Intervista: Poveri Ma Belli-Il Pescara Di Galeone Dalla Polvere Al Sogno

Poveri ma belli

Il bel libro di Lucio Biancatelli ci fa rivivere l’epoca del Pescara di Galeone, una delle realtà più belle tra le fine degli anni’80 e l’inizio degli anni’90. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Cosa ti ha spinto a scrivere nel 2019 minuti in merito ad una talvolta dimenticata realtà calcistica come quella del Pescara di Galeone?

Dopo 2 libri sul tennis degli anni 70 volevo assolutamente misurarmi con una storia di calcio ma sempre ‘vintage’ perché sono un cultore dello sport di quegli anni.

La storia del Pescara di Galeone l’ho sempre avuta nel cuore in virtù delle mie radici abruzzesi. Vivo a Roma ma ho casa, amici e parenti in Abruzzo, a sud di Pescara e ricordo questa “febbre” che contagiava a i miei amici di San Vito. Il personaggio Galeone mi colpì subito per la sua diversità rispetto ad un ambiente, quello del calcio, infarcito di luoghi comuni e poco incline ai cambiamenti. Lui e Liedholm sono i miei miti calcistici.
La figura di Galeone è ovviamente centrale e decisiva nella realtà da te raccontata. Che opinione hai di lui e del suo operato?
La figura di Galeone è sempre al centro della narrazione dei suoi ex giocatori. Posso dire che non c’era quasi mai bisogno di una mia domanda sul mister per avere ricordi e aneddoti sul mister. Galeone non è stato solo un innovatore con la sua zona, con i suoi 4 difensori in linea, con il suo 4-3-3 audace e spregiudicato tutto proteso alle verticalizzazioni in velocità. É molto preparato tatticamente e ricordo di aver sempre apprezzato nelle interviste le sue spiegazioni tattiche. Faceva capire anche ai non addetti qual era stata la chiave della partita. I giocatori apprezzavano la semplicità della sua comunicazione perché sgombrava loro la testa da astruse alchimie tattiche. Ma soprattutto Galeone aveva ed ha una dote innata che non si insegna a Coverciano: il carisma. Quel manipolo di ragazzini lo avrebbe seguito anche se avesse chiesto loro di giocare con il 4-3-4, senza portiere. Del resto lui non ha mai amato quel ruolo. Chissà, magari ha pensato davvero di farne a meno.
Secondo te come mai non hai mai avuto la possibilità di cimentarsi sulla panchina di una grande?
Per me questo resta il grande mistero della carriera di Galeone. In quegli anni la Juventus si fece tentare da Maifredi reduce dai successi bolognesi, l’Inter addirittura da Orrico. Per Galeone ci fu un interessamento del presidente della Roma Viola, i due si parlarono, Galeone si disse anche disponibile ad affiancare inizialmente Liedholm ma alla fine non se ne fece nulla. Forse il suo dire sempre pane al pane non lo aiutò in un mondo così convenzionale e poco propenso alla innovazione come il calcio anni 80. Galeone ancora ricorda una puntata della Domenica sportiva in cui Omar Sivori sosteneva convinto che le squadre che giocavano a zona erano destinate a retrocedere.

Tra la promozione del 1987 e quella del 1992 che differenze ci trovi e quali analogie?

Cominciamo dalle differenze :tante. La prima promozione arrivò totalmente inaspettata, la società era in grandi difficoltà economiche, di mercato non si parlava se non in uscita e lo stesso Galeone fu scelto, per ammissione dello stesso Martinelli, all’epoca vice Presidente, perché “costava meno” di altri.
La seconda promozione la società era più solida e Galeone fu accontentato con alcuni acquisti che poi si rivelarono vincenti. Era comunque, quella del 1991-92, una squadra costruita per essere ambiziosa con il ritorno dei pupilli di Galeone Di Cara e Pagano e la conferma di gente che aveva giocato in Serie A a grandi livelli come Ubaldo Righetti è
Edy Bivi.
Analogie; la predilezione di Galeone per i giovani, con l’arrivo di Allegri e Massara che furono poi protagonisti assoluti pur essendo ancora degli sconosciuti e il gioco arioso è spettacolare di entrambe le squadre, capaci di coinvolgere un’intera regione. Il tutto sempre con una gestione, da parte di Galeone, improntata sulla leggerezza e sul saper vivere la vita.
Che poi è alla base dell’amore che ancora oggi Pescara gli tributa.

