Il libro di Sandro Bonvissuto è una delle uscite più significative e coinvolgenti degli ultimi tempi, in grado di trasmettere appieno le emozioni legate al pallone, in particolare il sentimento dell’amore. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Un libro così bello e particolare dove e quando trova origine e quale tua necessità di espressione va a soddisfare
Innanzitutto grazie per queste parole. Il libro trova origine laggiù, in quel tempo, in quel modo, in quel posto, in quel tempo diciamo. Ma l’esigenza del libro, ti rispondo al quando, il quando è adesso, è ovvio che l’esigenza di scriverlo nasce adesso, qualcosa si rompe adesso e si determina. L’esigenza di andare o tornare in quei luoghi per quello che riguarda la necessità di espressione è quella di tornare a parlare la lingua madre, la lingua di mia madre, della mia gente, del mio villaggio dei luoghi narrati li. E’ un come dire un ritorno quel tipo di comunicazione di sonorità… è un ritorno a casa.
L’amore è un concetto predominante del libro; credi che quello innocente di un bambino per la propria squadra sia il più puro e spontaneo?
Il concetto dell’amore è centrale, questo è la testimonianza di un amore puro, spontaneo, innocente. Il ragazzino è ovviamente un puro e quindi si specchia in un amore puro. Certo di testimonianze dell’amore ve ne sono altre nel corso della vita di una persona e ve ne sono altre ugualmente pure e spontanee altrimenti non sarebbe amore e non staremmo a parlare di amore, staremmo a parlare di ricatto di vendetta e altre degenerate dell’amore. Questo libro si aggancia ad un tipo di amore che è il più spontaneo dove l’essere è formato, ma fino ad un certo punto. E’ la prima esperienza, è la prima volta in cui si fa una cosa e questo per il bambino è l’ambito si svolge la parte emotiva della vicenda; cioè lui è la prima volta che prova quella cosa e ovviamente l’avrebbe provato di nuovo nel seguito della vita se ci fosse stato un seguito del libro, ma non ce sta. Ti dico è la prima volta lui sente quella cosa e siccome è puro non è corrotto da esperienze negative o da una gestione addirittura del sentimento o da un’economia: perchè io ti voglio bene però pure tu mi devi voler bene, se tu non mi vuoi bene io non ti voglio bene, ma al ragazzino non gliene frega niente, il ragazzino è perso, il ragazzino è un eroe romantico , un piccolo eroe romantico, un Don Chisciotte dell’amore.
“Guardare la radio” è uno delle espressioni che più mi hanno colpito e non nego di averlo fatto anch’io: quanto era più bello vivere il calcio così?
Il concetto di guardare la radio, c’è da ricordare che, tu sei un po’ più giovane di me, a quella età era qualcosa di inevitabile, nel senso che non c’era nemmeno la speranza di un calcio che non fosse quello che avevamo avuto, fino a quel momento. Tieni presente che la prima volta che ho visto una partita, un brano, il secondo tempo, in TV, che poi erano sempre quelle partite che te fregava niente, che so il secondo tempo di Ascoli-Cremonese, me sembrò che addirittura la TV in quel momento avesse violato davvero un segreto. Mo’ se era bello o più bello ovviamente non te lo so dire, ti dico che era senz’altro più romantico, come dire cioè, meno cose sai e più cose ti inventi.
C’è nostalgia per un’epoca sociale e calcistica oramai passata e dimenticata?
Relativamente a quell’epoca certo ovviamente è inevitabile, c’è nostalgia, non si può essere contro il progresso è una cosa inevitabile, come i terremoti o la pioggia, bisogna avere un rapporto pacificato con le cose passate. Debbono insegnare, cioè ti dico che io oggi vivo, per quello che riguarda il calcio, una nuova era. Dicevamo prima nella domande precedente che noi non sapevamo niente, per noi i giocatori erano lontani e capitava di incontrarli, ad esempio nella mia città Roma poteva anche succedere. Oggi ovviamente i ragazzi, se vedo nella generazioni di mio figlio si scrive con i giocatori su Twitter ed è ovvio che per noi questa era una cosa impensabile. Per me era meglio ai tempi nostri, come dire loro sono protagonisti in un altro modo. La verità è che non è meglio ne quello che è accaduto a noi ne quello che succede a loro, semplicemente sono cose diverse. Essenziale, ovviamente, è ritrovare in qualche modo gli stessi sentimenti lo stesso attaccamento; da una generazione all’altra mi ricordo, ad esempio, che io, rispetto alla generazione di mio padre, mi mostravo molto diverso nei confronti del calcio e probabilmente lui ha vissuto nei miei confronti quell’estraniazione che posso provare io nel momento in cui vedo, vivo e godo il calcio per come lo vive la generazione di mio figlio. Quindi diciamo, sì a noi ci resta un approccio nostalgico, perché siamo grandi, però devo dire ogni era ha comunque un accesso mitologico ed anche loro probabilmente avranno coltivato i propri miti e fra qualche anno magari qualcuno scriverà un libro come questo che ho fatto io, naturalmente maturato in circostanze diverse. E’ una ruota.
