“Un’imponente operazione di polizia che però, con il passare delle ore, assume sempre più i contorni di un vero e proprio abuso perpetrato nei confronti di decine e decine di cittadini italiani, privati, di fatto, della propria libertà senza alcun motivo apparente. A cinque anni di distanza da quel triste episodio, questo libro, grazie ad un importante e accurato lavoro di ricerca giornalistica e alle testimonianze, alcune di queste inedite, di chi ha vissuto in prima persona quanto accaduto, prova a ricostruire l’intera storia, relativa a quell’arresto di massa in terra polacca, e ad interrogarsi sugli eventuali motivi che hanno indotto le autorità locali ad agire in quel modo.”
Qual è stato il motivo che ti ha spinto a racchiudere in un libro questa vicenda?
Sono stato spinto, principalmente, dalla volontà di non far cadere nel dimenticatoio una storia come questa. Alla luce, soprattutto, dell’atteggiamento dei media e delle istituzioni in quella determinata occasione. L’intento di questo libro, infatti, è proprio quello di evidenziare questo tipo di comportamento di fronte ad un vero e proprio abuso perpetrato nei confronti di oltre 170 cittadini italiani, cinque anni fa. Analizzando, nel contempo, il contesto storico, sociale, politico e culturale, durante il quale sono avvenuti tali arresti. Sono sempre stato convinto, infatti, che per valutare al meglio certe vicende controverse, sia necessario anche contestualizzarle. Ponendo in evidenza, ad esempio, la particolare attenzione riservata alle tifoserie della Lazio e del Legia da parte delle istituzioni sportive internazionali. O le feroci polemiche nelle quali la polizia polacca è stata coinvolta dopo la manifestazione nazionale dell’11 novembre, pochi giorni prima della trasferta dei laziali a Varsavia. Solo in questo modo i lettori potranno avere un’opinione ancora più obiettiva in merito a questa storia.
2) Sugli organi di stampa nazionale, però, lo spazio dedicato a quanto accaduto fu davvero molto. Quei giorni vennero addirittura definiti di “ordinaria follia”. Mentre i quotidiani nostrani, inoltre, riportarono che, secondo le forze dell’ordine polacche, i tifosi della Lazio avevano violato il codice penale della Polonia e si erano resi protagonisti di un lancio di oggetti contro una camionetta della polizia. Oltre al ritrovamento di coltelli e addirittura di un’ascia. Ma cosa è successo in realtà quella sera?
Bella domanda. Ti rispondo innanzitutto dicendo che è verissimo che gli organi di stampa nazionali diedero ampio risalto ai fatti di Varsavia. Ma è pur vero che inizialmente venne dato spazio al solito binomio ultras=teppista, giustificando, di fatto, gli arresti dei tifosi laziali in Polonia, dando per scontato e assodato, senza per altro aver verificato la veridicità delle informazioni che provenivano da Varsavia, che quest’ultimi si fossero davvero resi protagonisti di atti di vandalismo o cose del genere. Solo dopo le prime testimonianze, che iniziarono a filtrare a seguito dei primi rilasci o dei primi ritorni in Italia, molte testate cambiano in corsa il loro atteggiamento. Che cosa è successo quella sera? Mi sento di affermare, che non è successo certamente nulla che potesse giustificare l’arresto di oltre 170 persone. Visto e considerato, tra l’altro, che il reato imputato alla stragrande maggioranza dei fermati è stato quello di “radunata sediziosa”. Un concetto, questo, che ho avuto anche la possibilità di approfondire, all’interno del mio libro, grazie all’intervista effettuata all’avvocato Lorenzo Contucci.
Il presunto ritrovamento degli oggetti contundenti, invece, si dovrebbe riferire ai 17 arresti della sera prima, durante la quale sarebbe avvenuto una sorta di scontro tra alcuni hooligan del Legia e alcuni ultras della Lazio nei pressi di un albergo di Varsavia. E tali oggetti sarebbero stati ritrovati, secondo l’informativa della polizia locale, durante una perquisizione avvenuta subito dopo questo episodio, a seguito del quale, guarda caso, vengono arrestati solo i tifosi italiani. Senza contare che la versione riportata da chi era presente in quella determinata situazione, e che ho avuto modo di raccontare anche all’interno del libro, è ben diversa da ciò che è stato pubblicato dai giornali nostrani.
Per quanto riguarda, infine, le informazioni diramate dalla polizia, ti dico solo che il giorno successivo all’arresto, le forze dell’ordine polacche hanno reso pubblico solo un video dove viene mostrato il presunto assalto dei tifosi laziali. Nelle immagini, riprese dall’alto e da distanza comunque considerevole, senza alcun riferimento chiaro che possa dimostrare che quel filmato si riferisca effettivamente a quel determinato giorno, si vede soltanto un manipolo di persone, cinque o sei, non di più, che, presumibilmente, prenderebbero di mira un blindato. Tutto qui. Non c’è altro.
3) In tutti i casi quella sera vennero effettuati gli arresti, che poi, per l’appunto, sono risultati dei fermi preventivi per evitare disordini. Questo atteggiamento da parte delle forze dell’ordine polacche ha leso i diritti fondamentali e di libertà dei cittadini italiani?
Non sono io ad affermarlo, ma sono le stesse testimonianze di chi ha vissuto quella determinata esperienza a confermarlo, soprattutto quando tutte le persone coinvolte riferiscono la medesima versione dei fatti. A Varsavia, in quei giorni, è avvenuta, per dirla con le parole dello stesso avvocato Contucci, “una compressione delle libertà individuali. Una sorta di intervento pre-preventivo”. Che non può essere accettato in alcun modo da qualsiasi paese civile che si rispetti.
4) Sembrerebbe che siano stati adottati due pesi e due misure tra gli arrestati italiani: alcuni se la sono cavata con una semplice sanzione pecuniaria, mentre altri hanno passato guai certamente peggiori. Quanto c’è di vero in questo? E, a distanza di alcuni anni, come si è conclusa questa vicenda?
E’ certamente vero, ma bisogna anche ricordare che, viste le numerose persone coinvolte, i giudici polacchi chiamati ad esprimersi sono stati diversi, ed ognuno ha preso la sua decisione in maniera del tutto autonoma. Inoltre, non tutti i ragazzi si sono comportati allo stesso modo e, di conseguenza, alcune situazioni sono state trattate in maniera sostanzialmente diversa rispetto alle altre. Senza dimenticare che molti dei fermati riferiscono di essere stati costretti a firmare dei fogli, in lingua polacca, dove veniva riportata una sorta di ammissione di colpevolezza. E quando ammetti di essere colpevole di un reato, l’iter processuale è certamente differente rispetto a chi continua, giustamente, a professare la propria innocenza.
Come si è conclusa questa vicenda? Molti dei ragazzi hanno dovuto sborsare fior di quattrini per pagare le cauzioni stabilite dai tribunali polacchi. Altri ancora hanno scontato delle settimane, se non addirittura dei mesi, all’interno del carcere di Varsavia. C’è stato addirittura chi ha trascorso il proprio compleanno e le festività natalizie, dietro le sbarre. È stata una vicenda assurda, per certi versi paradossale, che la maggior parte dei ragazzi coinvolti ha comunque affrontato a testa alta. Ma è un episodio che in un paese che si definisce, civile, non potrebbe e non dovrebbe mai avvenire. Senza contare che, a mio modesto parere, uno Stato degno di chiamarsi tale non avrebbe mai dovuto permettere, passivamente, che oltre 170 cittadini italiani venissero trattati in quel modo in un paese straniero.
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