Ciao Vincenzo e benvenuto su Bibliocalcio. Oggi parliamo del tuo primo libro “Alfredo Di Stefano. Vita e prodezze della Saeta Rubia”. Pubblicato con la Urbone Publishing nel 2016 resta ovviamente un’opera sempre attuale. Leggibile da parte di chiunque, addetti ai lavori e semplici appassionati, grazie al tuo approccio a metà strada tra il narrativo e un più impegnativo stile didascalico.
– Ma perché un libro su Di Stefano. Un giocatore che appartiene ad un’altra era calcistica (ha smesso di giocare negli anni ‘60)?
Vista anche la mia età potrebbe sembrare una scelta controintuitiva, o perlomeno curiosa, ma in realtà a guidarmi è stata la passione per il calcio vintage e per tutti quegli interpreti che ne hanno segnato la storia, influenzandone anche la successiva evoluzione. Inoltre Di Stefano è stato probabilmente il primo vero divo del calcio mondiale. Un personaggio affascinante sotto tutti i punti di vista: mentre rivoluzionava la concezione del fútbol in ogni angolo del Mondo, viveva una vita da romanzo, potremmo quasi dire hollywoodiana, che ben si prestava secondo me al taglio con cui avevo intenzione di raccontare la sua storia.
– Nel libro hai tracciato la parabola della Saeta Rubia partendo dagli inizi nelle giovanili del River Plate. Quanto lavoro c’è stato dietro questo libro?
Abbastanza. Volendo fare una stima potremmo dire che, tra la fase di documentazione e la stesura finale, ci è voluto circa un anno e mezzo prima di poterlo stringere tra le mani. Sicuramente la ricerca è stata piuttosto faticosa, anche perché ho cercato di usare quasi esclusivamente fonti locali o di prima mano come la biografia ufficiale scritta dal giornalista spagnolo Enrique Ortego, ma mi sono parecchio divertito nella fase di scrittura e non nego una certa soddisfazione nel vederlo mentre gradualmente prendeva forma.
– Di Stefano pur essendo uno dei più forti giocatori nella storia del calcio non ha mai riscosso particolari attenzioni da parte degli autori italiani. Come mai a tua parere questa clamorosa lacuna?
Ci sono almeno due motivi secondo me. Sicuramente su questo penso abbia influito in primis l’epoca in cui Di Stefano ha dispensato la sua arte. Parliamo degli anni ‘50 e ‘60, quando il calcio aveva un livello di mediaticità neanche paragonabile a quello attuale, ma nemmeno a quello degli anni ‘80 e ‘90, l’epoca a cui la letteratura sportiva ha rivolto maggiormente lo sguardo negli ultimi anni. Poi anche il fatto di non aver mai disputato un Mondiale, nonostante abbia indossato la maglia di tre nazionali diverse (Argentina, Colombia e Spagna), non lo ha di certo aiutato ad avere una narrazione migliore, pur non intaccandone minimamente la legacy calcistica.
– Hai raccontato la vita calcistica e non dell’argentino, con aneddoti curiosi e poco noti come quello relativo al suo rapimento lampo o quello della “scandalosa pubblicità”. C’è qualcosa che hai dovuto tralasciare a malincuore e che magari vuoi raccontarci?
Quelli più belli che ho rintracciato, o conoscevo, ho cercato di inserirli tutti nel libro, perché secondo me gli aneddoti hanno una forza incredibile,: riescono a trascinare il lettore, coinvolgerlo nella storia, aiutandolo a farsi un’idea della dimensione umana prim’ancora che sportiva di un’icona globale come Di Stefano. Gli aneddoti in sostanza mettono a nudo il personaggio, facendo emergere la persona che si nasconde dietro la corazza della celebrità.
– Nell’era di Messi, Ronaldo e Ibrahimovic, uno come Di Stefano avrebbe comunque fatto la differenza?
Non amo fare i paragoni tra epoche differenti, i contesti sono troppo diversi, ma allo stesso tempo penso che se c’è un giocatore del passato che potrebbe trovarsi a suo agio nel calcio attuale è proprio Alfredo di Stefano. Voglio dire: parliamo della Seata Rubia, uno che ha rivoluzionato il gioco proprio per la sua natura da todocampista come dicono nei Paesi ispanofoni. Perché non dovrebbe essere protagonista in un calcio fluido e ipercinetico come quello moderno?
– Ha deciso di far coincidere il ritiro dalla scene calcistiche di Di Stefano con la fine del libro. Come mai questa scelta? Credi che la sua carriera da allenatore e poi da uomo immagine del Real non meritasse qualche riga?
Non ho nulla contro il Di Stefano allenatore, che peraltro ha fatto anche discretamente bene anche se magari i tifosi del River Plate non gli perdoneranno il passaggio sulla panchina del Boca Juniors, ma se prendiamo le due carriere, quella da giocatore e quella da allenatore, e le pesiamo su una bilancia non c’è paragone. Se oggi si parla di Alfredo di Stefano 9 volte su 10 è per quello che ha fatto in campo, non in panchina.
– Nonostante le sue straordinarie doti tecniche Di Stefano ha comunque sempre giocato in club che avevano in squadra altri grandissimi campioni. Che rapporto aveva Alfredo con i suoi compagni, cannibalizzava le attenzioni e il gioco della squadra oppure riusciva ad amalgamarsi bene col gruppo?
Un po’ tutte e due, come tutti i grandi giocatori della storia del calcio. Certo una tendenza ad imporre le sue idee agli altri un po’ ce l’aveva, ma in questo era aiutato dal grande carisma di cui era dotato. A tal proposito c’è un bell’aneddoto che vale la pena di essere ricordato. Appena sbarcato al Real, dopo aver assistito a qualche allenamento in cui la palla volava per aria e non viaggiava aderente al piso (il prato) come gli avevano insegnato al River, Di Stefano non le mandò a dire, spronando con un certo vigore i veterani delle Merengues a ricercare con più insistenza il fútbol de toque.
Grazie per la bella chiacchierata e in bocca al lupo per il tuo futuro.
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