Mi hanno molto colpito l’attaccamento alla maglia e il convogliamento che i protagonisti della promozione del 1987 hanno dimostrato. Quanto questo valori hanno contato per l’impresa?

L’attaccamento di quel gruppo è una delle cose che più mi ha intrigato di questa storia. Un po’ perché molti erano ragazzi di Pescara, un po’ per la voglia di rivalsa dei reduci della retrocessione dell’anno precedente, un po’ per l’occasione che si presentava ai giovani di diventare improvvisamente protagonisti dopo un anno o due vissuti ai margini, un po’ per la capacità di Galeone di motivare i suoi calciatori e farli sentire parte del progetto, un po’ per quelle alchimie misteriose che si creano ogni tanto tra le persone, insomma quel gruppo costruito per caso sulle ceneri di un fallimento

sportivo e di un (quasi) fallimento societario seppe cementarsi e dimostrare una voglia e una devozione alla causa che seppe andare anche oltre le loro capacità tecniche, che pure erano ottime per alcuni (Pagano, Berlinghieri) ma ancora inespresse. Resta il mistero Rebonato, quell’anno re incontrastato dei bomber (21 gol senza rigori) ma che poi non riuscirà più a ripetersi a quei livelli.

In tal senso le difficoltà ed i cambi societari sono stato uno stimolo? Ed al tempo stesso il rapporto dirigenza-Galeone ha influito sulle due successive retrocessioni?

Lo sono stati senza dubbio: la frase che mi ha riportato lo stesso Rebonato, che fu detta in ritiro dai giocatori più esperti, e che in sostanza diceva così: “La società c’è fino ad un certo punto, dobbiamo vedercela da noi ” è bellissima perché testimonia di una assunzione di responsabilità da parte dei giocatori, che invece di “disimpegnarsi” da un

progetto così irto di difficoltà e chiedere di essere ceduti si caricarono sulle spalle il ruolo di guida e affrontarono gli ostacoli. Ricordiamo che il Pescara, appena ripescato, affronto’ la prima partita di campionato con una formazione zeppa di ragazzini. Tutti diedero l’anima e ne uscì fuori un pareggio che, a guardarlo oggi, fu il punto decisivo per salire in A, perché il Cesena poi ando’ a giocarsi gli spareggi-promozione con la Cremonese.
I problemi Galeone-dirigenza (dopo la promozione la società era passata a Pietro Scibilia) furono probabilmente decisivi nella prima retrocessione (1988-89), quando la squadra si “snaturò” e divenne più prudente (la società non apprezzava i rovesci come l’8 a 2 di Napoli), cominciando a gestire la sua classifica invece di giocare sempre per vincere come voleva il mister. Nel caso della seconda retrocessione, nel 1993, lì la società fu probabilmente responsabile di una campagna acquisti non all’altezza. Pagano, Gelsi e Camplone presero la via di Perugia ma non furono adeguatamente sostituiti, e gli stranieri (il difensore senegalese Roger Mendy, il danese Sivebaek e il cavallo di ritorno Sliskovic ormai al capolinea della carriera) non potevano condurre quel gruppo alla salvezza, nonostante la presenza di Massimiliano Allegri in regia e del brasiliano Dunga che però arrivò a stagione iniziata e ormai compromessa.

L’atteggiamento offensivo è stato sicuramente il punto di forza della squadra. Viste le scelte successive in panchina (Giampaolo, Rossi,Zeman,Oddo…) credi che si possa parlare di continuità in uso senso?

A Pescara c’è sicuramente un “prima” e “dopo” Galeone. Galeone ha sposato la causa del coraggio e della ricerca della profondità, facendo innamorare i tifosi pescaresi del bel gioco. In questo senso, allenatori venuti dopo di lui con mentalità più “sparagnina” hanno avuto vita breve. Più che Giampaolo, che a Pescara è stato secondo di Galeone ma

