Patrizia De Rossi ripercorre la storia della Lazio attraverso i giocatori che meglio l’hanno nobilitata e che meglio hanno espresso il concetto di lazialità. Ne abbiamo parlato con l’autrice.
Nell’apprezzare il tuo libro ho captato la volontà di esaltare e condividere il concetto di lazialità, è corretto?
E’ corretto. Molto spesso i laziali sono indicati come i cattivi, invece la storia della Polisportiva, gli atleti che ci sono stati e che ci sono anche oggi, dimostrano il contrario, ovvero che la Lazio è una società gloriosa e che essere Laziali è una cosa bellissima.
Cosa ha rappresentato per te Paul Gascoigne? Ti sei mai chiesta come mai sia un’icona della Lazio pur avendoci giocato solo 47 partite?
Gascoigne ha rappresentato il genio e la sregolatezza di una squadra che è sempre stata particolare. La Lazio non ha le vittorie del Milan, dell’Inter o della Juve, ma ha un pubblico appassionato e numeroso e Gascoigne ha fatto divertire moltissimo i laziali, sia con il suo talento, sia con la sua goliardia che è sempre sfociata in follia. 47 partite sono state sufficienti per fare innamorare un’intera tifoseria. E poi non dimenticare che al suo primo derby (il 29 novembre 1992), segnò il gol del pareggio, e questo a Roma conta sempre moltissimo.
Senza il gol di Giuliano Fiorini contro il L.R. Vicenza come sarebbe stata la storia più recente della Lazio? Che ricordo hai di quella incredibile stagione?
Io a giugno del 1987 stavo per laurearmi e pensavo poco alla Lazio, però vissi quella giornata di riflesso, con mio padre e mio fratello – entrambi allo stadio – che erano disperati per la prospettiva di vedere la Lazio in serie C. Sarebbe stato un colpo durissimo ma che li avrebbe comunque fatti rimanere tifosi. Una volta che ti innamori, non è che lasci un uomo, una donna, una squadra nel momento in cui va a fondo, anzi rimani con lui/lei soprattutto in quei momenti.
Giorgio Chinaglia è stato idolatrato dal popolo laziale, tanto da perdonargli anche la “fuga” negli USA e gli errori da presidente: qual è il tuo giudizio su di lui?
Giorgio Chinaglia è arrivato a Roma come una rockstar e ha restituito ai laziali l’orgoglio di essere tali. O forse per la prima volta ha fatto capire ai laziali quanto fosse bello e importante stare dalla parte dei più deboli. Chinaglia era fortissimo, generosissimo, era arrogante, era sfrontato, non aveva paura di nessuno e quando lo irridevano (i romanisti lo hanno sempre chiamato gobbo per via di quel collo incassato tra le spalle) lui diventava ancora più potente e irriverente. Le sue sfide ai tifosi romanisti (che lo aspettavano sotto casa e che arrivarono perfino a minacciare la moglie e i figli) sono leggendarie. Giorgio è stato l’uomo del primo scudetto, il trascinatore di una squadra e di una tifoseria, gli è stato perdonato tutto (anche le ambigue e losche vicende giudiziarie in cui si è trovato invischiato) perché era Giorgio, non uno qualsiasi. Il primo tifoso della squadra, il primo grandissimo simbolo della squadra che dalla serie B arrivò a vincere lo scudetto in tre anni. Giorgio – e quella Lazio – sono state come Davide che ha combattuto e vinto contro Golia, è stato il simbolo del riscatto di chi lottava con i propri mezzi – anche limitati – contro lo strapotere economico del nord.
La tragica vicenda di Re Cecconi ha un po’ fatto passare in secondo piano il suo valore in campo; “Cecco” era comunque nella storia della Lazio, sei d’accordo?
Si, era un giocatore molto bravo e fondamentale per il gioco della squadra, era il classico mediano che si sacrificava per tutta la squadra e che era sempre al posto giusto nel momento giusto. La sua vicenda personale rimane ancora oggi incomprensibile e assurda.
Hai inserito nel libro Sergio Cragnotti, ma non Umberto Lenzini, l’altro presidente della sculettò, come mai?
Perché Cragnotti l’ho vissuto da vicino, Lenzini no, ero troppo piccola. Cragnotti lo vedevo allo stadio, lo sentivo parlare in tv. E poi perché Cragnotti ci ha regalato la più grande Lazio di tutti i tempi.
La Lazio di Eriksson era davvero la squadra più forte del mondo ad un certo punto? Hai qualche rimpianto in termini di vittorie europee a riguardo?
Se fosse la più forte del mondo non lo so, non abbiamo la controprova, che fosse ortissima invece ne sono certa e rimpianti ce ne sono almeno due, immensi: lo scudetto perso all’ultima giornata nel 1999 (ancora più meritato rispetto a quello del 2000), con una enorme festa già organizzata dall’allora sindaco – laziale – Francesco Rutelli che dovette essere annullata, e l’essere andati a giocarci l’accesso alla semifinale di Champions League a Valencia senza Alessandro Nesta che non solo era il capitano della squadra, ma anche – questo sì – il difensore più forte del mondo. Purtroppo Nesta aveva perso in quella stessa settimana (la partita si giocava il 5 aprile 2000) l’amatissima sorella Katia, ma era talmente serio e geloso della sua vita privata che sui giornali non apparve nulla. Ma tutta la squadra conosceva il dramma di Nesta. La Lazio scese in campo sotto shock e dopo 4 minuti perdeva già 2 a 0. I tifosi laziali sapevano benissimo perché Nesta non era partito per Valencia e qual risultato disgraziato (5 a 2 per gli spagnoli) venne accettato con rassegnazione, convinti che magari al ritorno -. con Nesta in campo – si sarebbe potuta ribaltare. E invece anche il Valencia era forte e la Lazio a Roma non andò oltre l’1 a 0. Ovviamente solo i quotidiani italiani fecero finta di non sapere nulla e Repubblica scrisse un articolo che iniziava così
VALENCIA – Una serata strana per una squadra che vuole puntare al Grande Slam. Una serata strana con tanto Valencia e poca, pochissima Lazio. Una serata strana con i biancazzurri in coma, tenuti in vita dal flebile tubo d’ossigeno dei loro attaccanti: Inzaghi e Salas. L’andata dei quarti di Champions League si trasforma in una mezza sciagura per la squadra di Eriksson, che perde in Spagna per 5 a 2. Una batosta che compromette in maniera pesante il cammino europeo e getta un’ombra, l’ennesima, sulla tenuta psicologica di Pancaro e soci. |
Chi degli attuali protagonisti delle Lazio potrà meritarsi sì entrare in un futuro libro di leggende?
Sicuramente Ciro Immobile, un calciatore che nella Lazio ha trovato la sua consacrazione: capocannoniere di Serie A, Scarpa d’Oro, record di gol segnati. Sono convinta che presto supererà il record di marcature in maglia biancoceleste di Silvio Piola. E poi aggiungerei Sergej Milinkovic-Savic, un autentico fuoriclasse che da 6 anni lo danno per partente e invece sceglie sempre di rimanere alla Lazio. Anche lui, evidentemente, è uno di noi…
Rispondi