Intervista: Paolo Maldini, 1041

Diego Guido, autore del libro “Paolo Maldini, 1041” , penna de “l’Ultimo Uomo”, “Esquire” e “Rivista Studio” , ci illustra ulteriormente la figura fondamentale di Paolo Maldini.

Innanzitutto complimenti: un libro dettagliato, su vita e carriera, con argomento Paolo Maldini, mancava. Perchè la scelta è ricaduta proprio su di lui?

Perchè a fronte dell’importanza, dell’icona, della fama di Paolo Maldini, un racconto preciso, dettagliato su di lui occorreva. Nella sua vita, l’ex capitano del Milan ha avuto comportamenti lineari, ma solo all’apparenza: scavando, ho potuto cogliere, da questo personaggio sportivo mostruoso dal punto di vista tecnico, una persona davvero
interessante e degna di essere raccontata in maniera molto più approfondita. Un personaggio di questo calibro andava capito meglio di quanto fosse stato compreso fino ad ora, meritava una narrazione che lo rendesse molto più comprensibile ed interessante.

Da cosa dipendono alcune mancanze nella narrazione delle vicende di Paolo Maldini?


Sicuramente perchè è stato idealizzato: valori tecnici così alti, in termini di vittorie, hanno oscurato il personaggio, non facendone comprendere alcuni aspetti, come le controversie legate al giorno dell’addio a San Siro. C’è stata della superficialità negli osservatori.
Dall’altra parte, qualcosa è dipeso anche da lui: è come se avesse aggiunto una seconda carriera, tanto vincente quanto la prima, che sembrava lo avesse “impoverito” di umanità, rendendolo quasi un essere divino, idealizzato, appunto. Questo è il rovescio della medaglia, perchè ci si dimentica che, in realtà, è una persona che può avere dei difetti.
Questo aspetto anestetizza il resto.

Con Maldini, il concetto di giocatore – tifoso, l’identificazione nella bandiera in stile Totti o De Rossi, viene ribaltato. Maldini ha tracciato una seconda strada.


Rispetto ai nomi citati, Maldini si è sempre considerato prima una persona che, in mezzo a diversi aspetti della sua vita, aveva il lavoro, ovvero il calcio, come ognuno di noi. Totti e De Rossi hanno vissuto con una tale totalità il calcio, che poi il pallone occupava tutto, praticamente. In Maldini, questo non avviene. Con una buona dose di istintività, si
metteva in gioco, dicendo la sua, prendendosi logicamente ogni tipologia di responsabilità, sempre con la consapevolezza di essere coerente con le proprie idee.
Considerarsi calciatore, non come status da privilegiato, ma in quanto occupazione come un’altra.

Nel libro, si parla in maniera molto approfondita dei periodi grigi, delle sconfitte. C’è un momento che Maldini vorrebbe rivivere?

Non la porrebbe così, non è il tipo di persona che vorrebbe giocare di nuovo una partita, anche perchè la sconfitta è parte del viaggio. Ha talmente tanto rispetto per il gioco che perdere diventa una parte da tenere in considerazione. La vittoria del 2007, contro il Liverpool, non era una vendetta, ma l’ennesima finale vinta, con il piacere e le ansie di
una qualsiasi altra finale. La sua carriera è costellata di momenti meravigliosi e da sconfitte importanti, ma queste servono a rendere tutto molto più vero. Faceva parte del gioco. Mi ha detto che sua moglie, come è anche scritto nel libro, dopo la finale Italia- Brasile del 1994, gli chiese perchè non piangesse. Maldini rispose che, probabilmente, una tale reazione era dovuta al fatto di aver dato il massimo in campo, senza troppi rimpianti, nonostante il grande dolore interiore.

Il rapporto di Maldini con la Nazionale.

Il periodo azzurro di Maldini è perfettamente in linea con la sua storia: nonostante sia mancato il successo in termini di trofei, anche lì è stato fondamentale, con tanti insegnamenti ed atteggiamenti positivi. A suo modo è stato un’icona, con il suo stile, le sue prestazioni. Esiste la consapevolezza di un Maldini simbolo oltre la maglia indossata: Maldini non era un elemento che incarnava il tifoso in campo, ma un uomo che, di fronte ad un tifo cieco, si poneva in maniera distaccata. Maldini va oltre le barriere, viene identificato come un simbolo di tutto il calcio, non solo dei tifosi del Milan.

La figura del difensore è stata rivoluzionata da lui, grazie anche ad una certa esposizione mediatica.


Maldini era il figo della situazione che giocava in difesa, quello che ribaltava il concetto dell’icona con la numero Dieci, portando i riflettori pop del gioco sul suo ruolo, spostandoli di diversi metri più indietro. Ha fatto percepire lo stesso fascino che di solito emanano altri ruoli. Non solo lui, anche Baresi. Partiva comunque con un’immagine diversa, da Pallone d’Oro mancato.

Quanto ha rivoluzionato il ruolo di terzino?


Utilizzando le parole degli addetti ai lavori presenti nel libro, lui si è inserito nel solco dei grandi terzini italiani, quelli che hanno cambiato l’approccio al ruolo. La combinazione unica, tra condizione fisica, tecnica e mentale, unite ad una grande squadra come il Milan di Sacchi, ha portato ad alti livelli dei movimenti che fino a quel momento non c’erano, grazie ad un’aggressività esasperata in pressing, la scelta di prendere dei rischi, ad una velocità spiccata, la grande fisicità utilizzata, tutti aspetti che ne fecero, in quel momento storico, un giocatore innovativo in un contesto profondamente innovativo.

Lugi Della Penna

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