L’unico anno nel quale Pelè, Cruijff e Maradona hanno giocato contemporaneamente, raccontato con stile e da Jvan Sica, Francesco Gallo e Alessandro Mastroluca. Un libro davvero interessante del quale abbiamo discusso con gli autori.
Come e quando nasce l’idea del libro?
Mastroluca: L’idea è di Jvan. Con lui e Francesco condividiamo la passione per il racconto dello sport e della sua storia. Ha impiegato poco a convincerci.
Gallo: L’idea è stata di Jvan Sica. La sua mente vulcanica ha fatto eruttare questo libro. Con lui e Alessandro, da qualche tempo stavamo sperimentando insieme nuove forme per raccontare il calcio, anche in radio. Il libro in questione è uno dei primi progetti che ha visto la luce.
Sica: Quando nasce un’idea è sempre un momento quotidiano, tipo che lavo i piatti e mi viene l’idea. Credo sia dovuto al fatto che la mente può essere più libera se sei alle prese con un’azione meccanica. Arrivando in un momento casuale e quotidiano però, poi non ricordo come l’ho avuta e seguendo quali consequenzialità. Ecco, tutto questo vale anche per questo libro. C’è poi una strana connessione deiezione/intuizione, ma l’accenno soltanto.
Come avete sviluppato il copioso lavoro di ricerca e quali fonti, oltre alla vostra grande competenza, avete utilizzato?
Mastroluca: Per la parte su Pelé, che è quella di cui mi sono occupato, ho utilizzato la biografia di Pelé, un libro che ho citato sulla storia dei Cosmos. Per il resto la ricostruzione è avvenuta attraverso la stampa dell’epoca, che era particolarmente attenta ai Cosmos in quanto fenomeno sportivo, sociale, di costume. Se ne scriveva tantissimo, e questo è stato un grande aiuto perché ha consentito di scoprire aneddoti, curiosità che hanno arricchito e speziato il racconto.
Gallo: Per raccontare Johan Cruijff ho riletto innanzitutto la sua biografia, letto (quasi) tutto ciò che era stato scritto su di lui e ho anche rivisto il documentario che fece su di lui Sandro Ciotti negli anni Settanta. E poi per gli anni di Barcellona, naturalmente, cronache sportive spagnole e catalane dell’epoca.
Sica: Per raccontare il Maradona del 1977 ho letto i giornali argentini (El Grafico e Clarín), ho visto tutto quello che potevo trovare su Youtube e ho scavato in archivi online. È stato un lavoro lungo ma ho scoperto un sacco di cose sconosciute che riguardavano El Pelusa.
Il 1977 è stato un anno molto critico per certi aspetti, lo è stato anche per i tre protagonisti?
Mastroluca: Per quanto riguarda Pelé, è stato un tour d’addio e questo l’ha reso sicuramente speciale. Ha comunicato a gennaio di voler lasciare il calcio a fine anno, a quel punto ogni partita si trasformava in un evento. Si pensava anche di portare i Cosmos a giocare un’amichevole a Cuba per migliorare i rapporti diplomatici fra le nazioni, poi non se ne fece nulla. La sua presenza ai Cosmos nel ’77 più che critica ha una grande forza simbolica. Quello per New York è un anno difficile, la città perde molto del suo romanticismo. C’è paura, non solo per il serial killer conosciuto come Figlio di Sam, c’è molta rabbia per la situazione economica dura nei quartieri poveri. Però c’è anche uno scintillante segno di rinascita che è lo Studio 54. I Cosmos rappresentano la continuità di questo spirito vitale, di energico divertimento come reazione e distrazione alle difficoltà. E Pelé è il gioiello più prezioso della corona.
Gallo: Assolutamente sì. Il calcio, essendo lo sport più popolare in Spagna, così come in Argentina, ha influito parecchio sulle imprese calcistiche di Cruijff e Maradona. L’olandese ha subito a Barcellona un tentativo di sequestro nel momento in cui in Europa circolavano le Brigate Rosse, la Raf e l’Eta. In Argentina invece c’erano i desaparecidos di Videla. Anche Pelé, che giocava a New York, pur protetto dall’ambiente, giocava in una Nazione che ancora si stava rialzando con fatica dalla guerra del Vietnam.
