Intervista: Le Mani Del Mago

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Il bel libro di Massimo Brusasco mette in luce la figura di Sergio Viganò, fenomenale massaggiatore e figura importante seppur silenziosa di tante vittorie italiane. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Come nasce l’idea di un libro su Sergio Viganó?

L’idea di un libro su Viganò nasce dal fatto che ha vinto molti più trofei di tanti calciatori di cui si parla. Ma, soprattutto, ho tentato di mettere in evidenza quanto un’amicizia, quella con Roberto Mancini, peraltro nata quasi per caso, sia stata fondamentale per la carriera di entrambi e duri anche ora che Viganò si sta godendo la meritata pensione. Non solo: questa storia vuole anche essere un omaggio al Monferrato; la testimonianza di come la casualità sia importante a patto che poi, con doti e dedizione, si sappiano cogliere occasioni; e, infine, la celebrazione di un uomo che, nonostante abbia sempre trattato muscoli di campioni affermati, non si è mai tirato indietro di fronte a qualcuno che aveva bisogno (a cominciare dagli anziani di Lu, il suo paese).

Viganó appare restio ad apparire e poco incline a ricevere i meritati attestati di stima: ha avuto anche lei questa sensazione durante la stesura del libro?

Viganò ha sempre parlato più coi fatti. Non è un tipo da vetrina. Si schermisce, minimizza. Certe cose che a più sembrano straordinarie per lui sono la normalità. E ad esse non dà peso. E’ spesso la moglie Tina a incoraggiarlo, come quando, nel 1990, lo ha indotto a partecipare a un convegno mondiale di medicina sportiva, durante il quale ha avuto modo di illustrare un’invenzione (un particolare lettino per massaggi) che, altrimenti, sarebbe rimasta relegata nel suo  studio.

Come mai lo staff di un allenatore è quasi sempre ignorato dalla stampa e dagli appassionati?

Lo staff non fa notizia perché opera nell’ombra. E sono rare le volte in cui un campione, rimesso in sesto magari a tempo di record, ricorda pubblicamente a chi si devono le cure. Però gli allenatori sanno benissimo che, senza uno staff all’altezza, parte del loro lavoro sarebbe vanificato. Mancini ricorda spesso che a Manchester, per la partita decisiva, fu Viganò a rimettere in piedi due giocatori infortunati, Kompany e Aguero: quest’ultimo segnò la rete che permise al City di vincere lo scudetto. In quel trionfo, dunque, di Viganò c’è molto (tant’è che il Mancio, dopo quel gol, corse  subito  ad abbracciare il fido massaggiatore).

Quale crede sia la sua esperienza professionale preferita tra le tante avute? 

Credo che gli anni alla Sampdoria (fine 80, inizio 90) siano  indimenticabili, non solo per i successi di una “squadra miracolosa”, ma anche per i legami con alcuni atleti, che durano tuttora. E Viganò ebbe infinita stima (e riconoscenza) per il presidente Mantovani, artefice principale di quei trionfi.

Crede che per Roberto Mancini sia stato anche un confidente e consigliere?

Per Mancini, Viganò è molto. D’altronde ha detto più volte che senza di lui avrebbe disputato la metà delle partite. Sergio era e resta un suo punto di riferimento, per competenza, affidabilità, amicizia.

C’è ancora spazio nel calcio attuale dove tutto è altamente informatizzato per esperti dal sesto senso come Viganó?

Credo che lo spazio ci sia. I laboratori con macchinari sofisticati per lo studio dei calciatori e la loro riabilitazione sono naturalmente un valore aggiunto. Ma senza gli uomini (i cervelli, le intuizioni…) le macchine restano macchine. Se così non fosse, Mancini non insisterebbe per avere Viganò al suo fianco anche agli Europei 2021.

Crede che possiamo definire Sergio Viganó come un riferimento internazionale per i futuri masso fisioterapisti?

Non so. Indubbiamente per molti suoi colleghi resta un punto di riferimento. Ha doti che non si possono trasmettere. Le “mani del mago” restano del mago, dell’Houdini dei muscoli, per citare Vialli. Come i tocchi di classe di Maradona non sono ereditabili, così vale per certe performance di Viganò. Di certo, chi fa il mestiere del massofisioterapista da lui può imparare molto.

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