Intervista: Radiogol

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Lo splendido libro di Riccardo Cucchi ci racconta la sua esperienza quale eccelso radiocronista e ci fa apprezzare la figura di un grande amante dello sport. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Nel farle i sinceri complimenti per il libro le chiedo cosa l’ha spinta a trasmettere tutte le emozioni e le esperienze che la sua professione le ha regalato?
La passione. Passione per il calcio, per lo sport, per la radio. Fin da ragazzino la radio è stata la “scatola dei sogni”. Si apriva quando l’accendevo e le voci mi portavano in giro sui campi di calcio. Ho sognato di fare questo mestiere.
Con TV e social imperanti e con le immagini a facile fruizione qual’é oggi il ruolo della radio?
Lo stesso di sempre: aiutarci a creare immagini con la nostra fantasia. Finché avremo voglia di immaginare, la radio sarà fort
Quanto manca ai nostri giorni la professionalità, l’educazione è la cultura di personaggi quali Ciotti e Ameri?
Molto. Educazione e cultura sono due parole chiave. Nel lavoro, nella vita di ciascuno di noi, nella società. Sono stati grandi maestri per me. Con l’esempio prima di tutto. Ho cercato di ” rubare ” da loro. Sono stato fortunato ad averli avuti come maestri.
Io faccio parte della generazione che con la radiolina all’orecchia “vedeva il calcio” alla radio: quelle di oggi si stanno perdendo qualcosa di unico?
Sono molti i giovani che ascoltano la radio. Ma i tempi sono cambiati. Ed è giusto così. L’immagine vince. Mi domando se vinca anche la sostanza.
C’è un evento che avrebbe voluto raccontare o al quale avrebbe voluto assistere?
Lo sbarco sulla luna, alla radio. Fu Ameri a raccontarlo in una straordinaria radiocronaca che merita di essere riascoltata.
Lei ha sempre trasmesso grandi emozioni pur mantenendo i toni bassi e senza sparate roboanti: viste le esagerazioni di oggi come ci è riuscito? 
E una questione di attitudine. Ma anche di scuola. La Rai ci formava all’imparzialità, alla terzietà. Rispettare il microfono è rispettare gli ascoltatori. E le loro passioni. Tutte.
In merito ai tanti scandali che ciclicamente hanno interessato il calcio c’è mai stata una volta nel quale avrebbe voluto mollare la sua professione?
Mai. Ho amato troppo il mio mestiere. Bisogna esserci. E raccontare. Essere testimoni attendibili.
Lei usa i social: cosa ne pensa del degrado culturale morale che da essi tante volte traspare?
Il social è una grande piazza virtuale. E come nelle piazze reali c’è di tutto. Mi concentro sul “buono”‘ . Ce n’è tanto. È bello incontrare persone che senza il social non avresti mai incontrato.

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