Intervista: La Partita Perfetta

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Applicare il metodo filosofico al calcio attraverso il concetto della “partita perfetta”, possibile? Secondo gli autori di questo interessantissimo libro sì e proprio con loro ne abbiamo approfondito contenuti e concetti in una doppia intervista.

Come nasce l’idea di coniugare in un libro calcio e filosofia, ad un occhio poco competente argomenti molto distanti?

CDB: La storia di questo libro risale a una serie di chiacchierate che con Filippo abbiamo fatto a margine di convegni di filosofia nei quali è capitato di incontrarci. Si finiva spesso per parlare di calcio, e per noi parlare di calcio ha significato da subito dibattere anche di una serie di questioni filosofiche interne al gioco del calcio. Pensi alla distinzione tra vincere meritava di vincere, che è oggetto di continue e infinite discussioni al termine delle partite: in che cosa consiste il merito calcistico? Perché vi facciamo spesso ricorso? Il numero di gol realizzati non riflette semplicemente e banalmente il merito ottenuto? Ecco, il libro è stata la naturale conseguenza di tutto questo.

FS: E poi… vuoi mettere avere la scusa di parlare di calcio facendo finta di lavorare…?!?

La vostra “riflessione teorica sul calcio” analizza il calcio da un punto di vista inconsueto: come il tifoso medio, talvolta becero, può concretamente riflettere sui quesiti sui quale vi interrogate?

CDB: Noi abbiamo un’ambizione con questo libro: che le persone che normalmente si accostano al calcio e lo guardano esclusivamente con l’occhio del tifoso, leggendo il nostro libro sappiano porsi a un livello di astrazione più alto: non per rinunciare a essere tifosi, ma per aspirare a essere un tifoso più consapevole, più imparziale nel giudicare gli eventi del gioco, più interessato a innalzare il livello della discussione calcistica.

FS: In realtà i tifosi sanno essere meno beceri di quel che sembra, e molte delle discussioni da bar contengono già in nuce temi filosofici; quante volte si parla di giustizia del risultato, di ruolo di fortuna e bravura nel gioco, dei giusti criteri per stabilire la volontarieta’ di un tocco di mano…? Sono tutte questioni filosofiche, e la passione calcistica a volte spinge spesso i tifosi a parlarne con criterio.

In che modo social network ed il bombardamento mediatico sul calcio hanno cambiato in peggio il nostro modo di approcciarsi al calcio?

CDB: Su questa domanda noi possiamo solo abbozzare delle ipotesi di spiegazione: servirebbe per rispondere compiutamente qualcuno che indagini meglio di quanto non si possa fare noi certe dinamiche sociali. La nostra impressione è però che il calcio sia diventato uno sport sempre più visto in televisione e sempre meno visto dal vivo, con quello che tutto questo comporta in termini di percezione del gioco. Per dirla in uno slogan: il calcio è diventato bidimensionale. Consideriamo una recente innovazione, il VAR, di cui parliamo ampiamente nel capitolo “Rigore è quando arbitro fischia”: vorremmo che le azioni fossero giudicate esclusivamente col VAR e non prevalentemente da un arbitro in mezzo al gioco? Mutatis mutandis, questo è ciò che osserviamo essere avvenuto nel calcio degli ultimi venti anni, la perdita della tridimensionalità.

FS: Questo vale per il calcio professionistico, ma resta comunque il fatto che per molti il calcio resta comunque anche quello giocato sui campi di provincia o addirittura con gli amici e li le cose sono probabilmente cambiate molto meno, la passione e il divertimento restano gli stessi.

La filosofia può davvero essere utile per consolare un tifoso per un sconfitta o per accettare un qualsiasi episodio avvenuto sul terreno di gioco?

CDB: La filosofia, In quanto interessata anche a dare risposte di senso, ha svolto nella sua storia anche una funzione consolatoria, e anche noi nel libro le attribuiamo questo compito in relazione all’esclusione dell’Italia ai mondiali nel 2018. Tuttavia, che la filosofia possa svolgere questa funzione in relazione a una singola partita o addirittura a un singolo episodio (un palo clamoroso, un rigore non dato) dipende anche dallo sforzo individuale; in ultima analisi, però, non è uno sforzo diverso da quelli che ciascuno di noi compie di fronte alle avversità della vita.

