
Un libro di accusa all’attuale mondo del calcio quello di Pierlugi Spagnolo, che ancora una volta ci regala un’indagine approfondita, sentita e condivisibile. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Esiste un filo conduttore tra “I ribelli degli stadi” e “No al calcio moderno?”
Una continuità sicuramente c’è. Diciamo che “Contro il calcio moderno”, uscito a metà del 2017, era il tentativo di scrivere una storia del movimento ultras italiano, proprio alla vigilia del cinquantesimo anniversario di un fenomeno nato a partire dal clima caldo del 1968 e arrivato – seppur cambiato e molto ridimensionato – fino ai giorni nostri. “Contro il calcio moderno” è invece una critica all’attuale mondo del pallone, condizionato dalla prepotenza del fenomeno televisivo, stravolto da logiche finanziarie e dall’ingresso di enormi capitali, che tende a costringere il tifoso in un ruolo marginale, a ridurlo a semplice consumatore di un prodotto, ad un cliente. Il sottotitolo del libro è “Dalle Pay tv agli stadi vuoti”. Il fatto che sia uscito durante i mesi con gli impianti svuotati dal Covid rende, secondo me, questa riflessione ancora più attuale.
La prospettiva di un calcio prossimo all’esplosione è meramente economica-finanziaria o anche culturale? Lo spettatore/consumatore può arrivare a stufarsi di quanto vede/consuma?
Credo sia soprattutto economica-finanziaria. Questo sistema, impostato sulle spese senza freni, su rose larghissime, ingaggi stratosferici e su un costante ricorso all’indebitamento, secondo me non sta più in piedi. Lo ha dimostrato anche la crisi innescata dal Covid. Se a giugno scorso il campionato di Serie A non fosse ripartito, in tutta fretta e giocando tutti i giorni della settimana negli stadi vuoti, i club non avrebbero incassato l’ultima rata delle Pay tv… e molte società sarebbero fallite. C’è una rincorsa affannosa a nuovi introiti, per far sopravvivere un sistema che è ormai finito sull’orlo del baratro. Anche il tifoso, svuotato dalla sua centralità e trasformato in cliente-telespettatore, sembra essersi stufato di questo calcio. Lo dimostra anche la fuga dal sistema delle Pay tv e gli ascolti in calo per le partite seguite in casa sul divano. D’altronde, il calcio in tv senza spettatori negli stadi è molto più noioso… La passione rischia di scemare, il calcio del futuro rischia di avere follower – quindi distratti e poco passionali – più che veri tifosi.
Da appassionato di calcio odio il calcio mercato ed il teatrino ad esso connesso;”: credi che l’enfasi mediatica su tale fenomeno giovi solo a procuratori e società?
Tutto ormai è improntato alla spettacolarizzazione, anche nel racconto che si fa del calciomercato. Molti dei nuovi calciatori ingaggiati vengono descritti come nuovi fenomeni, ogni attaccante viene dipinto come se fosse Van Basten. Poi li vedi in campo e capisci quanto sia pesante il condizionamento di società e procuratori, quanta enfasi e spettacolarizzazione sostenga il racconto del calcio di oggi.
I social hanno in larga parte sostituito lo stadio quale valvola di sfogo? Rientrano anche loro nel processo di “normalizzazione del tifoso”?
Lo stadio è stato per decenni la valvola di sfogo della società. Negli anni Settanta e Ottanta una parte della irruenza giovanile è stata canalizzata e fatta detonare nelle curve dello stadio, per evitare che finisse nelle piazze già bollenti dell’estremismo politico, che molti ultras andasse a ingrossare le fila di gruppi extraparlamentari. Nel libro cerco di spiegare come oggi si stia completando un processo di “normalizzazione” del tifoso, attraverso la demonizzazione del mondo ultras e del tifo organizzato. Al calcio di oggi serve un tifoso acritico, disciplinato e “politicamente corretto” anche nel linguaggio. Oggi i social sono diventati la nuova valvola di sfogo, in generale, anche di frustrazioni e odio represso.
“Libero cittadino? No, ultras” da provocazione sta progressivamente diventando una realtà: riesci a prevederne lo sviluppo futuro? Sempre più una sorta di “Grande Fratello” con gli ultras protagonisti?
Già 20-25 anni fa il mondo ultras italiano aveva compreso la sperimentazione in atto. Come sosteneva Valerio Marchi nei suoi scritti, lo stadio viene raccontato dai mass media come se fosse un Far West, ma in realtà è un “laboratorio del controllo sociale”, una “palestra della repressione”, un luogo in cui lo Stato sperimenta sui tifosi forme di controllo che poi verranno estese a tutti i cittadini. Basterebbe pensare al Daspo degli stadi, poi diventato il Daspo Urbano, e al controllo attraverso telecamere biometriche e sensori. Roba da romanzo distopico…
Credi che il Rapporto Taylor creato dagli inglesi per fini ordine pubblico sia stato strumentalizzato e faziosamente utilizzato a livello nazionale internazionale?
Credo che il modello inglese, che ha preso il via da tutte le trasformazioni scaturite dal lavoro di Taylor, sia servito per eliminare l’incubo degli hooligans, ma abbia nello stesso tempo cambiato il calcio, facendolo diventare elitario, con stadi sempre più comodi e confortevoli ma allo stesso tempo anche più costosi. Da lì nasce quella che nel libro definisco la “gentrificazione” degli stadi, la trasformazione di luoghi popolari in luoghi appannaggio esclusivo di chi può spendere.
Il fatto di seguire i calciatori come influencer e aggiornarsi sugli aspetti extra calcio degli stessi denota un vuoto culturale della nostra società?
Secondo me risponde ad una morbosità e ad un voyerismo tipico della società in cui viviamo. Il calcio, com’è oggi, tende a spettacolarizzare anche la vita privata dei calciatori. C’è chi cede a questo, trasformando la quotidianità in qualcosa da esibire e ostentando la ricchezza sui social network. Ma il calcio è cambiato e sono cambiati anche i protagonisti. Ve lo immaginate un calciatore come Roberto Baggio nelle pose sexy esibite su Instagram da gente come Mauro Icardi o da molti altri personaggi di oggi.
Credi che il salary cap possa essere una soluzione? È materialmente fattibile?
A me piacerebbe che esistesse un tetto razionale, quasi un limite etico, agli stipendi destinati ai calciatori, anche per quelli che oggi chiamiamo i “top player”. Ma mi rendo conto che possa apparire un discorso scollegato dalla realtà che stiamo vivendo.
Da spettatore è cambiato il tuo modo di porti nei confronti del calcio nel corso degli anni?
Diciamo che il calcio non mi emoziona più come avveniva da bambino. E non è solo una questione anagrafica. Anni di partite addomesticate, scommesse, scandali e inganni, gli eccessi finanziari e del marketing hanno sicuramente un po’ spento la genuinità della mia passione.
Hai già in cantiere qualche altro progetto? Ci puoi anticipare qualcosa?
Per adesso non ho altre cose in cantiere, nemmeno nei propositi più lontani. Ma è vero che anche “Contro il calcio moderno” non era in programma nelle prime settimane del 2020. Poi è arrivato il Covid, lo stop al campionato, la ripresa senza tifosi… E così tante riflessioni hanno avuto quasi la naturale necessità di trovare uno sfogo.
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