BUONGIORNO SIMONE, E GRAZIE PER AVER ACCETTATO QUESTA INTERVISTA.
Grazie a voi per la stima, è un piacere.
CHI È SIMONE GALEOTTI E COME NASCE LA SUA PASSIONE PER IL CALCIO E LA LETTERATURA CALCISTICA?
Sarei propenso a rispondere come Ulisse nell’antro di Polifemo, “nessuno”, ma so che non posso cavarmela con così poco, seppure la risposta sarebbe già esaustiva. Diciamo, allora, che ho una laurea in storia contemporanea e tuttavia, invece di discorrere di Rivoluzione francese o Risorgimento, faccio tutt’altro per vivere. In ogni caso, la storia, e non il pattume storicista (quello è un’altra cosa), ha contribuito molto al mio avvicinamento al calcio, perché in fondo ogni club ha una sua genesi e una sua dinamica sociale e spesso anche politica attraverso i decenni. Ecco come nasce la passione in sintesi: dal voler apprendere cosa significasse uno stemma impresso su una divisa da calcio, decifrare il significato di un simbolo e il perché dei suoi colori. E poi naturalmente ci sono state le letture in ambito sportivo, che alla fin fine di solo ambito sportivo non parlavano mai: questo era il loro fascino. Parlo innanzitutto di grandi giornalisti: Ormezzano, Caminiti, Brera, un’assoluta apologia di bellezza messa in parole.
CHI COME ME HA LETTO TUTTI I TUOI LIBRI SI RENDE CONTO CHE TI PIACCIONO DUE TIPI DI CALCIO: QUELLO ANGLOSASSONE E QUELLO ARGENTINO. COME MAI UNA PASSIONE PER DUE TIPOLOGIE DI CALCIO COSÌ LONTANE, E NON SOLO GEOGRAFICAMENTE, FRA LORO?
Il calcio nel mondo è figlio di una stessa madre (l’Inghilterra) eppure non esistono fratelli, con il massimo rispetto per la signora Albione. Intendo dire che l’Inghilterra ha gettato la palla e consegnato le regole, poi ognuno vive questa disciplina secondo i propri parametri di cultura e tradizione, poiché il calcio, essendo il più popolare degli sport, il più genuino, è il più propenso a scendere a patti con usi e costumi di un Paese. Solo oggi, purtroppo, con l’avvento non sempre propedeutico della globalizzazione, si stanno stemperando le differenze e comincia a ridursi anche lo scarto etnico e tecnico, per esempio fra Football e Fùtebol. Il mio interesse per il calcio praticato in queste due terre così apparentemente diverse (dico apparentemente nel senso che ci sarebbe da fare un discorso lungo, diciamo antropologico, ma ci porterebbe via troppo spazio) risiede essenzialmente nell’atmosfera, nell’unicità dei loro palcoscenici, nell’amore incondizionato, quasi mistico dei sostenitori che in modi differenti, ma pur sempre di eguale sentimento, elargiscono durante una partita e non solo. Difficile trovare altri campionati con la stessa viscerale identificazione fra tifoso e squadra.
IN CHE COSA SONO SIMILI ARGENTINA ED INGHILTERRA ED IN CHE COSA DIVERSE?
Negli anni ’90 ho avuto la fortuna di vivere molto l’Inghilterra per dei viaggi studio e in un’occasione sono stato una settimana fra Buenos Aires e La Plata. È chiaro che posso dare un giudizio molto più approfondito sull’Inghilterra che sull’Argentina. Direi che in linea di massima, però, ci sono le classiche differenze fra una società tipicamente latina e cattolica e una anglicana presbiteriana e anglosassone di matrice. Da italiano ti senti sicuramente più a casa a Buenos Aires; l’Argentina è l’unico Paese al mondo in cui la maggioranza della popolazione è di discendenza italiana: più di 20 milioni di persone hanno infatti origini italiane, di cui circa 600 mila con doppio passaporto. Tutti quei cognomi di emigrati ti fanno accapponare la pelle se ripensi alle loro peripezie e al loro enorme sacrificio, quegli odori inarrivabili delle strade di Baires, il mare, l’asado con le sua corte di morcillas sulla grata, e poi l’incredibile passeggiata lungo il Caminito con la gioia di un tango ballato fuori da un caffè. In Argentina, dove l’idioma spagnolo è più musicale, più brillante, ti senti parte integrante e speciale, mentre in Inghilterra sei più isolato culturalmente: semplicemente ti intrufoli nelle loro vicende nei panni di un entusiasta spettatore o visitatore di luoghi dal fascino sorprendente, come di fronte a una bucolica campagna puntellata di cottage dal tetto di paglia e possenti abbazie. E aggiungiamoci naturalmente tutta una letteratura: dal gotico al fantastico, al noir, al giallo, che da sempre ci ha fatto sognare. Gli inglesi (a cui io comunque per affinità elettive preferisco gli scozzesi…) hanno il senso della storia, l’argentino lo percepisce in maniera meno fluviale, spesso rasentando troppa discrasia fra verità e leggenda. Non mi esprimo sul problema Falkland o Malvinas, perché analizzando la questione delle isole a mente fredda si può tranquillamente affermare che le ragioni possono essere equamente divise e quella guerra fu solo portatrice di inutili sofferenze.
