Intervista: Dalla Polvere Alle Gloria

Niccolò Mello con la consueta competenza parte dalle orgini del calcio argentino e brasiliano per tracciarne un percorso del quale mette in evidenza i passaggi fondamentali, fino ad arrivare ai giorni nostri. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Nel tuo bel libro ho avvertito, oltre alla volontà di ricordare le radici del calcio argentino e brasiliano, il desiderio di celebrarne la grandezza e di smentirne certi luoghi comuni: ho ragione?

Assolutamente. Ritengo sia necessario smontare il luogo comune che vedeva i campionati sudamericani, e in particolare argentino e brasiliano, come tornei di serie B. Non dobbiamo pensare ai campionati argentino e brasiliano come quelli di oggi. Prima della legge Bosman, che ha aperto la via agli stranieri senza limiti, le squadre europee potevano ingaggiare un numero limitato (2 o 3) di calciatori stranieri e spesso provenivano da altri campionati europei. La stragrande maggioranza dei campioni argentini e brasiliani restava così a giocare in patria per tutta la carriera o quasi. E questo rendeva le formazioni argentine e brasiliane estremamente competitive e quei campionati avvincenti, non inferiori come qualità tecnica e spettacolo ai migliori tornei europei. Anzi: in alcuni casi, erano persino superiori. La riprova arriva dalla Coppa Intercontinentale: prima della legge Bosman la Coppa era stata vinta 20 volte da formazioni sudamericane e 14 da formazioni europee. Dopo la legge Bosman, le europee hanno vinto 20 volte e le sudamericane 5. Faccio un ulteriore esempio pratico. Immaginiamo che la maggioranza dei vari Dybala, Lautaro, Neymar, Di Maria, Marquinhos, Casemiro, De Paul, Suarez, Cavani e via discorrendo (non Messi che è cresciuto in Spagna) giochino in Sudamerica. I rapporti di forza tra le squadre europee e sudamericane cambierebbero moltissimo… Bene, questo è ciò che capitava prima della Bosman. Il Brasile vinse tre Mondiali dal 1958 al 1970 e tutti i giocatori militavano in patria al momento della conquista del titolo. L’Argentina del 1978 campione del mondo era composta solo da giocatori del campionato argentino, tranne Kempes del Valencia. E via di questo passo.

La prima parte del libro, relativa al periodo dalla fine del XIX secolo ai primi decenni del XX secolo, è davvero bellissima: è quello il calcio che più ti attira ed appassiona?

È un calcio molto appassionante e affascinante, ma la storia calcistica di quei Paesi mi attira tutta in realtà. Diciamo che quel periodo, essendo privo di prove video e tramandabile solo tramite letture e testimonianze, necessita di una ricerca più ricca. Quindi può essere che per questo emergano storie maggiormente inedite.

A livello personale prediligi la Nuestra argentina o il Joga Bonito brasiliano? È corretto proporne un paragone?

l paragone esiste nel momento in cui pensiamo a entrambi gli stili come il massimo della forma d’arte possibile. Sono i due modelli di calcio originari di Argentina e Brasile, quelli per cui sono i due Paesi sono diventati famosi e riconosciuti, dei punti di riferimento imprescindibili per tutti quando si parla di qualità tecnica e spettacolo. Non scelgo nessuno dei due. Mi piacciono molto entramb

Tra le grandi delanteras argentine quale a tuo parere è stata la più forte o affascinante?

Probabilmente quella della Máquina del River Plate, anche se non ci sono adeguate prove video e match interi che consentano di togliere ogni dubbio. Munoz-Moreno-Pedernera-Labruna-Lostau furono lo zenith del calcio argentino. Giocarono assieme appena 18 volte, ma bastarono per tramutarli in leggenda. Quel River giocava in modo modernissimo, calcio totale ante litteram, come il Grande Torino da noi o l’Ungheria di Puskás qualche anno dopo.

Il Brasile ha avuto anche grandi difensori, ma generalmente sono poco celebrati o ricordati. Credi che dipenda dalla sua storica vocazione offensiva?

In parte può dipendere da quello e in parte dal fatto che i brasiliani hanno sempre amato difendere a zona, peculiarità che non favorisce lo sviluppo delle doti difensive in marcatura. Attenzione però a considerare i difensori brasiliani come deboli perché non lo sono. Difendono in modo diverso dagli europei. Non hanno avuto la scuola di fuoriclasse di nazioni come Italia o Germania, d’accordo. Ma ci sono stati ottimi difensori anche in Brasile. I centrali delle nazionali campioni del mondo nel ’58 o nel ’62 ad esempio erano giocatori di livello eccellente. Se parliamo di terzini, poi, il discorso cambia totalmente e forse nessuna nazione al mondo ha prodotto lo stesso numero di fuoriclasse del Brasile tra gli esterni bassi.

Cosa ci siamo persi senza le edizioni del Mondiale del 1942 e del 1946? È corretto affermare che Brasile, Argentina, l’Uruguay di Varela e I’Italia composta da Grande Torino fossero le favorite assolute  

Aggiungerei anche l’Inghilterra. Molto sarebbe dipeso dal continente in cui si sarebbe giocato: ricordiamo che nella storia dei Mondiali, prima dell’epoca recente e della globalizzazione che hanno stravolto un po’ certi parametri e certe coordinate, solo il Brasile tra le sudamericane aveva vinto in Europa (Svezia ’58) e nessuna europea aveva mai vinto fuori dall’Europa e in Sudamerica. Sulla carta, guardando il valore della rosa, credo che la favorita assoluta nei Mondiali ’42 e ’46 sarebbe stata comunque l’Argentina.

Molti sostengono che il Mondiale del 1970 sia stato il migliore di sempre, nonostante l’assenza dell’Argentina: tu come la pensi?

Sono d’accordo. L’Argentina come nazionale non stava attraversando un momento particolarmente brillante, dunque non fu quella grande perdita. In compenso avevamo il Brasile forse più forte della storia. L’Italia migliore del dopoguerra insieme a quella del ciclo di Bearzot. Una Germania Ovest formidabile e come singoli non inferiore a quella del ’72-’74 che vinse tutto. L’Inghilterra migliore della storia, quella del ciclo 1966-1970. Il Perù migliore della storia. L’Uruguay più forte degli ultimi 50 anni, al netto dell’assenza della stella Pedro Rocha. Io ho visionato (le cronache sono accessibili sul mio sito www.gameofgoals.it) almeno dieci partite per ogni edizione dei Mondiali dal ’62 in poi e diverse del Mondiale ’58. E il Mondiale del ’70 per me resta il massimo, il Mondiale con la M maiuscola.

Senza l’Uruguay come avversario o termine di paragone la storia calcistica di Argentina e Brasile sarebbe stata diversa? 

Profondamente diversa. L’Uruguay, con il suo calcio solido ed efficace (molto diverso da quello di Brasile e Argentina), con le sue vittorie, molte volte impreviste, ha spinto brasiliani e argentini a dare il meglio, sempre. Pensiamo agli smacchi subiti dall’Argentina contro il Grande Uruguay tra gli anni ’20 e ’30 oppure al Maracanaço. L’Uruguay è stata la spina perennemente conficcata nel fianco dei due colossi, una spina che però è stata utilissima per farle rendere al massimo.

Ci puoi anticipare qualcosa sui tuoi futuri progetti? Tratteranno ancora del Sudamerica?

Come dice il Trap «mai dire gatto se non l’hai nel sacco». Di sicuro, il Sudamerica è una terra che mi affascina moltissimo e il calcio sudamericano penso mi affascini come nessun altro. Però vedremo cosa succederà.

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