Intervista: C’Era Una Volta L’Est

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Il libro di Roberto Brambilla è indubbiamente uno dei libri più interessanti degli ultimi tempi, per i contenuti relativi ad un universo calcistico affascinante.

Nel farti i complimenti per la competenza e per il lavoro di ricerca ti chiedo come è nata l’idea del libro e cosa ti ha attratto maggiormente del mitico calcio della DDR.

 

L’idea è nata quasi per caso. Nel 2014 avevo scritto una puntata di “Olio di Canfora”, programma sportivo di Radio Popolare in occasione dei 25 anni della Caduta del Muro di Berlino. Qualche collega, ascoltandomi, ha buttato lì l’idea “Perché non ci scrivi qualcosa?”. Ne ho parlato con Lorenzo Longhi, amico e collega e così è nato il progetto. Perché la Germania Est? Mi ha sempre affascinato la sua storia, anche sportiva, io che ho la formazione di un germanista.

Quando si parla di sport con riferimento alla Repubblica Democratica Tedesca non si possono non citare il ruolo della politica e l’ombra del doping: a livello calcistico che rapporto c’è stato con questi temi, soprattutto in relazione al secondo?

 

Per paradosso i casi appurati di doping nella Germania Est del calcio sono stati molto pochi. Poi dalle ricerche degli storici dello sport sono emerse somministrazioni di farmaci, utilizzati per altri scopi rispetto a quelli per cui erano stati brevettati. Di certo manca, rispetto ad altre discipline, la sistematicità delle pratiche dopanti. Per quanto riguarda la politica l’influenza c’era, soprattutto a partire dalla seconda metà degli Anni Settanta. A essere favorite in particolare le formazioni legate agli apparati di sicurezza dello Stato.

Siamo soliti identificare la Germania Est degli anni’70 con la figura di Jürgen Sparwasser, in virtù dello storico gol contro la Germania Ovest nel 1974. Come mai vige questa sottovalutazione di un movimento di grande livello?

 

Era un movimento di buon livello, che è stato sottovalutato perché ha vinto relativamente poco e perché era poco conosciuto all’estero.

Che opinione hai di Jürgen Croy e come lo collochi in un’ipotetica graduatoria con gli altri portieri della sua epoca?

 

Osservando i video (sono troppo giovani per averlo visto dal vivo) Croy è un portiere che sarebbe stato tra i primi dieci della sua epoca. Mobile, sicuro, poco spettacolare, ma anche estremamente affidabile. In più sapeva giocare perfettamente con i piedi, cosa inusuale per molti “numeri uno” dell’epoca.

La triste storia di Lutz Eigendorf sembra quasi tratta da una sceneggiatura di un film: tra le mille ipotesi che idea ti sei fatto della vicenda?

 

Gli atti della STASI sono ancora secretati, ma leggendo le interviste l’idea dell’omicidio è forse la più accreditata. Troppe coincidenze, troppa l’importanza di Eigendorf, troppo evidente la rabbia di Erich Mielke.

Restando nell’ambito delle storie incredibili, ma con un esito positivo, non possiamo non citare la “Leggenda di Leutzsch”: la possiamo chiamare una cocente per l’autorità politica e sportiva della DDR?

 

Fu più che altro un errore di valutazione. In quegli anni le autorità sportive della Germania Est stavano tentando di trovare una formula per costruire un sistema calcistico competitivo. Con “gli scarti di Lipsia” hanno pensato che una rosa di 20 individualità facessero una grande squadra, invece hanno sottovalutato il fatto che il calcio sia uno sport di squadra dove 1+1 non fa sempre due.

Gli ottimi risultati ottenute dalle compagini della Germania Orientale nelle coppe europee (particolarmente in Coppa delle Coppe), sono un’ulteriore conferma del valore di tale movimento calcistico: credi che senza le interferenze politiche tali risultati sarebbero potuti essere maggiori?

 

Credo che le interferenze politiche abbiano reso molto meno regolare il campionato della DDR, ma non abbiano avuto ripercussioni di peso, sul rendimento internazionale dei club della Repubblica Democratica. Anzi. Una squadra della Germania Est che vinceva era per le autorità locali una splendida pubblicità per il Paese e per il suo movimento sportivo.

La recente promozione dell’Union Berlino in Bundesliga ha riacceso in riflettori su questa realtà calcistica e sociale berlinese: come spieghi il grande seguito popolare che i biancorossi hanno avuto nel corso del tempo?

 

Il seguito popolare dell’Union è dovuta alla sua unicità. È un club con un forte radicamento sul territorio e che una storia di ribellione che affascina molti, in più ha il fascino di una società “normale” tra le big della Bundesliga.

La Germania Est è arrivata vicina alla qualificazione alla fase finale del Mondiale del 1990: a riunificazione in essere che senso avrebbe avuto la sua partecipazione? Credi avrebbe alimentato sentimenti nazionalistici teoricamente assopiti?

 

Di sicuro sarebbe stata l’ultima competizione della Nazionale della Germania Est, visto che nel settembre 1990 la DDR si ritirerà dalle qualificazioni europee. Sulle ripercussioni politiche di quella ipotetica qualificazione credo sarebbero state quasi nulle, dato che la maggior parte della popolazione della Repubblica Democratica Tedesca vedeva con favore una riunificazione, tanto che a Italia ’90 non pochi erano gli Ossis a sostenere la Nazionale di Franz Beckenbauer.

Se dovessi indicare il più forte giocatore della storia della DDR chi indicheresti?

 

Domanda difficile. Nella mia personale classifica Croy, Peter Ducke e Matthias Sammer.

 

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