mai primo allenatore, metterei Eusebio Di Francesco, che ha riportato in B il Pescara e lo ha poi guidato un anno fra i cadetti, prima di accettare la proposta del Lecce ed essere sostituito da Zeman. Proprio con Zeman il Pescara ritrovò quell’entusiasmo “galeoniano” e quella continuità di cui parli esiste eccome, lega anche Delio Rossi e Massimo Oddo,
autore dell’ultima promozione in A del Pescara. Il pubblico pescarese è ben abituato e non disposto a firmare cambiali in bianco, si sente da Serie A ma vuole arrivarci attraverso il calcio spettacolo, perché ormai è nel suo DNA. Non abbiamo citato il primo a fare la zona a Pescara, Enrico Catuzzi (1984-86): fu fondamentale invece perché il lavoro da lui svolto con i giocatori soprattutto sui meccanismi difensivi della zona se lo ritrovò poi l’anno successivo Galeone. Che diede però a quella zona un timbro più aggressivo e votato alla velocità e alle verticalizzazioni. Resta in parte un mistero la retrocessione di Catuzzi dopo un anno molto buono, la squadra non era certo da C. Dico in parte perché il suo portiere, Maurizio Rossi, fu coinvolto in pieno nel calcio scommesse e condannato a 5 anni di squalifica

Domanda difficile: se Šlišković fosse rimasto anche nella stagione 1988/1989 il Pescara si sarebbe salvato?

Difficile ma non impossibile. Io dico di sì. Resta un grande rimpianto su Sliskovic: se non si fosse infortunato a fine stagione forse sarebbe andato alla Roma o alla Juve, che erano sulle sue tracce. Al Pescara era in prestito e la società difficilmente avrebbe trovato le risorse economiche per acquisire un giocatore di quel livello, un talento che faceva

veramente la differenza. Galeone ama ripetere che arrivò a lui perché seguiva “tutti i giocatori che finivano per “ic”, spiegando così il suo debole per i giocatori slavi, che non a caso venivano chiamati “i brasiliani d’Europa”. Comunque quel Pescara avrebbe potuto salvarsi anche senza Baka, vista anche la buona stagione del brasiliano Tita l’anno successivo (ma non dell’altro brasiliano, il deludente Edmar). Quella retrocessione fu un duro colpo anche per la carriera di Galeone: una seconda salvezza sarebbe stata probabilmente il viatico per una panchina importante.
Secondo te le grandi cose fatte in tempi diversi da Pagano, Di Cara,Rebonato, Allegri, Massara quanto sono dovute alla capacità di Galeone di lavorare con o giovani e inespressi talenti?
Non c’è dubbio che molti dei giocatori da lei citati hanno giovato moltissimo del lavoro fatto con Galeone. O perché il gioco del mister friulano si adattava alle loro caratteristiche, o perché Galeone con i giovani ci sapeva fare, e preferiva di gran lunga lavorare con giovani da “plasmare” piuttosto che giocatori d’esperienza gia’ formati. Del resto veniva da anni fatti al settore giovanile dell’Udinese. Rebonato dopo l’annata con Galeone non si è più ripetuto; Massara idem, Pagano ha dato il meglio con Galeone, sia a Pescara che a Perugia. Di Cara fu lanciato da Galeone a 16 anni. Si dirà’ per
necessita’, ma fino ad un certo punto: sul finire del campionato 86 87 Galeone decide di tenere fuori Ciarlantini, fino ad allora sempre titolare al centro della difesa, e proprio nelle 5 partite finali, decisive per la promozione, quelle più’ cariche di pressioni, butta nella mischia il ragazzino Di Cara. Risultato: il Pescara pareggia ad Arezzo, vince le ultime due partite in casa con Bologna e Parma (senza subire gol) e festeggia la serie A.
Nel calcio di oggi, mediatico e milionario, cosa ci può insegnare la storia dei “poveri ma belli” del Pescara di Galeone?
Il calcio milionario di oggi dovrebbe riflettere su valori che quel calcio esprimeva. Valori umani. L’attaccamento alla maglia, l’identificazione con il gruppo e il saper stare nel gruppo, anteponendo gli interessi della squadra a quelli individuali , sono i cardini dello sport, e sono alla base dei successi del Pescara di Galeone, della Roma di Liedholm, del Verona di Bagnoli e, passando dagli sport di squadra a quelli individuali, ai successi della nostra nazionale di tennis, che vinse la Coppa Davis nel 1976 (unica nella storia del tennis italiano) e raggiunse complessivamente 4 finali in 5 anni. “Noi non facevamo in tempo a fare un gol che c’erano 20 giocatori ad abbracciare il compagno che aveva segnato. Anche quelli che stavano in panchina. Ce ne fosse stato uno che rompeva i coglioni perché non giocava!. Di promozioni ne ho fatte, ma un gruppo così non l’ho mai avuto” (Giovanni Galeone).

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