Intervista: O Zico O Austria

ZICOcopertina

Il bel libro di Enzo Palladini descrive come meglio non si potrebbe la figura di Zico, con princioale riferimento al suo periodo trascorso con la maglia dell’Udinese. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Nel complimentarmi per il libro ti chiedo come ti è venuta l’idea e come e quando è nata la tua passione per Zico?

Si parte da una forte passione per il pianeta Brasile, sviluppata nel precedente libro “Scusa se lo chiamo  futebòl”, in cui venivano raccontate storie di calcio e di vita, alcune verissime altre un po’ romanzate,  raccolte durante viaggi in Brasile negli anni ’90 e leggendo libri e riviste provenienti da là. Dopo la biografia  di Ronaldo fenomeno scritta nel 2010 ci stava il racconto di un altro mito, decisamente diverso sotto il  profilo caratteriale, un mito con una storia piena di aneddoti straordinari. E poi il nome di Zico fa tornare  indietro agli anni ’80 e a un calcio italiano che entrava nella sua fase più esaltante.

Possiamo definirlo la massima rappresentazione del numero 10 per antonomasia?

Esisteva in Brasile un ruolo denominato ponta de lança , che era il trequartista, maquesto è un termine desueto, scomparso dopo il ritiro di Zico dal calcio giocato. L’importante è che la camisa dez , la maglia numero dieci, non finisca sulle spalle di uno scarsone picchiatore. In quel caso si configura un’ipotesi di reato. Però il fatto che con l’addio di questo fuoriclasse sia sparita anche una denominazione ci fa capire quanto abbia inciso la presenza di questo talento nell’universo del calcio brasiliano.

Il suo rapporto con il Flamengo è qualcosa di unico e sentitissimo, sei d’accordo?

Come si dice nel libro, “è interessante raccontare come gli storici del Flamengo parlino spesso di un’era “avanti Zico” e un’era “dopo Zico”, come si trattasse del Cristo Redentore che allarga le sue braccia sul panorama di Rio de Janeiro”. In quegli anni, il Fla divenne la squadra brasiliana più popolare nel mondo ma soprattutto riempì di trofei una bacheca che fino a quel momento era quasi vuota. Normale che abbia lasciato un segno così profondo nella storia di quei colori.

Il Mondiale è stata la sua chimera, ma è possibile attribuire al Galinho color specifiche per le mancate vittorie?

Nel 1978 Zico era un ragazzo che stava cercando di affermarsi. Nessuno gli chiedeva di fare miracoli, nessuno pretendeva che prendesse per mano la squadra e la portasse in cima al mondo. Il grande rammarico è legato al Mondiale 1982 e alla mitica partita contro l’Italia. L’unica colpa che gli si può attribuire è quella di aver perso una buona occasione per il 3-3 prima della fine. Ma quell’Italia era una squadra che in quel momento avrebbe battuto chiunque. Nel 1986 fu già un miracolo vedere Zico in campo dopo il gravissimo infortunio di qualche mese prima. Difficile dargli colpe per un rigore sbagliato poco dopo essere entrato in campo contro la Francia.

In un’ipotetica classifica di specialisti dei calci piazzati credi che Zico possa essere il primo per efficacia e genialità della traiettorie?

I grandi specialisti nella storia sono tanti, molti concentrati proprio in quegli anni. Magari per efficacia ce ne sono moltissimi a pari merito (Platini per esempio), ma per genialità delle traiettorie sicuramente Zico va considerato all’avanguardia assoluta. Questo è il racconto di Giovanni Galli all’interno del libro: “ Aveva una facilità di calcio unica. Poi c’erano le punizioni. Non esiste un segreto per quella sua maniera di calciarle. Gli veniva naturale. Ho notato nella mia carriera che i migliori a calciare le punizioni sono i giocatori alti fino a un metro e ottanta, riescono a dare direzione e forza. Zico e Maradona in più avevano un piede altamente sensibile, potevano battere sopra la barriera oppure vicino al palo senza mai farti leggere le loro  intenzioni. Ho affrontato tre volte Zico in campionato e mi ha segnato un solo gol, su punizione. La tirò diversamente dal solito, ma aveva fatto piazzare due suoi compagni accanto alla mia barriera, per impedirmi di vedere la traiettoria”.

Come hai organizzato il certosino lavoro di ricerca per la ricostruzione della trattativa che l’haportato ad Udine?

“In un cassetto c’erano molti ritagli, ma quando durante la carriera un giornalista ha la fortuna di avere buoni rapporti con tanti colleghi, alcuni dei quali magari hanno qualche anno in più e hanno vissuto in prima persona alcune vicende importanti, è davvero facile riuscire a farsi aiutare nella ricostruzione. E poi c’erano i ricordi personali di ragazzo che iniziava a fare questa professione”.

Credi che la concomitante situazione di Cerezo abbia influito sullo sblocco di quella di Zico, datal’interferenza politica sita a Roma?

Dal punto di vista “politico” decisamente la potenza della Roma, allora più che oggi, era decisamente superiore a quella dell’Udinese. E il contratto che Cerezo aveva firmato con la Roma era decisamente più rischioso rispetto a quello di Zico, che presentava qualche lacuna solamente relativa al metodo di pagamento e di suddivisione degli emolumenti del giocatore. Se non fosse arrivato Zico, sarebbe tornato indietro anche Cerezo. E la Roma campione d’Italia ne avrebbe risentito parecchio.

Come spieghi il grande entusiasmo di una piazza “moderata” come quella di Udine? Quanto la voglia di rinascere dopo il terremoto ha contribuito a creare tale euforia?

Zico in quel momento era uno dei tre giocatori più forti del mondo insieme a Platini e Maradona. Per fare un paragone con il calcio attuale, era Neymar che viene subito alle spalle di Cristiano Ronaldo e Messi. Udine era abituata a giocatori di livello medio, magari dotati di classe ma non tra i top mondiali. Erano passati sette anni dal terremoto che aveva messo in ginocchio quella gente che nel frattempo aveva ricostruito tutto. L’arrivo di un fenomeno del genere era il segno di una rinascita definitiva.

Con una difesa più solida e senza gli infortuni di Zico dove sarebbe potuta arrivare l’Udinese nella sua prima stagione?

Un posto in Coppa Uefa lo poteva anche conquistare con le prodezze del numero dieci. La difesa era ben guidata da Edinho ma nelle altre posizioni c’erano giocatori con caratteristiche non totalmente compatibili tra loro, protetti solo parzialmente da un centrocampo dai piedi buoni ma poco propenso all’interdizione. Enzo Ferrari era un allenatore che amava il gioco d’attacco come il suo successore Vinicio, la gente si divertiva ma i risultati non sempre arrivavano.

Quanto ti manca la seria A degli anni’80 e 90 nobilitata dal meglio del calcio mondiale?

Quello che veramente manca è il rapporto diretto con i protagonisti. Negli anni ’80 e ’90 si poteva parlare con i giocatori senza filtri, anche a costo di mandarsi a quel paese per una pagella troppo bassa o per un titolo un po’ forzato. Nelle trasferte europee si viaggiava sullo stesso aereo e spesso si costruivano rapporti umani

 

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