Per tutti gli amanti del calcio inglese il libro di Giorgio Coluccia è un viaggio vivamente consigliato. Ne abbiamo parlato con l’autore
Come ti è venuta l’idea di un libro “itinerante” sul calcio inglese?
“Il libro nasce dalla mia esperienza lavorativa nel Regno Unito durante le ultime tre stagioni calcistiche, facendo base a Manchester, capitale del calcio per eccellenza. Ogni sabato tutto cominciava da Cheetham Hill con l’attesa per il 135, l’autobus della First che fa la spola tra Bury e Piccadilly, nel cuore della città, a pochi passi dalle tre stazioni cittadine. Da qui, rigorosamente in treno, via verso la città di turno: alla fine è nato questo libro, ho scelto 15 città divise per tematiche nei vari capitoli. Da qui, Binario 15”.
Molto belle sono le testimonianze dirette dei tifosi, dove emergono ataviche rivalità, ma anche tanta fierezza. L’inserimento di tali parti è stata programmata o è venuta spontaneamente in fase di scrittura?
“Di studiato a tavolino non c’è nulla, se qualcosa è finito in quelle pagine è perché mi si è presentato davanti per caso o perché ho scelto di approfondire certi aspetti sul campo. Il libro prende il calcio quasi come pretesto per raccontare tutto ciò che ruota attorno ai canonici 90’, che finiscono per diventare contorno rispetto ai rituali e alle tradizioni di quelle latitudini. Per strada ho incrociato aneddoti e storie da raccontare, come quel tifoso del Leeds abbonato sin da quando esisteva la Scratching Shed e la partita riuscivi a vederla anche dal tetto dell’Old Peacock, il pub di fronte allo stadio”.
Secondo te come mail il viaggio tra gli stadi ed ambienti calcistici anglosassoni sta diventando quasi un must per ogni appassionato?
“Al netto della globalizzazione e di quel football d’altri tempi che qualcuno sta cambiando, il panorama calcistico britannico resta tra i più attraenti. Per la capacità di accogliere il tifoso, di sfamarlo a base di partite avvincenti, giocate a tutta, con fior di campioni e spettacolo. A patto che le tradizioni e il cuore di questa realtà non venga mai snaturato, mantenendo la capacità di estendere il football nel tempo e nei luoghi e non rinchiuderlo tra il fischio d’inizio e il fischio finale”.
Il tuo viaggio è ovviamente molto personale, ma trasmette sensazioni ed emozioni condivisibili da chi si è cimentato in una cosa simile (come il sottoscritto): come hai bilanciato l’anima di appassionato con quella di giornalista?
“La passione è la base di tutto e il fatto che venga tramutata in lavoro è un privilegio impagabile. La sfida principale è stata quella di andare oltre il gioco del calcio, trovare storie e raccontare queste realtà da una prospettiva diversa, che non si reperiscono sul web, ma direttamente dal cuore delle varie località. Per esempio capire il perché nel Regno Unito si giochino più partite in contemporanea, il sabato alle 15, rispetto a tutto il resto del pianeta oppure perché la rivalità tra Liverpool e Manchester United affonda le radici nel passato industriale e solo successivamente sul rettangolo verde.”.
Struggente sportivamente parlando è il capitolo sul Boleyn Ground: situazione come questa non tolgono fascino all’universo del football inglese?
“Un colpo al cuore per tanti, una ‘perdita’ a cui non casualmente ho dedicato il primo capitolo dell’opera. In Premier League ormai è sempre più frequente, per fortuna i palcoscenici meno noti risentono meno di questi saccheggi e la tradizione viene ancora, chissà per quanto, salvaguardata. Espiantare uno stadio dalla sua gente e dal suo quartiere, come fatto per Boleyn Ground, vuol dire strappargli via il cuore perché in fondo il club d’appartenenza finisce sempre per riflettere l’essenza della piazza stessa. È stato un capitolo difficile da scrivere, ma anche da vivere. Centododici anni di storia svaniti nel nulla a colpi di ruspa”.
Secondo te la tragedia di Hillsborough come ha cambiato il modo di andare allo stadio e di vivere la partita?
“Insieme alle altre tragedie è stato un prezzo troppo caro da pagare per arrivare allo stato attuale. Tutto quello che è seguito dopo ha scavato un solco con il passato, nulla è stato più lo stesso. Il capitolo di Sheffield non poteva che cominciare con quella strage, incontrare i familiari e immergersi in quei momenti drammatici è stato toccante, quasi impossibile da mettere per iscritto. Sembra tutto un’inezia rispetto a certe storie”.
Calcio inglese fa ormai anche rima con soldi ed interessi economici: la situazione del Manchester United, dove una parte di tifosi ha fondato lo United of Manchester, è la prova che certi valori non moriranno mai?
“Ho vissuto Manchester in tutte le sue sfaccettature, sono affezionato a quel capitolo ed è stato divertente fare un parallelismo tra la capitale della rivoluzione industriale che fu e l’epicentro calcistico passato attraverso stelle e miliardi nelle ultime stagioni. La battuta di Mark Twain, l’infuocato saggio di Engels, ma anche l’avvento del guru Guardiola o il lasciato di un santone come Ferguson. Il fischio d’inizio nel giorno della partita comincia ovunque con il viaggio, ma a Manchester il fischio finale non c’è mai stato e respiri football ovunque anche perché di alternativo non hai poi così tanto…”.
Qual è l’obiettivo di “Binario 15”?
“Catapultare il lettore dalle pagine del libro ai luoghi visitati, ai personaggi incontrati, agli aneddoti non solo calcistici. Per farlo immedesimare nel viaggio a bordo di un treno, con una destinazione precisa perché ogni viaggio è un binario diverso, la prossima fermata è sempre quella da scoprire. In cui il tifoso ha qualcosa da farti notare, ognuno ha il proprio luogo di culto, ogni quartiere non sarebbe più lo stesso senza quel boato che lo scuote tutti i weekend. Buona lettura!”.
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