Intervista: Garincia

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Jvan Sica ci regala un ritratto del grande Garincia partendo dalla sua esperienza romana, descrivendone con stile e trasporto le luci e le ombre di una vita e carriera tormentate. Ne abbiamo parlato direttamente con l’autore.

L’idea di raccontare Garrincha partendo dalla sua esperienza in Italia come ti è venuta?

L’idea di Garincia mi è venuta leggendo della sua parentesi italiana con la compagna di allora, Elza Soares e quando ho saputo che per guadagnare qualcosa ha giocato anche partite improbabili. Allora ho pensato subito a questo campione immenso, che sei anni prima aveva dominato ai Mondiali di Cile e poco tempo dopo giocava partite fra scapoli e ammogliati. E da lì ho iniziato a cercare informazioni e a strutturare la trama del libro.

Pur essendo in una fase triste della sua carriera il libro alleggerisce il contesto con dialoghi molto divertenti: era questo l’intento?

Sì, Mané Garrincha, per quello che ho capito parlando con chi lo ha conosciuto e leggendo su di lui, era un uomo molto allegro, sereno, forse fin troppo “sciallo”. Ho cercato di far emergere questa sua parte della personalità.

Calcio ed alcol sembrano essere le uniche due vie per sfuggire ai propri fantasmi, seppur con conseguenza non solo fisiche diverse: sei d’accordo?

Esatto, il Garrincha finale aveva due vie di fuga da una realtà che non gli piaceva, la palla e la bottiglia. Purtroppo Mané era debilitato fisicamente, per cui dopo la parte iniziale folgorante della sua carriera da calciatore i problemi e i dolori erano troppo duri da superare. Anche per questo motivo, mentre la palla si allontanava dalla sua vita, iniziò ad attaccarsi sempre di più alla bottiglia.

Dal libro si intuisce una tua grande passione per il grande Manè: come nasce questo interesse e che importanza gli attribuisci nella storica del calcio?

Mi piacciono i calciatori che vanno oltre il loro tempo. Mané Garrincha era uno di questi perché non rispettava le regole calcistiche del momento per fare quello che istinto, talento e genio gli suggerivano. Ho visto tutto quello che potevo sui Mondiali di Cile ’62 e ti dico che l’importanza di Mané in quella vittoria è simile a quella di Maradona per la vittoria argentina di Mexico ’86.

Secondo te come mai la sua figura ha storicamente interessato ed ispirato anche scrittori lontani dal contesto calcistico: cos’ha di particolare secondo te?

La cosa che a me più ha interessato è la sua animalità, potrei trovare un altro termine ma non mi viene. Il fatto che tutto quello che ha fatto nella vita, compreso giocare a calcio, è stato una sorta di pendio naturale su cui si è lasciato semplicemente scivolare. Di questa cosa in particolare volevo capire di più, cercando di immaginarmi soprattutto la sua fase educativa, che credo abbia influito molto.

Ci sono alcuni passaggi del libro che evidenziano una profondità di pensiero ben lontani dal suo normale candore: era in effetti un uomo più complesso di quello che si pensa genericamente?

Tutti i semplici sono capaci di profondità improvvise e spesso incomprensibili al primo sguardo o al primo pensiero dagli altri. Varie persone mi hanno detto che salutava i cani per strada. All’inizio ti viene da sorridere se pensi ad una cosa del genere, poi, se ti fermi a pensare, capisci che valore dava alla vita di ogni essere vivente. Solo una persona che viene da un’altra cultura può farti capire una cosa del genere.

Di tutte le vicende o leggende legata al suo nome ce n’è una al quale sei più legato e che possa riassumere al meglio la sua personalità?

Mi piace tanto quella per cui è stato il primo a tirare la palla fuori vendendo un avversario a terra. Per come viene utilizzato adesso questo gesto spontaneo e assolutamente fuori norma nel calcio degli anni ’60, mi viene da ridere e anche un po’ di malinconia. Tutto era nato da un cuore leggero, ora lo fanno per evitare il contropiede. Un brutta fine, non credi?

Il rapporto con Elza Soares lo ha più aiutato o lo ha spinto sempre più verso il baratro?

I rapporti con le donne ti cambiano, ti arricchiscono, ti tolgono, ti segnano per sempre. Io credo che erano molto simili per avere influenze negative uno per l’altro. Erano già Mané ed Elza quando si sono messi insieme.

Garrincha è il nome di un uccellino in Brasile, simbolo di libertà: Manè nella sua vita ha conosciuto tale libertà?

Con la palla fra i piedi era libero, lui si sentiva libero anche con la bottiglia, ma succede a tutti quelli che hanno una dipendenza. Alla fine la libertà è una sensazione, ognuno la percepisce come vuole. Secondo me Garrincha ha vissuto libero in un mondo che voleva inquadrarlo di più, per cui è riuscito anche ad essere felice.

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