Intervista: Angelo Cereser – Una Vita In Trincea

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Il libro di Paolo Ferrero ripercorre le gesta di un grande difensore, Angelo Cereser, libero di gran livello nel Torino e personaggio come non ce ne sono praticamente più nel nostro calcio. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Nel farti i complimenti per il libro ti chiedo come ha sviluppato l’idea di scrivere di Angelo Cereser.

Grazie per i complimenti, anche perché questo è un libro a cui tengo molto. Cereser è stato nella mia infanzia uno dei miei eroi calcistici preferiti. Lui era il libero del primo Toro che ho visto allo stadio, al Comunale, a otto anni, portato da mio padre, gennaio del 1972, Torino-Mantova 1-0.

 Credi che il suo valore sia stato sottovalutato durante la sua carriera?

Erano anni, quelli, in cui al libero si chiedeva soprattutto un ruolo di rottura più che di costruzione. Cereser per tempismo, intuizione e grinta non è mai stato secondo a nessuno.

 La nazionale per lui è stata una sorta di chimera: credi abbia pagato il fatto di non essere “spinto” più di tanto dalla stampa?

Più che la stampa ha sicuramente influito la scarsa considerazione che il commissario della Nazionale di quei tempi, Ferruccio Valcareggi, ha sempre avuto nei confronti di Cereser e dei giocatori granata in generale. Poi, una serie di infortuni che Angelo subì nel momento di maggiore maturità calcistica ha sicuramente influito in questo.

Quanto ha contato per la sua maturazione lo splendido rapporto avuto con Giorgio Ferrini?

Angelo ha perso prestissimo il papà, la mamma è mancata quando lui era arrivato da poco, giovanissimo, a Torino dalla sua terra veneta. Non aveva fratelli. E’ stato fortunato ad incontrare un amico come Giorgio Ferrini, un vero fratello maggiore, che lo ha aiutato a inserirsi in un mondo calcistico piuttosto complicato. Ferrini è stato per lui un esempio di lealtà e di dedizione da seguire in tutto e per tutto.

Quanto invece ha pagato la sua nomea di cattivo e duro in campo?

Nomea affibbiata soprattutto da parte della stampa milanese. Hanno influito in questo anche una serie di scontri fortuiti, raccontati nel libro, che Angelo ha avuto con i due idoli di San Siro di quei tempi: Gianni Rivera e Sandro Mazzola

Lo possiamo definire il classico esempio di battitore libero così come era conosciuto il ruolo agli albori?

Sicuramente la dote calcistica migliore di Cereser era quella dell’interdizione. Aveva un grande senso della posizione e non temeva di certo lo scontro fisico. Ma ricordo che Angelo aveva iniziato a giocare in maglia granata come terzino marcatore e che per qualche tempo, prima dell’arrivo di Pulici, fu anche il rigorista della squadra: tirava delle belle randellate che raramente fallivano la rete!

Da tifoso granata credi davvero che lo Scudetto del 1976 gli possa essere moralmente assegnato?

Cereser, Ferrini, Fossati, Agroppi, Rampanti, Puia, Bui e il tecnico Gustavo Giagnoni hanno virtualmente vinto anche loro lo scudetto del 1976. Sono stati loro a insegnare ai futuri campioni quel “Tremendismo” che caratterizzò la squadra granata allenata da Gigi Radice e che permise di superare i cugini della Juve in quel magico campionato

Che immagine ha trasmetto in campo e fuori il grande “Trincea”?

Angelo è una persona solare e genuina. Ama stare con la gente granata, ha una bellissima famiglia. Ha un’alta considerazione sul valore dell’amicizia. Abbiamo detto di Ferrini, ma non possiamo dimenticare gli altri personaggi che ha avuto la fortuna di incontrare lungo la sua strada: Aldo Agroppi, l’amico fraterno, don Francesco Ferraudo, la sua guida spirituale e Renza, la sua splendida moglie

Nel calcio di oggi ci sono ancora simili esempi in termini di uomini veri, eccelsi protagonisti e portatori di valori nei confronti della tifoseria?

Se ad Angelo è stato dedicato un Toro Club (il Toro Club Valcerrina) ci sarà un motivo! Cereser è stato l’esempio più fulgido dell’attaccamento ad una maglia. E questo nonostante che a quei tempi la società granata non si fosse comportata molto bene con lui, spedendolo a Bologna l’anno prima dello scudetto, quando lui al Toro avrebbe potuto dare ancora molto. A Bologna giocò per tre anni, poi, appese le scarpette al chiodo, ritornò subito nella “sua” Torino. Non mi stupisco, quindi, di incontrarlo ancora adesso allo stadio per seguire e soffrire assieme a noi tifosi le vicende del nostro Toro.

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