Intervista: La Coppa Dimenticata

Jo Araf ripercorre con grande competenza ed acume l’edizioni dal 1927 al 1940 della Mitropa Cup, accompagnandoci in un bellissimo viaggio tra squadre mitiche ed eccelsi campioni, aggiungendoci quel gusto per il particolare e quegli aneddoti che rendono la lettura molto interessante. Ne abbiamo parlato con l’autore.

A tuo parere perché la Mitropa Cup é una coppa dimenticata, pur avendo rappresentato il massimo per prestigio e qualità delle scuole calcistiche presenti?

Credo che a monte vi sia un problema che riguarda in generale il calcio fino agli anni ’50, ovvero l’assenza pressoché totale di riscontri filmici circa le partite ed i giocatori. È molto difficile riuscire ad appassionarsi ad una squadra o ad un giocatore che non si ha modo di visionare. Questo in prima battuta. In secundis, la Mitropa fu molto celebrata – ed è tuttora ricordata a livello locale – da paesi e squadre il cui peso calcistico si è notevolmente ridimensionato con il passare degli anni. Squadre che non vantano una base di tifosi numericamente rilevante. Sono abbastanza convinto che se ad aver vinto la Mitropa fossero state Inter, Juventus, Barcelona o Real Madrid la cassa di risonanza della manifestazione sarebbe stata decisamente diversa. In ultima analisi spesso si genera confusione attorno alla manifestazione: il nome Mitropa tende a richiamare la coppa che si disputò fino al 1992 quando il torneo era diventato un affair tra formazioni neopromosse.

È giusto ritenerla una celebrazione del calcio danubiano?

In un certo senso, si. Perché la Mitropa aveva nella federazione austriaca, ungherese e cecoslovacca i suoi padri fondatori. L’Italia sarebbe stata invitata in seguito. Il calcio danubiano, una versione in salsa europea del passing game scozzese, era il collante che univa i tre principali movimenti calcistici dell’Europa centrale ed il Bologna, unica squadra italiana ad alzare il titolo, era una formazione che di danubiano aveva molto essendo stata plasmata da Felsner ed altri allenatori ungheresi che si sarebbero avvicendati alla guida del club. Se il calcio austriaco veniva decantato per la sua raffinatezza, quello ungherese era per molti più concreto e quello cecoslovacco più aggressivo. Ma il fine ultimo era il medesimo: la ricerca del risultato attraverso il gioco ed una filosofia di calcio votata all’attacco.

Molti incontri si conclusero con vittorie nette delle squadre di casa, anche contro avversari fortissimi. Tale fenomeno è più da attribuire al fattore del pubblico o ad un limite nel l’atteggiamento tattico delle squadre?

C’è un elemento di cui bisogna tenere conto: non esisteva la regola del gol in trasferta. Se un incontro di andata finiva 1-1 e quello di ritorno 2-2, si sarebbe disputato uno spareggio. Quindi, segnare un gol in più in trasferta non era premiante come invece lo è oggi. Penso che a fare la differenza fosse il fattore ambientale: giocare all’estero voleva dire giocare in un clima piuttosto ostile, nonostante gli sforzi degli organizzatori. Il popolo europeo viveva delle situazioni sociali e politiche estremamente delicate e sugli spalti e sui terreni di gioco si manifestavano tensioni che faticavano a spegnersi, o tra paesi fino a qualche tempo prima nemici al fronte (es. Italia ed Austria), o tra paesi i cui rapporti erano sempre stati burrascosi, basti pensare al forte sentimento antiviennese che negli anni precedenti si respirava nelle province dell’Impero austroungarico.

Oltre che di leggendari attaccanti è stata anche la coppa dei grandi portieri. Sei d’accordo e quale è stato a tuo parere il più forte?

Si, in parte. Probabilmente il portiere più forte del tempo non fu in realtà protagonista sul palcoscenico della Mitropa, ovvero lo spagnolo Ricardo Zamora. Credo che la Mitropa, esattamente come oggi la Champions League, fu il palcoscenico sul quale si esibivano non solo i migliori portieri ed attaccanti ma anche i migliori difensori e centrocampisti del tempo. Dovessi fare un nome su tutti direi il cecoslovacco Planicka. Ironia della sorte, però, pur essendo stato una colonna dello Slavia ed una presenza fissa della competizione, Planicka avrebbe alzato la Mitropa nel 1938 soltanto in qualità di preparatore dei portieri. Essendosi infortunato ad un braccio durante il Mondiale francese aveva dovuto appendere gli scarpini al chiodo poco prima che la competizione iniziasse.

C’è un match che meglio di tutti possa essere identificato come la sfida di più alto livello del calcio anni’20 e 30?

