Intervista: La Magia Del Numero 10

Il libro di Luigi Potacqui rappresenta un piacevole quanto competente viaggio nel mondo dei numeri 10; tante le emozioni e le giocate riportate alla mente dall’autore, attraverso un’analisi personale ed accattivante. Insieme a lui abbiamo discusso dei temi trattati.

 Alcuni ritengono i numeri 10 un vizio, a volte “più belli che utili”, cosa ne pensi?

I numeri 10, per come li intendo io – ovvero quei giocatori capaci di giocate improvvise, tocchi di classe, dribbling nello stretto, gol da cineteca etc. – sono la parte essenziale del calcio, la vera anima, a cui nessun allenatore dovrebbe mai rinunciare. Io stesso ho indossato per quasi tutta la mia umile carriera tra serie D ed Eccellenza, e lì si fa ancora più fatica a trovarne per via della poca qualità tecnica generale.

Credi che il trequartista sia davvero il ruolo più affascinante e per certi versi variamente interpretabile in campo?

Sì, è indubbiamente il più affascinante. Forse perché stazionano in una zona di campo, la trequarti, spesso “motore” della finalizzazione. Adesso molti tecnici tendono a trasformare i fantasisti, adattandoli in ruoli diversi come playmaker o mezzali, spesso anche con successo: anche perché quando un giocatore è forte tecnicamente tra il centrocampo e la trequarti credo possa giocare ovunque.

Qual è il numero 10 che ti manca di più?

Manuel Rui Costa, idolo della mia adolescenza. Poi ovviamente Roberto Baggio. Ma anche i Savicevic, i Morfeo, i Roberto Mancini… Giocatori che non ho citato nel libro anche per problemi di spazio, ma che sono stati meravigliosi interpreti di questo numero magico.

Nel libro dedichi un capitolo a Pelè: qual è la tua opinione sugli altri numero dieci del Brasile del 1970?

Rivelino e Jairzinho per classe e talento erano sicuramente due che potevano indossare tranquillamente la numero 10. Il Brasile d'altronde è una delle nazionali che ha sfornato più 10 nella storia.

L’Italia ha avuto storicamente grandi numeri 10: possiamo parlare di una scuola italiana?

L’Italia, al pari di Brasile e Argentina, credo sia quella che ne ha avuti di più. Dalla leggenda di Meazza a Rivera, da Baggio, Mancini, lo stesso “principe” Giannini a Totti e Del Piero: sì, è stata una vera “scuola”.

Come mai nel libro non hai considerato il calcio dell’Europa dell’Est, soprattutto in riferimento ai campioni del contesto balcanico?

Ammetto che è una cosa a cui ho pensato molto. Il calcio balcanico, così come quello sovietico e “danubiano” degli anni addietro mi ha sempre affascinato, ma si trova poco materiale in italiano per come intendo io la descrizione di un giocatore. Tante statistiche e storie certo, ma poco materiale visivo e “umano”. E l’idea di scrivere su di loro “tanto per scrivere” non mi interessava.

Credi che il numero 10 così come l’intendi tu goda di immortalità o credi che la tattica finirà per schiacciarlo?

Quelli che ho raccontato nel libro, chi più chi meno, credo ne godano. Sono coloro che hanno vissuto la prima vera fase della storia del calcio che per me va dal secondo dopoguerra sino agli anni novanta. Poi fine anni novanta inizi anni 2000 (più o meno) è iniziata quella che io chiamo “seconda fase”, ovvero quella dell’evoluzione tecnologica a tutti gli effetti, dello studio dell’alimentazione nei minimi dettagli, dell’allenamento mirato: tutto ciò ha portato alla formazione di un calcio “robotico”, giocato a ritmi vertiginosi e con dettami tattici sempre più elaborati e “asfissianti”, che nei livelli più alti crea magari anche maggior spettacolo. Ma se escludiamo l’élite del calcio mondiale, notiamo che la tecnica di base, la giocata e il dribbling improvviso, la magia di un passaggio “pensato” sono quasi del tutto scomparsi.

Attualmente c’è qualche numero 10 che ti emoziona come quelli da te raccontati?

Leo Messi, che infatti ho raccontato nel libro. L’essenza del calcio. Poi in serie A mi piacciono molto anche Papu Gomez, Ilicic, Luis Alberto, in Premier c’è De Bruyne che può essere incluso tra i 10 anche se gioca ormai fisso come mezzala, e c’è il Kun Aguero che però nel tempo ha modificato il suo modo di giocare e gioca ormai come punta e finalizzatore. Anche se su tutti, mi sarebbe piaciuto poter raccontare anche le gesta di Neymar, che reputo per potenziale secondo solo alla Pulga argentina. Però si è perso per strada per alcuni atteggiamenti, non riuscendo purtroppo ad esprimere tutto il suo reale talento

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