Sica: Sì, per tutti e tre, siamo stati anche fortunati in questo. Lo è anche per il calcio in generale perché quando il campione generazionale (Pelé) si ritira, c’è un periodo germinale e di confusione molto interessante. E il fatto che proprio nell’anno dell’addio di Pelé, Maradona gioca il suo primo campionato da professionista infittisce il mistero
Vedete dei tratti comuni negli esordi di Cruijff e Maradona, entrambi annunciati enfant prodige?
Mastroluca: Sì, ce ne sono. Non tanto nel loro modo di giocare, però. Quello che li accomunava, secondo me, è l’essere un’epifania della nazione. Cruijff incarna la tradizione calvinista dell’Olanda e l’approccio allo spazio di un popolo che ha dovuto sconfiggere l’acqua. Maradona rappresenta il Pibe, che è una figura meta-letteraria, il simbolo del fanciullo interiore che si libera attraverso il calcio. L’Argentina era (e probabilmente è ancora) Maradona, tanto quanto l’Olanda è Cruijff.
Gallo: Maradona era puro istinto, in campo e fuori. Mentre Cruijff, come ho cercato di raccontare nel libro, sin dagli esordi applicava al calcio umori, principi e sensazioni che in quegli anni avvolgevano l’Olanda e che lui assorbiva quotidianamente.
Sica: Quando nasce un campione vero tutti se ne accorgono subito. È stato così per tutti e tre i protagonisti della nostra storia. La cosa precipua dell’esordio di Maradona riguarda il fatto che dopo poche settimane, l’intera nazione si chiede: questa cosa mai vista prima dovrà andare ai Mondiali che organizzeremo in casa e che vorremmo/dobbiamo vincere per la prima volta? Diciamo che El Diez è partito subito forte.
Cosa sarebbe successo se Johan Cruijff avesse deciso di giocare il Mondiale del 1978? L’equilibrio in seno allo spogliatoio ne avrebbe risentito negativamente?
Mastroluca: Probabilmente l’esito del torneo sarebbe stato lo stesso. Dubito anche che l’equilibrio in spogliatoio sarebbe stato diverso.
Gallo: Probabilmente no, anche perché Cruijff fino al novembre del ’77 ha contribuito a mandare quella meravigliosa squadra in Argentina, offrendo una delizia agli occhi di chi seguiva quelle sue ultime partite. Poi non dimentichiamo che quell’Olanda è stata fermata anche un po’ dalla sfortuna e da quel palo…
Sica: Credo che l’Olanda sarebbe arrivata in finale contro l’Argentina e avrebbe perso. Quel mondiale da tutte le informazioni che ho messo insieme era ingiocabile.
Credete che l’enfasi posta sui numeri realizzativi di Pelé abbiamo messo in secondo piano il suo immane talento in campo?
Mastroluca: I numeri, quelli ufficiali e quelli più o meno millantati, costituiscono un ingrediente centrale nel modo in cui Pelè è stato raccontato e ricordato soprattutto in Europa. Dove l’abbiamo visto giocare solo in amichevole nei tour con il Santos o i Cosmos. E in un’epoca in cui la trasmissione dell’epica sportiva avveniva principalmente attraverso la parola scritta, quei numeri insieme ai racconti delle giocate mirabolanti genera lo stupore alla base della fascinazione. Poi vedendo le immagini in bianco e nero, ora che c’è Youtube, poi ti fa rendere conto di quanto straordinario e in anticipo sui tempi come calciatore.
Gallo: Terminati gli aggettivi per Pelé sono cominciati i numeri. Anche perché era rimasto l’unico metro di giudizio che poteva modificarsi nel tempo. Inoltre credo che i numeri abbiano sopperito alla carenza di immagini del campionato brasiliano di quel periodo. In mancanza di gol e giocate si fantasticava sui numeri.
Sica: In effetti quello che dici è una giusta prospettiva. L’ultima cosa attraverso cui bisognerebbe parlare di Pelé sono i suoi numeri (roba da turbocapitalismo degli anni 2000 a cui ormai non crede più nessuno). Pelé è stato prima di tutto un corpo completamente nuovo nel mondo del calcio. Elasticità, potenza e leggerezza, un corpo che rivedremo 20 ani dopo su un campo di calcio.
