Gianni Galleri si dimostra grande conoscitore dei Balcani, con un libro davvero interessante, un magnifico diario che farà la fortuna di tutti gli amanti della suddetta zona e del suo meraviglioso calcio. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Nel farti i complimenti per il libro ti chiedo dove e come nasce il tuo amore (da me condiviso) per il calcio dell’Est e per quello balcanico in particolare?
Il mio amore per il calcio dell’Est e balcanico nasce in primis dall’amore per l’Est Europa e i Balcani. Il calcio è stato una conseguenza, una splendida conseguenza.
Nei tuoi viaggi hai sempre trovato persone disponibili, ma come stata qualche situazione di tensione nelle quali ti sei sentito gradito in quanto straniero?
In generale l’italiano è piuttosto ben visto nel mondo del calcio dell’Europa dell’Est. E’ un retaggio del fatto che negli anni Ottanta e Novanta, eravamo l’esempio che tutti volevano seguire a livello di tifoserie e movimento ultras. Per questo devo dire che non ho mai trovato particolare ostilità, anzi. Molta curiosità e disponibilità.
Il clima che accompagna le partite nel contesto da te analizzato è unico, così come la fedeltà ai colori: che sensazioni hai a riguardo?
Ho pensato di raccontare il tifo e il calcio in quelle terre proprio perché, come dici tu, ci sono un’appartenenza e un amore che non riesco più a trovare altrove. In un calcio sempre più televisivo, sempre più legato ai risultati, quelle terre rimangono un’oasi di legami indissolubili con la propria squadra. Ecco penso che la parola più giusta sia proprio “amore”, quell’amore che ti fa dire, mentre sei in curva, “Questo è il mio posto”.
A Belgrado non tifare per Stella Rossa o Partizan è quasi impossibile, anche se ne libro ci ricordi le tante altre realtà della capitale serba: dissociarsi per tifare altro è più una scelta o una eredità famigliare?
E’ entrambe le cose. Nel corso dei miei viaggi e delle mie interviste ho trovato tutte e due le situazioni. Sia chi ha ereditato la passione per l’Ofk, ma anche chi ha scelto consapevolmente di sostenere la squadra della proprio quartiere/città, come i ragazzi di Zemun. Ho il grosso rimpianto di non essere riuscito a intervistare un tifoso del Rad, ma purtroppo il mio contatto non mi ha mai inviato l’intervista tradotta, nonostante l’abbia pressato un bel po’. Un vero peccato.
Credi che il contesto sloveno prenda più dal contesto austriaco o da quello più propriamente slavo?
La Slovenia è una terra piena di contaminazioni. L’Austria è vicina, ma forse calcisticamente non è così influente. Secondo me lo sono più l’Italia e, per certe zone, l’Ungheria. Ma soprattutto è forte l’eredità jugoslava. E’ un luogo non banale, che vale la pena approfondire. Sono contento di essere stato il primo a farlo.
Magnifico il tuo racconto sullo Sloboda Tuzla e sulla mitica stagione 1976/1977, credi però che ci sia un po’ troppo la tendenza a vivere di ricordi in tali contesti?
Spesso i ricordi sono l’ultima cosa che ti rimane. Il tessuto sociale è distrutto, la tua squadra fa fatica a rimanere in prima divisione in Bosnia, in un campionato poco più che scadente. Cosa puoi fare, se non ricordare quando le cose andavano meglio? Io li capisco benissimo. Ma non è solo un discorso calcistico, è più a tutto tondo. Un passato importante è l’ultimo baluardo verso un presente nel quale non riesci ad identificarti.ù
La situazione calcistica in Romania è confusa e fortemente irrispettosa dell’eredità storica: credi sia un fenomeno che possa allargarsi?
In qualche modo si è già allargato, basta pensare alla Bulgaria, dove ci sono due CSKA e il Levski è sull’orlo del baratro, a un passo dal fallimento. E’ chiaro che il fatto di cambiare protagonisti fa parte delle normali dinamiche pallonare, ma in questo caso c’è proprio un pericolo incombente di perdere un patrimonio calcistico importante.
A livello di tifo come ti è apparsa l’Albania, tenuto conto delle tante squadre di Tirana e delle situazione politica e sociale?
L’Albania è stata una vera sorpresa sotto ogni punto di vista, incluso quello del tifo. Ho avuto il piacere di conoscere i ragazzi degli Ultras Guerrils del Partizani ed è stato amore a prima vista. Raramente capita di parlare con persone con una mentalità e dei valori del genere. Spero di tornare presto a trovarli.
Nella tua esperienza ad Istanbul hai notato forte la contrapposizione tra Occidente e Oriente a livello di tifo?
Sinceramente non ho notato questa contrapposizione, ma senza dubbio la Turchia ha una propria peculiarità in fatto di tifo. Basta vedere il numero di tifosi che vanno allo stadio rispetto ai Paesi confinanti. Numeri irripetibili ovunque. C’è qualcosa di unico in quella città. Non sono ancora riuscito ad afferrarlo, è come una atmosfera, una sensazione.
Ci sarà un terzo atto relativo alle tue “avventure” oltre l’Adriatico?
Credo che la corsa sia arrivata al suo termine. Non escludo di tornare a scrivere, con calma, ma vorrei cercare nuovi stimoli, nuovi panorami. Anche nuovi generi, come la biografia. La cosa certa è che non ho fretta e quando mi deciderò nuovamente sarà per qualcosa che mi farà divertire.
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