Se dovessi consigliare il libro a chi non tifa della Roma quali argomentazione sceglieresti?
Lo farei innanzitutto partendo dal fatto che questo non è un libro di calcio, dicevamo all’inizio delle domande che al centro c’è senz’altro il sentimento che lega il protagonista alla propria squadra del cuore, ma quello è basilare. Ovviamente credo che per noi l’Italia è un paese di campanili e quindi le ostilità regionali sono come dire molto forti; probabilmente più ci si allontana dal fuoco di questo libro e meno si sente questa specifica legata alla città piuttosto che alla squadra. Io ho letto molto libri che parlano di calcio che ad esempio parlavano di squadre alle quali non ero legato da niente. Per il resto ovviamente il fatto che il protagonista sia legato ad una squadra non pregiudica, cioè abbiamo letto i russi senza essere russi, per cui non è che questo non mi ha tolto la comprensione di Dostoevskij o di Gogol’.
Nella vita di ognuno esiste un Barabba che ci guida e ci spiega un po’ mondo?
Non lo so se nella vita di ognuno esista un Barabba, ma me lo auguro o ve lo auguro o glielo auguro a colui di cui stiamo parlando, perché Barabba è nell’impianto del libro un diverso, il diverso. Come dire, è la parte teorica che il campione ritratto in copertina, Paulo Roberto Falcão, rappresenta invece a livello iconografico, cioè Barabba è il diverso, perché il tessuto sociale a cui appartiene è molto bello e molto pittoresco, però in realtà rischia naturalmente sempre di essere un contesto chiuso, quindi fortemente autoreferenziale. Invece Barabba in qualche modo rompe quella tensione, pur in modo episodico e consente al ragazzino un finestra su un’alterità. Io, ovviamente, mi auguro che sempre la categoria del diverso abiti la vita di ciascuno, almeno per ciò che riguarda la fase della comprensione e dell’indagine, la fase diciamo epistemologica, perché il diverso è un’altra versione di ciò che noi crediamo per presunzione di sapere.
È corretto affermare che essere educati da romanisti permetta di affrontare al meglio le avversità della vita?
Certo, la Roma è probabilmente una della squadre più sfortunate del panorama. Papà mi diceva sempre che solo il Torino è peggio di noi. Il libro si ferma alle soglie della più grande sconfitta forse della storia del pallone, che è quella della Coppa dei Campioni che la Roma purtroppo in quel 30 maggio 1984, giorno maledetto, perde in casa. Certo il libro è preparatorio, come dire, ad una grande celebrazione della sconfitta, è una grande educazione alla sconfitta. Per il resto ti dico che quella fu una sconfitta storica, che ha segnato la mia generazione, oltre che me come persona e molto spesso penso che ogni tipo di disagio che io ho manifestato negli anni a seguire sia proprio originato in quel giorno dove il contraccolpo emotivo fu tale da condizionarci, almeno a me per buonissima parte della mia vita futura se non tutta. Ti dico che nel momento in cui finisce il libro, il 30 maggio 1984, io sono nato il primo giugno e ti dico che non c’ho mai avuto 14 anni per colpa della Roma, sono passato da 13 a 15.
Al tempo stesso i timori della mamma verso una crescita pilotata da padre e zio al romanismo più sfegatato sono reali e pertinenti?
La mamma ed i timori fondatissimi della mamma, naturalmente, alla fine del libro si tramutano in una specie di manierismo o forse più ancora sono un esorcismo pagano, che poi però per paradosso portano ad un esito che è esattamente il contrario di ciò che la mamma avrebbe voluto. Come dire la famiglia è una cosa complicata e le tensioni emotive all’interno della famiglia sono delle cose complicate che la letteratura ha tentato sempre naturalmente di indagare senza esserci mai riuscita appieno, in modo esaustivo o definitivo, perché sono un magma che ribolle e che rimane e che va pensato e considerato in continuo movimento. L’educazione stessa è una cosa fortemente dinamica. In quelle circostanze non ricade soltanto la pressione materna, ma anche quella delle circostanze esteriori, cioè la squadra alla fine per paradosso, in quel momento lì, vive un quinquennio favoloso e clamoroso e ovviamente le notizie dal fronte di guerra, calcistica naturalmente, sono particolarmente rincuoranti e soprattutto danno fiducia alla parte propositiva. Quindi se la mamma rappresenta un approccio più conservativo, in quel momento è destinato ad essere sconfitto, perché la squadra inanella un risulta positivo presso all’altro
Sandro Bonvissuto considererà ancora lo sport nelle sue future pubblicazioni?
Lo sport… ma guarda non me ne intendo, non mi reputo uno sportivo, le tante storie che ci ha regalato lo sport in realtà non mi interessano, Come dire se lo sport è l’amore allora sì, ti dico parlerò ancora di sport, perché l’amore è senz’altro l’unico argomento che voglio praticare e troverete nei miei libri.
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