Intervista- Donne, Vodka e Gulag: La Vita Spezzata Di Eduard Streltsov, Il Campione

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Grazie al libro di Maroc Iaria si è avuto la possibilità di conoscere ed approfondire le incredibili vicende della vita di Eduard Streltsov. Ne abbiamo parlato con l’autore.

Come nasce il tuo interesse per Eduard Streltsov, personaggio poco conosciuto in Italia?

Non avevo mai sentito prima della visione di un documentario della Bbc sul rapporto tra sport e comunismo. Il personaggio e la storia che si portava dietro mi intrigarono subito, ben presto capii che in Italia, e in generale in Europa, era stato scritto molto poco, e in maniera frammentaria, su di lui, per non parlare delle distorsioni della stampa occidentale dell’epoca. Ciò che avveniva al di là della cortina di ferro veniva riportavo con superficialità e approssimazione, prendendo per buone le “verità” degli apparati del Partito.

Cosa ti ha più affascinato di lui, il grande talento in campo o le vicissitudini avute fuori?

Entrambi gli aspetti. Leggendo i resoconti e le testimonianze dell’epoca e intervistando chi come lo scrittore e storico inglese James Riordan l’aveva visto giocare dal vivo, mi sono reso conto dell’eccezionalità tecnica di Streltsov. In un calcio, quello sovietico, fatto di automi e di schemi ripetuti ossessivamente, lui si distingueva per estro e improvvisazione. Ne era un esempio il cosiddetto “tacco alla Streltsov”, uno stratagemma che non di rado scompaginava gli spartiti degli avversari. Fuori dal campo è stato una sorta di George Best ante litteram. Voleva vivere la vita come un ragazzo di New York o Parigi, vestirsi alla moda, concedersi ai piaceri, giocare per la squadra della fabbrica Zil anziché per quelle direttamente controllate dagli apparati statati. E invece doveva incarnare il modello dell’atleta socialista, alla Jascin per intenderci. Non lo ha fatto e la sua carriera venne spezzata.

Quando si parla di Streltsov si usa spesso il soprannome di “Pelè Bianco”, trovi esagerato tale paragone?

Di sicuro, nell’immaginario collettivo degli appassionati russi, Streltsov era il loro “Pelé”. Metterli a confronti sarebbe improprio, semplicemente perché l’esperienza nel gulag segnò irrimediabilmente la carriera di Streltsov. A 21 anni era un talento pronto ad esplodere a livello internazionale. La stampa occidentale lo osannava. Basti ricordare quanto scrisse Gabriel Hanot, il fondatore del Pallone d’Oro: aveva “una statura da semidio” ed era “la più grande promessa del calcio mondiale nel ruolo di centravanti”.

Ancora oggi a Mosca il nome di Eduard Streltsov resta ancora un po’ nell’ombra, nonostante la statua presente vicino allo stadio della Torpedo: è un retaggio dell’ostracismo messo in atto contro di lui ai tempi?

Probabilmente è riconducibile alla difficoltà della Russia di fare i conti col suo passato. I tifosi delle vecchie generazioni, però, lo ricordano con affetto. Nel 2001 venne costituito un comitato per la sua riabilitazione, con la partecipazione del campione di scacchi Karpov e del sindaco di Mosca e Lužkov. Il comitato produsse prove a discolpa di Streltsov, in merito al caso di stupro del 1958, denunciando quella che a tutti gli effetti sembrava una sentenza politica. Venne chiesto di riesaminare il caso e di riaprire il processo ma le autorità non fecero nulla.

Credi che con Streltsov in campo l’URSS avrebbe potuto ambire al successo nei Mondiale del 1962 e del 1966? Avrebbe anche potuto concorrere per il Pallone d’Oro?

Vincere forse no ma fare meglio dei quarti del 1958 e del 1962 probabilmente sì. Basti pensare che nel 1958 l’Urss venne battuta dalla Svezia, la stessa Svezia alla quale tre anni prima Streltsov rifilò una tripletta nel suo debutto con la nazionale. E sì, avrebbe potuto dire la sua per il Pallone d’oro, visto che nel 1957, a 20 anni, si era già piazzato al settimo posto.

Alla luce del tuo lungo certosino lavoro di ricerca, credi che il suo nome vada riabilitato?

Non ho queste pretese, considerando che non ci riuscì nemmeno il comitato sorto a Mosca nel 2001. Ma sono orgoglioso di aver fatto conoscere più a fondo in Italia la storia di un talento soffocato da un regime autoritario, che avrebbe meritato una sorte migliore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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