Il grande Bruno Nicolè raccontato dal figlio in un libro che ci permette di riscoprire la speciale figura di un eccelso protagonista del calcio italiano, uscito per scelta dalle cronache più recenti. Ne abbiamo parlato con l’autore
Bruno Nicolè è una sorta di mosca bianca nell’universo calcistico italiano, per valori e scelte di vita: sono questi aspetti che ti hanno spinto a raccontare la vita di tuo padre?
La scelta di scrivere un libro sul papà è stata dettata soprattutto dalla mia volontà di volere regalargli un qualcosa che potesse far piacere a lui e che riuscisse a fermare nel tempo quelle che ho ritenuto, da figlio, le sue gesta sportive. I valori, che mi ha trasmesso, quasi esigevano questo mio percorso a ritroso nel tempo, che mi ha aiutato anche a comprendere me stesso e da dove provenivo.
Si è molto discusso durante la sua carriera se fosse più un’ala oppure un attaccante: riesci a dirimere questa diatriba tattica?
Per dirimere questa diatriba cerco di dare una spiegazione prettamente tecnica.Papà nasce centravanti nel Padova grazie a Tansini e Nereo Rocco, viene valutato come il miglior giovane centravanti di prospettiva. Lo acquista il club più titolato e più amato in Italia, la Juventus, che a mio modo di vedere commette un piccolo, se così si può definire, errore: acquista insieme a lui uno dei centravanti più forti d’Europa, il grandissimo John Charles.E questo come spesso accade costringe il papà a girovagare negli altri ruoli d’attacco: mezz’ala e ala destra in primis . Vedendolo giocare dalle immagini dell’epoca mi dà la sensazione che potesse giocare ovunque e paragonando al calcio attuale poteva essere un “9” oppure un “falso nueve” vista la sua naturale predisposizione a muoversi su tutto il fronte d’attacco e la sua poderosa progressione. Insomma, sull’ala sì ma solo per esigenze.
I famosi 70 milioni spesi dalla Juve per acquistarlo dal Padova quanto hanno pesato a livello mentale e quanto hanno influito sulle sue scelte future?
Non credo che abbiano pesato tanto i 70 milioni, quanto il fatto che comunque fin da allora mio papà è stato un calciatore fin troppo “pensante”.Credo si sia goduto poco la sua fama e le sue qualità: fin dai vent’anni cominciava a porsi domande sull’effimera carriera del calciatore e sul suo eventuale post… a vent’anni…. Esagerato… E questa concezione dello sport me l’ha trasferita in pieno allontanandomi da quelle false illusioni che esistono nei giovani calciatori di oggi
Quanto è stato importante la figura di Nereo Rocco per la sua crescita calcistica e umana?
E’ stata una persona protettiva, gli ha regalato tanti bellissimi momenti e pillole di infinita saggezza, ha formato il suo carattere e lo ha spinto verso un’avventura che si sarebbe poi rivelata straordinaria. Gli ha sempre riservato, nei suoi ricordi, infinita gratitudine e grandissimo affetto
Quanto invece ha influito negativamente il tormentato rapporto con l’allenatore brasiliano Amaral ai tempi della Juventus?
Non credo, per Amaral ha sempre avuto parole delicate, lo ha sempre definito un Signore, che si è comportato correttamente con lui, non negandogli il suo disagio quando doveva escluderlo dalla squadra. Papà, in quell’annata 1962/63, aveva già cominciato il suo periodo di calo, il suo rendimento obbiettivamente non era più lo stesso e c’erano altri giocatori che meritavano il posto in squadra. Di fronte all’onestà delle parole del Sig. Amaral non poteva che “obbedire” senza polemiche.
In molti associano il nome di Bruno Nicolè principalmente a Padova e Juventus dimenticandosi come un suo gol abbia regalato un Coppa Italia alla Roma: cosa ci puoi dire della sua esperienza nella capitale?
Dai racconti che mi faceva fin da piccolo, ricordava più le conoscenze di condominio, Bobby solo ad esempio, oppure le difficoltà economiche della società, che non quell’epica vittoria a Torino, nel SUO vecchio Comunale. Eppure sto scoprendo man mano tantissimi tifosi, non solo della Capitale, che ricordano quel gol che regalò uno dei pochi trofei vinti dalla società giallorossa.
Esordio con la nazionale con doppietta a 18 anni a fascia di capitano della stessa a 21: può essere che la nomea di giovane fenomeno abbia in parte tolto motivazioni nel proseguimento della carriera?
Sinceramente non credo, lui per la Maglia Azzurra avrebbe donato anni di carriera e forse anche di vita, era un orgoglio per lui rappresentare l’Italia ed i mille sforzi quotidiani che faceva con mia mamma al suo fianco per rimanere in un peso accettabile lo dimostrano.Poi piano piano vedendo che non riusciva più ad essere il calciatore che avrebbe voluto essere e che era stato, la fiammella della Passione si spense, per mai più riaccendersi.
Nel libro sono magnificamente descritte le epoche nel quale la carriera si è sviluppato, con particolare rilievo del contesto sociale: era davvero un’epoca unica e, sotto tanti aspetti, migliore per un giovane calciatore?
Era un fulgido dopoguerra, l’Italia si stava risollevando dalla crisi e dalla povertà che l’aveva colpita: il calcio stava aiutando in questo, gli stadi erano pieni, la televisione cominciava ad entrare nelle case degli italiani. C’era un’educazione di fondo che aiutava tutti a vivere più serenamente, a rispettare il prossimo e a vivere le proprie esperienze di vita con equilibrio maggiore.E nello sport, tutto ciò è fondamentale
C’è spazio nella vita di Bruno Nicolè per qualche rimpianto?
No, mai avuto la percezione di un solo rimpianto da parte del papà, ha fatto le sue scelte, senza particolari costrizioni e con l’orgoglio di poter rivendicare una libertà di azione che gli ha permesso di andare sempre in giro a testa alta.Ha potuto trasferire la sua passione per il calcio e per lo sport in generale al figlio e ai suoi allievi di quasi quarant’anni nella scuola: questa è stata la sua vera Felicità!
Rispondi