Intervista: Boninsegna. Il Centravanti

Piero Faltoni colma una lacuna della letteratura calcisticia italiana, dedicando un libro a Roberto Boninsegna, analizzato nella sua carriera di grande attaccante e di personaggio di grande personalità. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Come è nata l’idea del libro? 

È nata dalla mia passione per il calcio e dalla mia ammirazione per il calciatore Boninsegna, che risale ai primi anni Settanta. Raccogliendo materiale su di lui ho poi scoperto una persona con la quale sento di condividere molto, da un punto di vista sociale e caratteriale. La constatazione che non esistesse alcuna biografia a lui dedicata è stata un ulteriore stimolo a mettermi al lavoro.

Credi che Boninsegna possa essere il prototipo del centravanti della sua epoca? 

Non solo. Le sue qualità fisiche, tecniche e morali lo rendono un tipo di giocatore “evergreen”. Nella mia squadra ideale il numero 9 va a Roberto Boninsegna. Oggi uno come lui sarebbe solo 5 o 6 centimetri più alto.

uanto è stato importante per la sua maturazione tecnica l’aver giocato da ala agli esordi? 

È stato fondamentale. Gli ha insegnato la generosità, a giocare per la squadra e non solo per sé. È vero, come lui spesso ripete, che il centravanti dev’essere egoista e pensare sempre al gol. Ma, in Boninsegna, l’aspirazione a segnare non è mai disgiunta dall’attenzione all’obiettivo principale: far vincere la propria squadra. Lo dimostrano le caterve di gol che, accanto a lui, hanno segnato dei bomber come Riva, Bettega e, prima ancora, Silvino Bercellino. L’immagine più bella ed emblematica è quella di Roberto in maglia azzurra che si fa tutta la fascia sinistra palla al piede e scodella al centro un pallone che Rivera deve solo spingere in rete per il definitivo 4-3 di Italia-Germania.

A tuo parere Valcareggi lo ha inizialmente escluso dal Mondiale del 1970 per incompatibilità con Gigi Riva? 

Questa dell’incompatibilità fra i due bomber è una storia che va avanti da cinquant’anni. Ma è contraddetta dai fatti: nel Cagliari Riva ha segnato tanto proprio in coppia con Boninsegna, che spesso si faceva da parte quando arrivava “Rombo di tuono”. Se uno come Gianni Brera nel 1986 ha scritto che, nel 1970, Riva e Boninsegna erano “i migliori centravanti del mondo” ci sarà un motivo. Credo che Valcareggi lo avesse escluso perché convinto, in buona fede, che Anastasi, allora al top, fosse la spalla ideale per Riva. Ma anche perché non credo che, in Figc, amassero particolarmente Boninsegna dopo la squalifica del 31 dicembre ’67. Infatti, anche in Messico il centravanti titolare avrebbe dovuto essere il milanista Prati. Poi, Roberto seppe conquistarsi il posto. 

Il Mondiale in Messico è stato il punto di svolta della sua carriera? 

Sì. Gli ha fatto acquisire fama mondiale e, soprattutto, ancora più fiducia in se stesso. Non è un caso che, dopo quel torneo, abbia cominciato a tirare i rigori per l’Inter (prima i rigoristi erano Bertini e Mazzola), infilando una serie di 19 centri senza errori. 

A tuo parere il suo valore è stato nel tempo un po’ sottovalutato? 

No, lo dimostra il fatto che, tutt’oggi, si parli di lui con grande ammirazione e il suo nome sia puntualmente inserito nelle graduatorie dei migliori centravanti italiani. Casomai, è stato sottovalutato, sovente dimenticato, dai selezionatori della Nazionale del suo tempo: 22 presenze sono davvero poche per un calciatore che, per cinque o sei anni, ha avuto pochissimi rivali per rendimento nel suo ruolo.

 E’ stato più importante Manlio Scopigno o Giovanni Invernizzi per la sua evoluzione come calciatore? 

Scopigno, senza dubbio. Nel 1970 Invernizzi è stato bravo nel gestire e recuperare una squadra demoralizzata da un avvio disastroso. Ma il tecnico che ha saputo comprendere più di tutti l’uomo e il calciatore Boninsegna è stato il “Filosofo”. Un altro allenatore importante per lui è stato Egizio Rubino a Potenza.

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