Gianluigi Menegot ci guida in magnifico viaggio negli anni’80, tra calcio, musica, politica, costume e tanto calcio. Ne abbiamo parlato con l’autore.
Per chi li ha vissuto in età cosciente gli anni’80 sono ancora oggi indimenticabili: è da questo presupposto che nasce l’idea del libro?
Il libro nasce dalla volontà di condividere un periodo unico con chi lo ha vissuto, ma anche di far scoprire personaggi ed eventi di quegli anni a chi ne ha solo sentito parlare. Ottant’allora non vuole essere una ricostruzione cronologica, né una selezione degli avvenimenti più importanti del decennio. Più semplicemente si propone come una galleria di ricordi attinti dalla memoria del cuore.
Ad un Millenial che dovesse chiederti com’era il calcio del periodo come risponderesti?
Era un calcio giocato, più che raccontato, la partita della domenica pomeriggio rappresentava l’evento della settimana, soprattutto per chi, come me, non aveva la possibilità di vedere la sua squadra nelle coppe europee del mercoledì. Era un calcio senza tatticismi esasperati, la formazione si recitava a memoria come una filastrocca, i moduli non sapevamo quasi cosa fossero, la radio, e solo lei, ci raccontava le partite. Certo, a livello tecnico non era sempre eccelso, ma la semplicità e la genuinità dei suoi interpreti – calciatori, allenatori, presidenti, giornalisti – ripagava in termini di affetto ed interesse.
Il connubio calcio-musica rende davvero piacevolissima la lettura, aumentando la nostalgia per quel magico periodo: cosa ti ha spinto a collegare le tue due grandi passioni?
Calcio e musica mi hanno accompagnato per tutta l’infanzia e, in particolare, negli anni dell’adolescenza, quando le passioni sono elevate alla massima potenza. Una canzone poteva sublimare una “cotta”, poteva far compagnia nelle vigilie di partite importanti, poteva ricordare un momento piacevole o di nostalgia. E visto che i miei momenti importanti erano soprattutto legati al calcio, ecco che il connubio mi è parso naturale.
Il Mundial del 1982 è per te l’apice calcistico degli anni’80?
E’ il ricordo calcistico che tuttora serbo nel cuore con maggior intensità. I protagonisti di quella Nazionale, da Bearzot a Dino Zoff, da Rossi a Scirea, a Tardelli li porto nel cuore come compagni di viaggio in un periodo di grandi cambiamenti sociali e personali. Mi piace ricordare quell’ Italia come la squadra di tutti, senza divisioni di tifo o di simpatia: lo spirito dei ragazzi dell’82 era una rivincita per tutta la Nazione, con il presidente Pertini primo tifoso a rappresentare unità di intenti e voglia di riscatto.
Come valuti la grande fruibilità di informazioni sul calcio dall’ottica di chi basava il suo sapere calcistico “solo” sulle mitiche figurine?
Noi ragazzi cresciuti con gli album Panini potevamo immaginare, sognare, immedesimarci. Le figurine avevano la stessa importanza, trovare Rivera o Doldi, per dire, era ugualmente importante nell’economia della raccolta. Le carriere dei giocatori le imparavamo meglio di una poesia a scuola e a volte ci si divertiva a ritagliare le maglie e attaccarle su un’altra figurina, in una sorta di trasferimento immaginario o auspicato. Ecco, ora è tutto più immediato, il Rivera di adesso sarebbe protagonista di trasmissioni televisive, giornali, siti internet e il Doldi attuale scomparirebbe nell’anonimato, il calciomercato è aperto praticamente sempre e ben poco è lasciato all’immaginazione. Il calcio di adesso mi sembra un pacco luccicante e attraente, ma preconfezionato e scontato. Diciamo, tra il serio e il faceto, che le figurine rappresentavano una sorta di democrazia dell’informazione.
A tal proposito come valuti il giornalismo odierno rispetto alle grandi firme del periodo ma anche rispetto ai personaggi caratteristici dello stesso?
Chi come me ha vissuto i personaggi di 90° minuto, le interviste di Beppe Viola, gli editoriali di Gianni Brera, le radiocronache di Enrico Ameri e Sandro Ciotti, non può non provare nostalgia per quelli che erano giganti del giornalismo o semplici artigiani del microfono, accumunati però da una coinvolgente umanità che li faceva sembrare amici di famiglia. Ora il calcio si deve innanzitutto vendere e quindi ognuno enfatizza anche le banalità pur di sovrastare l’altro. E’ la legge del mercato, se la tv ha portato soldi e visibilità, probabilmente ha tolto un po’ di obiettività e senso della misura.
Provi nostalgia degli anni’80 e cosa ti manca maggiormente della società e del calcio di allora?
Sì, provo una serena nostalgia. Serena in quanto mi rendo conto che il ricordo solitamente cambia in meglio le situazioni soprattutto se riguardano la propria giovinezza e sono consapevole che nel calcio e nella società di quegli anni non tutto era roseo e positivo. La nostalgia riguarda i valori di semplicità e umanità che si sono persi nei rapporti personali, la capacità di stupirsi ed entusiasmarsi aspettando una nuova puntata di Indietro tutta o un nuovo disco di Dalla; o seguire con trepidazione dalla voce di Luzzi o Foglianese le vicende del campionato di serie B del quale, ahimè, ero spesso seguace causa le disavventure della squadra del cuore.
Almeno a livello dilettantistico certi valori calcistici sono ancora presenti nella nostra cultura?
Seguendo mio figlio Luca che gioca in un campionato regionale riscontro, in effetti, alcuni tratti che mi fanno ricordare il calcio genuino di allora. Credo che anche nei settori giovanili si sia perso un po’ dello spirito autentico della sfida e del rispetto ma che in fondo si possa ancora educare alla lealtà e alla sportività come valore trasversale, non solo in ambito calcistico ma in tutti gli aspetti della vita.
Partendo dalla canzone di Raf ti chiedo cosa è rimasto degli anni’80?
“Anni allegri e depressi di follia e lucidità“, canta Raf. Credo sia rimasta la voglia di essere protagonisti e di divertirsi, dopo gli “anni di piombo” che avevano impaurito e inaridito la vita sociale, innestando però quel meccanismo di continua ricerca di qualcosa di nuovo e facile da raggiungere che alla fine non ci basta mai. Rimane un immenso patrimonio di ricordi, di cambiamenti epocali ma anche di storie personali che ognuno di noi serba nel cuore e nella memoria. Magari leggendo le pagine di Ottant’allora, qualche ricordo può venire alla mente, riportando indietro nel tempo quando “le partite erano tutte la domenica pomeriggio, le canzoni si ascoltavano col walk-man e noi adolescenti si parlava come i personaggi del Drive in…”
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