche lontane: c’è un po’ la tendenza generale a dimenticare o a poco considerare il periodo calcistico prebellico?
Be’ oggi sembra funzionare solamente l’attualità, ma andando a ritroso si trovano storie bellissime e qualche volta si riescono a mettere insieme più fonti come nessuno ha mai fatto prima. Diventa pure un modo per vedere la distanza tra questo calcio e quello di allora.
Che ricordi hai dello scudetto della stagione 1984-1985? Era davvero impossibile da pronosticare?
Impossibile no, ma difficile. Il Verona, come si evince dai personaggi che ho raccontato nel libro, fu costruito pezzo dopo pezzo negli anni precedenti con piazzamenti importanti e belle avventure in Coppa Italia e nelle coppe europee. Era maturo e trovò la stagione perfetta. Perché quando si vince sono davvero tante le cose che devono andare al loro posto.
Opinione comune è che Preben Elkjaer e Hans-Peter Briegel abbiano rappresentato il punto di svolta? Sei d’accordo? Come si sono integrati così rapidamente?
L’ambiente e lo spogliatoio di quel Verona erano a misura d’uomo non c’era la pressione di altre piazze e integrarsi è stato facile. Erano due calciatori che giocavano nelle rispettive nazionali ma si sono calati umanamente e professionalmente nella realtà veronese, trovando altri ragazzi come loro e crescendo insieme fino alla conquistadello scudetto. Sicuramente hanno portato anche una mentalità diversa che si è sposata alla perfezione con le idee di Bagnoli.
A tal proposito quanto è stato importante Osvaldo Bagnoli per il successo? È stato più un attento tattico o un fine psicologo?
Importantissimo, la sua è stata sartoria calcistica. È stato lui a costruire quel Verona pezzo per pezzo, anno dopo anno, fino alla stagione 1984-85. Fine psicologo non direi, lo vedo più vicino a un Nereo Rocco che a un José Mourinho, sicuramente un attento tattico e un uomo che sapeva parlare alla squadra con pochissime parole e tanto esempio.
Ti chiedo un giudizio su Gianfranco Zigoni, grande talento e personaggio Sui generis, molto legato al contesto veronese.
Un personaggio che resterà per sempre nella storia del calcio italiano e veronese. Detto questo non ho mai amato i giocatori che sprecano il proprio talento e, alla fine, il rischio di certi caratteristi è di diventare il personaggio di sé stessi.
Nell’Hellas Verona attuale individui qualche profilo che potrebbe essere inserito nel libro? Antonín Barák, la sua è una bella storia da raccontare. Vediamo se riuscirà a fermarsi il tempo necessario per entrare nella Hall of Fame gialloblù
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