Intervista:MAVERICKS & CULT HEROES del calcio Britannico

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Ciao Remo e benvenuto su Bibliocalcio. Oggi vogliamo parlare un po’ del tuo ultimo libro “Mavericks & Cult Heroes del calcio britannico” edito dalla Urbone Publishing e da pochissimo sugli scaffali delle librerie.

Partiamo da te, chi è Remo Gandolfi?

Ciao e grazie di cuore a voi per questa bella opportunità.
Remo Gandolfi è essenzialmente un “malato” di calcio! Da sempre. E fin da ragazzino con una curiosità enorme verso tutto quello che arrivava anche da fuori dei confini italici, che fosse campionato inglese, spagnolo o il calcio sudamericano.
Anche se avere informazioni a quei tempi era davvero un’impresa! A stimolare questa curiosità c’era anche la passione per il Subbuteo, gioco fondamentale per quelli della mia generazione che stimolava ulteriormente la voglia di conoscere squadre e calciatori di tutto il mondo. Questa passione mi ha spinto a diventare un lettore avido e appassionato di tutto quello che arrivava dall’estero fino a farmi accumulare una quantità impressionante di riviste, giornali, programmi e le vecchie care VHS che facevo arrivare da tutte le parti del mondo per poter seguire il calcio degli altri Paesi in tempi in cui SKY, DAZN o il WEB erano forse solo nella fantasia di qualche sognatore.

Leggendo il tuo libro si evince chiaramente la tua passione per il calcio britannico. Come mai questa passione? Oggi è facile appassionarsi alla Premier League, un campionato con una visibilità enorme, prima però era diverso, o mi sbaglio?

Assolutamente vero Antonio! Ai tempi, specie negli anni ’80, amare il calcio britannico era quanto di più fuori moda e inattuale ci potesse essere! Nonostante i trionfi in Coppa dei Campioni in serie delle squadre inglesi (Liverpool, Nottingham e addirittura Aston Villa) il calcio britannico qui da noi era già schiavo di quei cliché, frutto dell’ignoranza calcistica di allora, che considerava il calcio inglese solo il “palla e lunga e pedalare” ed era visto con una sorta di superiorità e spesso di disprezzo. Anzi, spesso si veniva associati al fenomeno “hooligans”. L’equazione “ami il calcio inglese=sei un violento” era all’ordine del giorno. C’è anche una data che fu per me di svolta e che sancì l’innamoramento definitivo: il 12 maggio del 1979, giorno della finale di FA CUP tra Arsenal e Manchester United, una delle partite più emozionanti che avessi visto fino ad allora e in una cornice, quella del vecchio Wembley, che lasciava letteralmente senza fiato. Fu una folgorazione. Il giorno dopo iniziò quella caccia spietata di cui ti dicevo prima ad ogni cosa riguardasse il calcio inglese e britannico.

Leggendo il tuo precedente e fortunato “Storie maledette. L’altra metà del calcio”, da cui ricordiamo è nato anche un fortunato gruppo Facebook, è chiaro che hai una predilezione per gli eroi sfortunati, che ritroviamo poi anche tra le righe di questo libro. Sono davvero così appassionati le loro storie, personali e calcistiche?

Io penso da tempo che ci sia un grande bisogno di “storie” e che sempre di più ci sia la necessità di staccare da questo calcio “usa e getta” fatto solo di polemiche, VAR, gossip e vissuto solo in funzione del risultato. Il calcio è molto più di questo. Il calcio è il “romanzo popolare” per eccellenza e come in ogni romanzo ci sono storie di “persone” che aspettano solo di essere raccontate.
Non è un caso che i racconti di Federico Buffa, Matteo Marani o Giorgio Porrà abbiano un così grande riscontro ed un bacino sempre più importante di spettatori appassionati.
Dietro il più grande successo o dietro il più clamoroso fallimento ci sono sempre e comunque “persone” che lo hanno determinato, vissuto o subito. E attraverso di loro e il loro percorso umano arriviamo a capire molto meglio determinati meccanismi.
A questo proposito c’è un esempio quanto mai calzante. Io ho una rubrica settimanale su Calciomercato.com, uno dei siti più popolari di tutto il panorama sportivo del Web. Al 90% si occupa di attualità calcistica ma il Direttore Stefano Agresti ha preteso uno spazio anche per qualcosa d’altro, più di nicchia se vogliamo, ma che completa l’offerta di informazioni calcistiche fruibili dal sito. E allora c’è spazio per i miei profili di calciatori “maledetti”, per le inchieste di grande Giornalismo (G maiuscola non a caso) di Pippo Russo o per i meravigliosi “Amarcord” di Alessandro Bassi … proprio perché sempre più lettori vogliono ANCHE questo.

Mavericks da un lato e Cult Heroes dall’altro. Perché questa contrapposizione? C’è un filo che lega le due categorie?