Domanda difficile: chi è stato il più forte o quello più influente per la storia del calcio?
Mastroluca: Il più influente è sicuramente Cruijff, che giocava il calcio che vediamo vincere oggi oltre 40 anni dopo. La sua rivoluzione non finisce con il ritiro dal calcio, è lui che cambia la cultura calcistica del Barcellona, rifonda la Masia, dà un’impronta che vanta innumerevoli tentativi di imitazione. Una volta che una squadra riesce ad avere successo giocando così nessuno può restare indifferente. Puoi provare a seguire la stessa impronta, puoi cercare una strada alternativa per contrastarla, ma non puoi ignorare che qualcuno ha iniziato a giocare in quel modo. Ha lasciato una traccia che lo rende uno dei calciatori più influenti nella storia delle idee del calcio. Maradona è quel meraviglioso aquilone cosmico che lascia a bocca aperta, ed è per sua stessa natura irripetibile, non replicabile come Pelè.
Gallo: Sono convinto che il più influente sia stato Cruijff, perché ha fatto scuola (in campo e in panchina) e tutt’ora c’è chi si ispira alle sue idee di gioco. Pelé e Maradona, invece, facevano parte di due pianeti diversi che potevano soltanto essere ammirati ma non imitati o replicati. Ecco perché sono convinto che l’olandese sia stato il più rivoluzionario, il brasiliano il più forte e l’argentino il più grande.
Sica: Il più forte è Maradona, un’estensione del pallone da una parte e una leadership clamorosa dall’altra. Col pallone era un mago, con la bocca un generale. Non nasce un altro così. Il più influente Cruijff. Tutti cercano calciatori con quella visione generale su un campo di calcio. Non importa che sia un difensore, un centrocampista o un attaccante, tutti vogliono uno che sa e crea i tempi e gli spazi come Johan.
Regge il paragone con i fenomeni dei nostri tempi, oppure è azzardato in termini tecnici e contestuali?
Mastroluca: Eredi non ce ne sono, anche se molte volte se ne cercano, più di Maradona per la verità. Ma è difficile, anche perché nel calcio di oggi i centravanti hanno caratteristiche e fisici diversi da quelli di Pelé e i fantasisti di pura tecnica, i dribblatori da spazi stretti sono scomparsi, inadatti al calcio del gegen-pressing attuale. A loro modo, Messi e Cristiano Ronaldo raccontano il nostro tempo e il nostro calcio fluido e cerebrale, luminoso e globalizzato, bene quanto Pelé, Maradona e Crijff rappresentavano il loro.
Gallo: Come sopra: seppur qualche campione dei giorni nostri sia stato accostato a Pelé o Maradona per qualche particolare caratteristica, nessuno è stato mai paragonato a Cruijff perché lui era un pozzo di idee che poi riversava in campo attraverso il gioco.
Sica: Non sono un passatista, per cui regge. Il problema è che anche questi, per il motivo turbocapitalistico di cui sopra, sono valutati solo in base alla quantità. Invece la determinazione furente di Cristiano Ronaldo e la classe sincopata di Messi sono le vere qualità che li rendono grandi. Oh, resta inteso che se Ronaldo il Fenomeno avesse fatto dieci anni integro oggi si parlerebbe di secondo posto come il massimo possibile.
Ci potete anticipare qualcosa in merito ai vostri futuri progetti calcistici/letterari?
Mastroluca: E’ in uscita un volume sulla storia degli Internazionali d’Italia di tennis di cui sono fra gli autori. E’ in cantiere un saggio sulla Champions League, sugli effetti economici del prodotto e sull’effetto sportivo dei meccanismi di distribuzione delle risorse. E chissà qualche altra sorpresa più a lungo termine arriverà.
Gallo: Al momento non c’è nulla, però sto scrivendo un documentario sulla storia dell’Italia unita attraverso lo sport. E dentro, ovviamente, c’è molto, molto calcio.
Sica: Vorrei scrivere una cosa sugli anni ’90 e il calcio. Vediamo come si mette.
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