FS: In generale, imparare a metter le cose su uno sfondo più ampio può aiutare a capire meglio perche’ ci si arrabbia e si soffre, ma questo non vuol dire necessariamente smettere di arrabbiarsi o soffrire…

Ho molto apprezzato l’ironia che traspare nell’analisi e qualche velato sfottò che vi scambiate in quanto tifosi di squadre diverse: credete che la capacità di sdrammatizzare sia fondamentale in ogni tipo di analisi?

CDB: Certamente. Questo probabilmente ha a che fare con il lavoro che facciamo entrambi, di filosofi accademici, abituati a dialogare e a scambiarsi ragioni a sostegno delle proprie posizioni. Ciò implica la capacità di confronto, di ascolto dell’altro, di disponibilità cambiare idea se ci vengono offerte delle buone ragioni per farlo, e il tutto con l’unico scopo condiviso di arrivare a una ricostruzione affidabilmente veritiera di ciò che analizziamo. Ma questo funziona se riusciamo a non prenderci troppo sul serio e se sappiamo essere ironici rispetto a noi stessi e al mondo. La capacità di sdrammatizzare crediamo sia legata a tutto questo.

FS: In realtà, occuparsi di cose pratiche e anche apparentemente frivole è un buon esercizio per filosofi e accademici in generale; per non dimenticarsi, secondo una citazione di Shakespeare presente anche nel libro, che “ci sono piu’ cose tra la terra e il cielo ecc.”

Rendere accessibile la filosofia anche ai neofiti non è stato sicuramente facile, limitando inoltre citazioni o mastodontiche elucubrazioni: prevedi ci possano essere seguiti da questo punto di vista?

CDB: Ci siamo resi conto, nel tempo di scrittura del libro ma anche nelle discussioni che abbiamo fatto successivamente alla pubblicazione del libro, che le questioni filosofiche che il calcio solleva non sono soltanto quelle che abbiamo affrontato noi nel nostro lavoro. Allo stesso modo le medesime questioni che abbiamo affrontato possono essere arricchite da considerazioni ulteriori e le nostre argomentazioni, come tutte le argomentazioni filosofiche, possono anche essere oggetto di obiezione. Non ci dispiacerebbe in verità trovare qualcuno che provi a contestare, per esempio, la nostra idea che la virtù che la fortuna nel gioco del calcio sia residuale sul terreno di gioco e che ciò che spesso chiamiamo fortuna (o sfortuna) è in realtà un esercizio di capacità (o incapacità) calcistica.

FS: Questo è il bello della filosofia… e del calcio: più discuti, più trovi persone appassionate e competenti che ti propongono nuove prospettive, esempi, argomenti per continuare la riflessione

Una domanda al Corrado e al Filippo tifosi: qual è per te la partita perfetta?

CDB e FS: La nostra tesi contrasta con la nota tesi di Gianni Brera che la partita perfetta finisce 0-0. In sintesi, secondo noi, la tesi di Brera conduce a esiti controintuitivi perché da un lato finisce per dover accettare che anche una partita di pura melina sia una partita perfetta, dall’altro perché ritiene implicitamente che ogni gol derivi da un errore dell’altra squadra. A nostro giudizio, invece, il calcio ruota attorno all’obiettivo di segnare e gli errori possono essere conseguenza di giocate rischiose, eseguite appunto con lo scopo di segnare. E che dire poi dei colpi di genio, quelli che inventano il gol senza colpa per i difensori? Nella tesi di Brera non avrebbero posto. Con ciò non escludiamo che la partita perfetta possa finire 0-0, ma non è una condizione necessaria di perfezione. Ed è per questo che il nostro esempio di partita perfetta è la semifinale dei mondiali del 2006 Italia Germania 2-0: una partita ben giocata da entrambe le squadre, con occasioni da rete da entrambe le parti, frutto di azioni manovrate, con grandi parate dei portieri, e con un risultato in bilico fin quasi alla fine, fino cioè al tiro a giro di Grosso chi ha sparigliato le carte. Come italiani abbiamo goduto, ma ci teniamo a precisare che, se anche risultato fosse stato a noi avverso e il gol all’ultimo minuto fosse finito del sacco di Buffon, quella partita non sarebbe stata meno perfetta.

 

 

 

 

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