Il filo che li lega è la traccia che hanno lasciato nel cuore della gente, dei propri tifosi
Sono quelli le cui storie si tramandano di generazione in generazione. Sono quei calciatori “simbolo” di un club che resistono nel tempo. In Gran Bretagna questo accade molto di più che altrove proprio per un fatto di cultura. Fino a qualche anno fa soprattutto c’era un senso di appartenenza molto forte verso la squadra della tua città o del tuo quartiere indipendentemente dalla divisione in cui giocava il proprio Club. E la “storia”, la tradizione e chi in passato ha in qualche modo lasciato il segno per il suo talento o per la sua fedeltà al Club non può semplicemente essere dimenticata.
Se sei tifoso del Liverpool è inammissibile che tu non sappia chi erano Kevin Keegan, Tommy Smith o Bill Shankly mentre da noi il passato è sempre stato consumato e “sputato”, perché considerato vecchio e obsoleto. Se chiedi ad un ragazzino tifoso del Milan chi erano Nereo Rocco o Pierino Prati con ogni probabilità non saprà risponderti. In Gran Bretagna questo non è contemplabile.

Hai raccontato 27 storie, di calciatori e di uomini. Alcune con un lieto fine, altre purtroppo finite male. È stato difficile scegliere questi 27 profili? Insomma, di eroi ma anche di “cavalli pazzi” il calcio inglese ne è pieno, come sei riuscito a limitarti a “soli” 27 giocatori?

E’ stata una delle decisioni più sofferte in assoluto. C’erano almeno una decina di profili che avrebbero meritato di essere inclusi nel libro, proprio per la loro importanza nei Club in cui hanno militato e per le loro storie personali. Ne cito due in particolare: uno è Stan Cullis, giocatore e poi allenatore del Wolverhampton che, convocato nella Nazionale inglese per una partita contro la Germania di Hitler, rifiutò, unico tra i calciatori inglesi, di scendere in campo pagando questa sua scelta con l’allontanamento dalla Nazionale … salvo poi essere rivalutato nel momento in cui, poco più di un anno dopo, la Germania nazista scatenò la seconda guerra mondiale. L’altro è Norman Whiteside, il giocatore più giovane ad aver giocato la fase finale dei Mondiali di calcio. Calciatore tra i più completi visti nel panorama britannico che a causa dei ripetuti infortuni dovette abbandonare l’attività agonistica a soli 26 anni.
Occorre aggiungere che molti profili toccanti e tragici di calciatori britannici erano già stati inseriti in “Storie Maledette” come Paul Vaessen, Justin Fashanu, Duncan Edwards o David Rocastle.

Senza svelare chi sono i tuoi protagonisti, un lettore attento e appassionato potrebbe “rimproverarti” di non aver inserito giocatori come Gascoigne o magari Best. C’è un motivo per queste assenze?

Questa risposta è strettamente legata alla precedente. Ci sono talmente tante bellissime storie ancora da raccontare che ritenevo fosse un peccato “sprecare” dello spazio per due grandi campioni “maledetti” come Best e Gascoigne dei quali si sa già praticamente tutto. Molto meglio andare a cercare quelli meno conosciuti però con storie personali altrettanto particolari e affascinanti. E qui entra in gioco la grande fortuna di avere un editore come Gianluca Iuorio della Urbone che appoggia sempre con entusiasmo ogni scelta fatta dal suo autore, anche quelle apparentemente meno “commerciali” come in questo caso.
Sicuramente sarà stato difficile lasciare a casa qualcuno. Qual è stato il primo dei “non eletti”? E quale profilo, invece, è stato quello che ti ha appassionato maggiormente?

La storia di Laurie Cunningham, la fortissima ala del WBA e in seguito del Real Madrid, è davvero una che avrebbe meritato di essere inserita. Non solo per la tragica morte del calciatore, avvenuta quando era ancora in attività, ma per quanto sia stato un simbolo per i giocatori di colore nel campionato inglese. Non dimentichiamo che fu il primo “colored” a giocare in una delle principali nazionali inglesi, quella Under 21 nell’aprile del 1977.
Ho parzialmente rimedito raccontando di Cyrille Regis, altra figura fondamentale e suo compagno in quel WBA che incantò per il gioco offensivo e spettacolare messo in mostra sul finire degli anni ’70.
In quanto al preferito … è una scelta davvero difficile. In un modo o nell’altro ho amato e apprezzato ognuno dei 27 protagonisti. Alcuni di loro lo ho seguiti per tutta la carriera (Ferguson, Quinn, Hoddle, Brady, Harford, Nicholas e Ashton) ma la storia che “sento” di più e proprio per questo la più difficile da scrivere è stata quella del povero Gary Speed. Un calciatore che era l’esatto contrario del “Maverick”. Di una professionalità estrema e di uno spessore umano enorme. La sua tragedia personale è qualcosa che mi toccò profondamente e che ancora oggi non può lasciare indifferenti.

