
Il bel libro di Giuseppe Pastore ripercorre la storia del Milan sotto la presidenza di Berlusconi, offrendone uno spaccato tanto dettagliato quanto colmo di aneddoti e punti di vista. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Quando e come nasce l’idea e l’esigenza di raccontare l’epopea del Milan dalle ceneri della gestione Farina all’ingresso in politica di Berlusconi?
E’ un discorso storico che nasce anche dal libro precedente (“La squadra che sogna”, sempre edito da 66th&2nd, sull’epopea della Nazionale di volley di Julio Velasco): raccontare attraverso una storia di sport le trasformazioni sociali, culturali ed economiche di un Paese che negli anni Ottanta era tra le maggiori potenze al mondo e poi sprofonda improvvisamente nella depressione e nella cupezza all’inizio degli anni Novanta. Da nessuna parte come in Italia il calcio è la metafora della vita, e Berlusconi ha capito questa cosa molto meglio e molto prima degli altri. Oltre al fatto che, naturalmente, quel Milan è una delle tre più grandi squadre di club di tutti i tempi insieme all’Ajax di Cruijff e al Barcellona di Guardiola e Messi…
I successi imprenditoriali di Berlusconi sono stati un volano per quello sportivi, ma con il passare del tempo il rapporto si è in parte invertito, è corretto?
Sì, per il suo sbarco in politica (progettato dal 1992 e messo in pratica nel 1994) Berlusconi sfrutta i successi calcistici molto più che quelli imprenditoriali. E’ normale: il calcio è molto più popolare e immediato di qualunque altra cosa, e inoltre il prestigio indiscutibile di una Coppa dei Campioni è molto più inattaccabile di qualunque azienda o impresa commerciale. Anche il nome del partito, uno slogan calcistico, è una dichiarazione d’intenti piuttosto chiara.
All’interno dello spogliatoio come era vista la figura di Berlusconi, al netto delle dichiarazioni e manifestazioni di facciata?
Nel periodo preso in esame Berlusconi è assolutamente un punto di riferimento positivo per allenatore e giocatori. C’è da capirli: ha preso un Milan sul baratro e in tre anni l’ha portato in cima al mondo, oltretutto annunciando regolarmente obiettivi impensabili. Ha il carisma di un guru con l’aggiunta che le sue parole vengono seguite dai fatti, e non mi riferisco solo ai risultati sportivi: il trattamento economico riservato ai giocatori non ha eguali nel mondo, così come il comfort del lavoro quotidiano a Milanello. Non è un caso che quasi tutti i giocatori passati dal Milan anche solo per pochi mesi ne parlino sempre in toni entusiastici.
Liedholm, Sacchi e Capello: il Cavaliere non ha mai interferito con le scelte tecniche e tattiche come si millanta abbia fatto successivamente?
Con Liedholm c’era un’incompatibilità, o per meglio dire una profonda incomunicabilità di tipo umano, anche se Berlusconi – per una sorta di “timore reverenziale” – ancora non si azzardava a interferire nelle scelte del Barone. Con Sacchi cambia lo scenario: Berlusconi impone quest’allenatore senza pedigree a dispetto dei santi e, forte dei risultati, si fa convinto di poter dire la sua anche nel calcio ad alti livelli; con Capello funziona allo stesso modo. Certo, la diatriba con Borghi fa capire che il presidente si riteneva all’altezza di una discussione tecnica anche con il miglior tecnico del mondo…
A tuo parere nell’ultimo anno di Sacchi ha pesato più il logorio dello spogliatoio o una certa abitudine/assuefazione alla vittoria?
Entrambe le cose: la candela aveva illuminato la stanza così forte perché bruciava da entrambi i lati, parafrasando Blade Runner. Sacchi aveva logorato prima sé stesso e poi di conseguenza il gruppo di stelle a sua disposizione, i quali ritenevano – non senza ragione – di meritare un trattamento meno ossessivo e meno stressante di quello a cui Arrigo li sottoponeva ormai da anni. E sentivano di avere l’appoggio del presidente, a sua volta non troppo contento che quello stesse passando alla storia come “il Milan di Sacchi” e non “il Milan di Berlusconi”…
Qual é il climax dell’epopea Berlusconiana, i successi con Sacchi in panchina o la possibilità di acquistare qualsiasi giocatore dei primi anno’90?
In una visione romantica del calcio, condivisa poi da tutti i tifosi degni di questo nome, devo scegliere la prima opzione! Prima ancora delle finali Europee o Intercontinentali, Milan-Real Madrid 5-0 è una sinfonia che passò alla storia del calcio già mentre si stava compiendo. Per altri versi, anche Milan-Barcellona 4-0 funziona allo stesso modo, anche se quello fu un inno al pragmatismo e al senso pratico più che all’idea visionaria portata avanti da Sacchi.
Negli 8 anni da te analizzato sembrano spiccare in uguale misura la sapiente programmazione con la dilagante megalomania: quale dei due aspetti ha prevalso oppure credi che si siano compensati?
La “follia” di Berlusconi, da lui spesso esaltata come nei continui riferimenti a Erasmo da Rotterdam, sicuramente funziona – soprattutto all’inizio – come formidabile propulsore in un mondo molto paludato e polveroso, in cui è buona norma non fare mai il passo più lungo della gamba. Invece il cambio di passo di Berlusconi, geniale quanto dirompente, spariglia le carte (e in futuro porterà alla rovina diversi colleghi molto meno corazzati economicamente e politicamente…). Però se arrivi a ottenere in meno di dieci anni una sequenza di risultati del genere, la programmazione è tutto: e in effetti il modello Fininvest trasportato nel calcio dimostrò di funzionare alla grande, soprattutto perché assecondato da una forza economica senza pari.
Approfitto della sua competenza in questioni milaniste per togliermi un dubbio su Frank Rijkaard, tassello fondamentale dei successi internazionali: era stato preso per fare il centrale difensivo?
No, Rijkaard serviva a Sacchi per tamponare l’irrimediabile declino fisico di Ancelotti e inserire al tempo stesso una barriera a centrocampo che agevolasse ulteriormente il lavoro di Baresi e Galli/Costacurta. Chiaramente, la grande versatilità di Frankie fece in modo che venisse molto utile anche da difensore centrale…
Il libro termine nel 1994, con l’entrata in politica di Berlusconi: è corretto parlare di uno suo disimpegno nonostante altri successi ed investimenti?
Sì: con l’ingresso in politica Berlusconi smette di essere il presidente “faccio-tutto-io” e delega sempre più compiti al fido Galliani, riservandosi semmai l’ultima parola nelle grandi trattative di mercato e nelle grandi questioni tecniche, in cui però le sue opinioni saranno sempre smussate da quel raffinatissimo politico che è a sua volta Galliani. Galliani sarà il grande protagonista dell’età “adulta” del Milan di Berlusconi, che culminerà nei trionfi dell’era Ancelotti.
Rispondi