Raccontare l’Arrigo Sacchi uomo significa prendere le distanze rispetto al suo ruolo di allenatore?
Non si tratta di prendere le distanze dal suo ruolo di allenatore ma semplicemente di una precisa scelta: aggiungere qualcosa di nuovo su Arrigo Sacchi sarebbe stato impossibile, su di lui si era già detto e scritto praticamente di tutto. In questo libro ho cercato di tracciarne un nuovo profilo, di svelare la sua parte più intima, raccontando le emozioni, gli affetti, le paure e i sentimenti di colui che nel mondo è stato celebrato con le definizioni più esaltanti: l’inventore del calcio moderno, l’uomo che ha cambiato il calcio, il Maestro di intere generazioni di tecnici, uno dei tra migliori allenatori della storia del calcio.
Sono più le assonanze o le diversità tra le due figure?
Non penso che le due figure si possano scindere. Arrigo Sacchi è stato sempre sé stesso, nel calcio come nella vita di tutti i giorni.
Non ha mai perso il contatto con Fusignano, suo paese d’origine, con i suoi amici di sempre; legato indissolubilmente ai valori ricevuti in eredità da due genitori straordinari: Augusto, il padre aviatore, in servizio sui cacciabombardieri durante la seconda guerra mondiale, diventato in seguito importante imprenditore, e la madre Lucia, aperta e solare, sempre ottimista ma risoluta,
concreta e profonda.
Sono tante le citazioni filosofiche nel libro: soddisfano un’esigenza di stile o hanno una speciale connessione con la vita di Sacchi?
Arrigo è portatore di un pensiero profondo, una formazione culturale che ha radici solide negli insegnamenti di una famiglia disciplinata uniti a quelli di colui che Sacchi annovera fra i suoi Maestri importanti: il bibliotecario Alfredo Belletti, persona saggia dotata di sconfinata cultura, che per primo lo avvicinò all’attività di allenatore, e dal quale ammette di avere ricevuto tanto.
Sacchi dice di guardare più allo spirito, alla modestia ed all’intelligenza di un calciatore più che ai piedi: crede che si sia esagerato nel creare lo stereotipo della persona maniacale ed ossessionata dal suo lavoro?
Trovo esagerato lo stereotipo che negli anni si è fatto strada. Sacchi non è maniacale o ossessionato dal proprio lavoro. Lui è semplicemente una persona da sempre convinta che in ogni genere di attività si debba cercare di dare sempre il massimo, impegnarsi per dare tutto quello che è nelle proprie disponibilità. Per questo ha sempre ricercato, in ogni calciatore, la sua disponibilità a lavorare con responsabilità, la volontà di mettersi a disposizione del collettivo, a fare tutto quello che si rendeva necessario per dare il massimo. “I piedi buoni – ha sempre detto – sono un aspetto secondario, importante ma secondario”.
Mi ha inoltre molto colpito la sua ammissione relativa all’inesistenza della perfezione: è da leggere come una ponderata riflessione o come un non essere mai del tutto soddisfatto del suo operato?
Ricercava la perfezione pur sapendo che questa non esiste. Per quello che ho percepito parlando a lungo con lui, questo non aveva nulla a che fare con l’essere insoddisfatto ma con la convinzione che ognuno si debba applicare al massimo in quello che fa, tendere al risultato migliore possibile, esercitare quella determinazione tesa all’eccellenza, in campo e fuori dal campo di gioco.
Dal titolo del libro possiamo definire Arrigo Sacchi un sognatore nella vita e nella professione?
Il titolo del libro vuole semplicemente sottolineare lo straordinario risultato di un uomo che, partendo dai campetti di provincia, finisce per conquistare le vette più alte del mondo calcistico, per vincere praticamente tutto quello che si poteva vincere, per lasciare un segno indelebile nella storia del calcio, andando “oltre il sogno”, oltre cioè le più ambiziose aspettative.
Crede che la sinergia sviluppatasi con Silvio Berlusconi partisse proprio da quella volontà insita in Sacchi di non porsi limiti?
Per quanto ho compreso, raccogliendo la sua testimonianza, fra Arrigo Sacchi e Silvio Berlusconi è nata un’intesa basata su una comune aspirazione: che una squadra come il Milan sapesse vincere, convincere e divertire. Una filosofia vincente che li ha uniti e ha consentito ad entrambi di raggiungere risultati eccezionali.
Nel libro ho captato una sorta di rimorso per il tempo sottratto a famiglia, amici e luoghi di nascita a causa della sua professione: è una sensazione corretta?
Definirlo rimorso è forse eccessivo. Certo è che per lui la famiglia è sempre stata un punto importante nella sua vita e gli amici, così come Fusignano uno scoglio sul quale restare ancorato sempre, anche quando la quotidianità lo portava lontano, anche se – come il suo vicino di casa gli ha fatto notare – negli ultimi vent’anni non ha mai dormito più di quattro giorni a fila nel suo letto.
Che uomo è Arrigo Sacchi nel 2021?
Questa domanda sarebbe più corretto rivolgerla a lui. Da parte mia posso solo esprimere quelle che sono state le mie sensazioni, provate trascorrendo con lui molte ore a conversare, ricordare, commentare la sua vita intensa ed entusiasmante. Mi è sembrato un uomo sereno, ovviamente appagato, per nulla nostalgico dei tempi d’oro, nonostante l’evidente orgoglio di averli vissuti da
protagonista, sempre attento a tutto quello che accade nel mondo del calcio e non solo.
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