Ti sarai sicuramente fatto un’idea del perché i tifosi si appassionino a dei giocatori incostanti, lunatici e sovente, diciamocelo, anche irritanti? Davvero l’amore è croce e delizia?

Credo che l’esempio più calzante per spiegare questo fenomeno apparentemente incomprensibile sia quello di Paul McGrath, il fortissimo difensore irlandese che per tutta la carriera ha dovuto convivere con la sua dipendenza dall’alcol. Tutti, compagni di squadra, allenatori, dirigenti e tifosi sapevano di questo suo “problema”. Questo lo avvicinava ancora di più al cuore degli appassionati perché lo rendeva ancora più umano e paradossalmente più vicino a loro, proprio perché “difettato”. C’è un aneddoto nel libro quanto mai significativo che raccontò lo stesso McGrath. Durante un’amichevole in precampionato McGrath scende in campo evidentemente ubriaco. Calciando una punizione manca completamente il pallone, colpendo il terreno e cadendo goffamente a terra. Niente risate o scherno … ma solo il coro dei tifosi dell’Aston Villa di incitamento “There’s only one Paul McGrath”.
E poi basti pensare ad uno come Robin Friday, il “maverick” per eccellenza del calcio inglese che giocò fino a 25 anni, in due sole squadre professionistiche, Reading e Cardiff, che entrambe lo elessero “Cult Hero” nella storia del Club. … Al Cardiff Robin Friday giocò solo 21 partite … ma sufficienti a farlo amare in maniera incondizionata dai propri tifosi.

Se dovessi scegliere il tuo Maverick e il tuo Cult Heroe odierni chi sceglieresti?
Il calcio moderno è assolutamente diverso da quello che emerge dai tuoi racconti, eppure le due categorie di cui parli non hanno mai smesso di rimpinguarsi. È davvero possibile per il calcio odierno, professionalizzato fino all’estremo, sostenere ancora mavericks e cult heroes?

Rispondo a queste due domande insieme.
Ci sono ancora eccome ! Di loro però sarà più facile avere informazioni a fine carriera, magari nella classica autobiografia che praticamente tutti i calciatori britannici pubblicano a fine carriera. Oggi c’è uno schermo di protezione maggiore da parte di società, procuratori e staff per cui molti panni sporchi vengono lavati in casa e filtrano con più difficoltà.
Però di uno come Andy Carroll non è difficile capire che i suoi “costumi” e il suo stile di vita ne hanno condizionato pesantemente una carriera che poteva essere di ben altro spessore. La sua storia è veramente molto simile a quella di Duncan Ferguson che è raccontata nel libro. Altro giocatore con un potenziale enorme che però professionalmente non era certo da prendere ad esempio.
Cult heroes ce ne sono ancora. Mark Noble del West Ham è uno di questi. Un amore per il suo club che vale molto di più del denaro o della possibilità di vincere trofei altrove.
Nel libro ogni profilo delineato è corredato da una serie di gustosi aneddoti che rendono la lettura più leggera ma allo stesso tempo più accattivante. Qual è stato quello che ti ha divertito di più?

Ti garantisco che quando sono andato alla ricerca di questi aneddoti mi sono divertito anch’io tantissimo. Ce ne sono alcuni davvero brillanti e divertenti. Jim Baxter o Malcolm Macdonald ne raccontano tanti, così come Stan Bowles, John Robertson o quelli raccontati da Peter Crouch su Robert Prosinecki.
Ma quello di Tommy Smith, il durissimo e temutissimo difensore centrale del Liverpool è veramente di un’altra categoria ! Tanto vale raccontarlo.
Usanza di Tommy Smith era consegnare all’attaccante che avrebbe dovuto marcare nelle partite ad Anfield Road un bigliettino nei primissimi minuti di partita. In quel foglio di carta c’era il MENÙ dell’ospedale di Liverpool. All’immancabile stupore dell’avversario (“scusa, cosa dovrei farci con questo?”) Tommy Smith, impassibile, rispondeva “Leggilo con attenzione perché è il posto dove sarai a mangiare stasera”.
… e detto da uno come Tommy Smith era un avvertimento da prendere molto ma molto seriamente …

resto il calcio italiano credo proprio che meriterebbe un libro come questo….

I progetti sono tanti. È il tempo che è tiranno …!!!
Sicuramente visto il lusinghiero impatto di queste storie cercheremo con l’Urbone di dare continuità, raccontandone altre e … da altri campionati e da altri continent !
Inoltre in cantiere c’è una biografia su uno dei personaggi più carismatici della storia del calcio britannico e anche un “romanzo calcistico” sulla falsariga di quello che avevo scritto qualche anno fa sul Leeds United. Stavolta si parlerà di una squadra “perdente” e la storia la racconterà un calciatore “maledetto” di quella stessa squadra.

GRAZIE DI CUORE ANTONIO

Grazie a te Remo per questa bella chiacchierata e in bocca al lupo per il libro!

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