Riuscire a porre qualche domanda a chi ha appena fatto uscire una sua autobiografia è attività stimolante, se poi si tratta di un tuo idolo di gioventù, allora il piacere raddoppia.
Ho letto “Fragile” di Marco Van Basten, entro la settimana dalla sua uscita in Italia: ne ero incuriosito e sono rimasto molto colpito.
Non è un libro sul calciatore Van Basten, quanto piuttosto su Marco che ha convissuto prima con l’implacabile cannoniere Van Basten, poi con il calciatore infortunato Van Basten e quindi con l’allenatore Van Basten, fino a riuscire, a 50 anni, a ricongiungersi con l’uomo Van Basten!
E’, insomma, il racconto di un viaggio interiore nei ricordi che fanno emergere un uomo appunto “fragile”, come il titolo.
Nel libro Marco Van Basten si mette davvero a nudo, raccontando senza mezze misure e giri di parole i suoi rapporti familiari, l’impenetrabile scorza del padre e la gracile consistenza della madre; i primi successi e gli infortuni, il viaggio lungo una vita con la moglie, i lussi e i travagli economici.
Marco Van Basten è schivo e restio a rilasciare interviste. Ma, con buona volontà, con la complicità preziosa e insostituibile di una carissima amica, Rosi Braidotti (per anni segretaria di Milanello e depositaria dei suoi segreti) e con la disponibilità del publisher olandese Oscar Van Gelderen, sono riuscito a porre qualche domanda al grande centravanti olandese che, con garbo e gentilezza, mi ha risposto.
Le domande sono state poste in inglese e tradotte in olandese da Manuela Klerkx, collaboratrice di Van Gelderen, che ha anche tradotto le risposte in ottimo italiano.
Nel libro viene descritto un Marco Van Basten diverso da quello che i tifosi erano abituati a vedere sul campo: un uomo tormentato dai suoi dubbi che vive la sua condizione privilegiata di campione acclamato. Quanto è costato sul piano personale aprire la scatola dei ricordi e che cosa ti ha spinto a farlo?
“Mi era stato chiesto di realizzare un documentario sulla mia vita, ma non mi piaceva l’idea. Poi, in una conversazione con Edwin Schoon, il giornalista che voleva fare il documentario, è nata l’idea di fare qualcos’altro, cioè un libro. Di recente avevo letto – in un respiro – ‘Open’ di Andre Agassi. E più parlavamo della possibilità di un libro, più l’idea prendeva vita. Certo che avevo tanti ricordi del passato, ma nella mia testa era una grande confusione. Mancava una linea in tutto ciò. Quando abbiamo cominciato a strutturare, sono stato in grado di rivivere tante cose. E poi ho pensavo: <<Se riusciamo a scrivere quel libro correttamente, non solo permetto a me stesso, ma anche al lettore di rivivere quei bei momenti.”
Nonostante il libro sia un viaggio nei ricordi personali, il cuore sembra rimanere sempre sullo sfondo senza mai dare al lettore l’impressione di aprirsi del tutto: appare un Marco Van Basten quasi privo di affetti, gelido. Cosa ti ha frenato dall’esprimere a pieno le tue sensazioni rispetti a quello che racconti?
“Questo libro racconta come mi sono sentito nella mia vita. Sono stato trasparente e sincero/onesto, non mi vergogno di nulla: questo è il lato positivo del libro. Bisogna sapere che per tanto tempo ho vissuto in un mondo nel quale si discuteva e trattava solo di prestazioni e dove la vulnerabilità deve essere sempre evitata. In quel periodo non c’era spazio per le mie emozioni, per come mi sentivo davvero. Adesso sì!”
Joop Van Basten e Johann Cruijff, due padri molto esigenti con te: entrambi occupano una parte importante del tuo racconto. Che padre pensi di essere rispetto a loro?
“Mio padre era vecchio stile, tradizionale e distante. Era un buon padre, ma Johan era di una generazione più giovane. Mi capiva e con lui la situazione era sempre giocosa, ci siamo sempre divertiti. Ma Johan era anche in grado di prendere le distanze e di superare il gioco come allenatore. Il suo modo di fare mi piaceva e lo consideravo educativo. Cerco di dare le stesse chiarezze e gli stessi confini ai miei figli, lasciandogli abbastanza spazio per vivere le loro vite.”
Mentre usciva in Italia il tuo libro, sei diventato nonno: come ti vedi tra 5 anni?
“La mia figlia maggiore Rebecca aspetta il suo figlio per il mese di maggio, e mia figlia più giovane, Angela, ha partorito il 9 marzo una bambina che si chiama Eli. Sia lei che la bambina stanno bene. Sono diventato nonno solo due settimane fa, quindi ancora non ho molto da dire al riguardo. Per motivi dalla crisi causata dal Coronavirus non la posso vedere più di tanto, anche se occasionalmente ci vediamo tramite facetime e quindi rimaniamo in contatto. A proposito di Angela… è nata una domenica, e, come racconto nel libro, quel giorno giocavo contro la Lazio alle ore 15:00. Nostra figlia era nata alle ore 13:00 e avevamo deciso di chiamarla Deborah. Quel giorno ho segnato l’1-1 e quindi – dopo la partita – ho dedicavto il goal a mia figlia Deborah. La sera però, io e mia moglie, avevamo cambiato idea e deciso di chiamarla Angela. Il lunedì, la squadra si era riunita e anche Silvio Berlusconi è passato per fare un brindisi su mia figlia Deborah. Allora ho spiegato che d’ora in poi mia figlia si sarebbe chiamata Angela. Ma ormai la notizia stava già circolando e quindi su internet trovi entrambi i nomi.”
Un’ultima domanda. Tutti i tifosi rossoneri hanno ancora negli occhi il tuo volo nella partita d’addio al calcio di Albertini: come ti senti di salutare questi orfani di Marco?
“Sono molto grato per il periodo meraviglioso che abbiamo vissuto tutti insieme e spero che con questo libro ci sia una nuova opportunità per ricordare insieme. In ogni caso, non dimenticherò mai nemmeno io il colpo di testa con cui hi segnato, mezzo zoppo, nella partito d’addio di Albertini!”
Daniele Vidal
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