È molto difficile rispondere, mi verrebbe da dire di no. Il calcio europeo del tempo era molto livellato, almeno nell’ambito dei suoi principali club di riferimento. Tra il 1927 ed il 1939 non si registrarono cicli di vittorie, nessuna squadra vinse la manifestazione per tre volte e nessuna per tre volte di fila. Il palmares al 1940 – anno nel quale la manifestazione di interruppe – recitava 4 vittorie austriache, 4 ungheresi, 3 cecoslovacche e 2 italiane. Sintomo che i valori erano tutto sommato equilibrati.

Al netto del dilettantismo del locale calcio, come mai l’apparato politico tedesco non ha insistito per poter partecipare ad un torneo che avrebbe potuto fornire prestigio e legittimazione?

La ragione principale è insita nella domanda: il calcio tedesco era amatoriale e ciò cozzava con uno dei due grandi obiettivi della Mitropa, ovvero la creazione di una competizione che aiutasse i club europei a far fronte agli oneri che comportava il neonato modello professionistico. Un’altra ragione ha a che vedere con Hugo Meisl: Meisl era stato l’ideatore del torneo ed in quanto ebreo non godeva di grandi simpatie in Germania. Quando nel 1938 si pensò di coinvolgere le squadre tedesche, queste si tirarono indietro adducendo la religione di Meisl quale motivazione. C’è anche da dire che l’appeal delle squadre tedesche non deponeva a loro favore: il calcio tedesco era un movimento decisamente minore rispetto a quello austriaco o ungherese, e non di rado la nazionale tedesca o le squadre tedesche subivano delle autentiche batoste sportive (il Wunderteam, per dire, nel 1931 inflisse un 5-0 ed uno 0-6 alla Germania).

Uno dei grandi protagonisti del torneo è stato Carlo Reguzzoni, eccelso calciatore misconosciuto ai più e quasi totalmente ignorato dalla nazionale. Da cosa dipende questa sottovalutazione?

Reguzzoni è stato certamente uno dei volti più rappresentativi della manifestazione. Hugo Meisl ad un certo punto lo definì la migliore ala sinistra e penso proprio che avesse ragione. Lui e qualche anno prima l’austriaco Ferdinand Wesely si potrebbero spartire il titolo, almeno per quanto concerne il rendimento nella Mitropa. Reguzzoni, per contro, non giocò quasi mai per l’Italia, se non una o due amichevoli. Pozzo gli preferì a più riprese l’oriundo Raimundo Orsi (titolare nel Mondiale casalingo giocato nel 1934) e Colaussi (titolare in quello disputato in Francia nel 1938), per questa ragione, unitamente al fatto che il Bologna al tempo non avesse la visibilità di Ambrosiana e Juventus (non furono molti i bolognesi convocati da Pozzo ai Mondiali, nonostante i successi del club), Reguzzoni non ebbe mai lo spazio che probabilmente avrebbe meritato.

Alla fine degli anni’30 il Ferencvaros era la squadra più forte d’Europa viste le 4 finali consecutive?

Si, le tre grandi squadre europee degli anni tra le due guerre penso siano state in ordine cronologico Sparta Praga – definita anche Sparta d’Acciaio – la quale dominò i primi anni ’20 e che, grazie ad alcuni superstiti delle stagioni precedenti vinse la prima edizione della Mitropa nel 1927, Rapid Vienna, che tra il 1927 ed il 1930 è per quasi tutti, giornali italiani in testa, la miglior squadra del continente e disputa tre finali, ed il Ferencvaros che raggiunge per quattro volte la finale tra il 1937 ed il 1940 (un’altra finale era stata raggiunta nel 1935). Meritano in questo senso una menzione d’onore il Bologna (due vittorie più il successo nel Torneo dell’Esposizione di Parigi) e l’Austria Vienna, un club che nonostante faticasse in campionato in ambito europeo si trasformava.

Data la tua grande competenza non hai mai pensato di scrivere un libro su qualche campione della Mitropa Cup? Magari su Matthias Sindelar, o György Sárosi Sarosi o Josef Bican?

Su Matthias Sindelar sinceramente no. Avendo scritto un libro sul Wunderteam, una biografia su Matthias Sindelar mi costringerebbe a ripetermi in troppi momenti e penso che risulterei ridondante. Ritengo sufficiente il capitolo che gli ho dedicato in Generazione Wunderteam e le parti che lo riguardano in La Coppa Dimenticata. Su Josef Bican si ma c’è un problema: buona parte della magia e del mito di Bican riguardano il suo record di gol, ma tale record sta per essere superato ed un’eventuale opera sull’attaccante non avrebbe l’appeal che avrebbe avuto qualche anno fa. Gyorgy Sarosi è stato di certo un grandissimo attaccante poco conosciuto fuori dai confini magiari ma vale lo stesso discorso fatto per Matthias Sindelar: ritengo sufficiente il ritratto che ne ho tracciato in La Coppa Dimenticata.

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