QUINDI, ALLA LUCE DELLA TUA RISPOSTA, MEGLIO IL CALCIO BRITANNICO O ARGENTINO E PERCHÉ?
Ma ti dirò alla fine è come scegliere tra due donne bellissime: forse al pomeriggio meglio lo stile del calcio britannico con un bel the caldo o uno Scotch Pie and Bovril sotto una pioggerellina debole che loro chiamano allegramente “drizzle”; alla sera direi meglio la sensualità del calcio argentino, dei suoi “papelitos” che fanno tanto Natale dell’anima, di corde pizzicate di una chitarra al chiaro di luna, e dei suoi passi di ballo sotto il cielo a picco di Baires mentre tutto lo stadio salta con l’hinchada.
UNO DEI TUOI LIBRI È DEDICATO COMPLETAMENTE A BRIAN CLOUGH. CHI ERA BRIAN CLOUGH? E COME MAI HAI SCELTO DI DEDICARGLI UN LIBRO INTERO?
Clough ha avuto il merito di spezzare la bizzosa aristocrazia del calcio inglese incuneandosi dentro gli anni ’70, rivoluzionando soprattutto la forma dell’approccio giornalistico nei confronti dei media e quello mentale nei confronti nei giocatori. Non solo, lui si è sempre schierato in prima fila di fronte ai problemi sociali che attanagliavano il Paese: più di una volta a Nottingham ha dormito insieme ai lavoratori che facevano il picchetto davanti alle fabbriche di carbone nel periodo complicato degli scioperi e delle riforme liberiste della signora Thatcher. Quella di Brian Clough è stata una sorta di rivoluzione, scandita da un modo di giocare a ritmi veloci, pieno di ritmo, con la novità della palla a terra, il pressing e le improvvise aperture sulle fasce. E dietro, una difesa rocciosa che chiudeva la saracinesca contro gli attacchi avversari. Il “Gaffer” era un misto tra un insegnante, un sergente maggiore e un padre, e aveva con i ragazzini che bazzicavano la prima squadra un rapporto molto più stretto e profondo di quanto non si faccia oggigiorno. In tutto questo non va mai dimenticato il suo mentore, Peter Taylor, per alcuni addirittura considerato il vero allenatore fra i due. In ogni caso vincere due Coppe dei Campioni in una cittadina non certo metropolitana come Nottingham è stata un impresa alla pari della favola di Robina Hood e della banda di Sherwood.
È LUI IL PERSONAGGIO DA TE DESCRITTO CHE HAI AMATO DI PIÙ?
No, ma certamente rientra fra quelli a cui ho riservato maggiori attenzioni.
FRA LE SQUADRE CHE HAI DESCRITTO NEI TUOI LIBRI, QUAL È QUELLA CHE AMI DI PIÙ O COMUNQUE SENTI PIÙ VICINA A TE?
Non ho una squadra particolarmente in simpatia rispetto ad altre: mi interessa l’intero movimento, anzi trovo che spesso nei meandri dei piccoli club, nella non League per esempio ci siano storie molto più educate e sensibili di quante se ne possa trovare nella ormai miliardaria Premier. Ovvio poi che quando senti le note di “You ll’never walk alone” o quelle di “Hey, Jude” o “When the saints go marching in” non puoi restare inebetito, qualcosa ribolle, che sia cantato a Parkhead da quelli del Celtic o ad Anfield dai supporters del Liverpool, o in altri stadi di fama. Ma d’altra parte sulle canzoni, sulla musica in Gran Bretagna mica puoi insegnargli nulla. E in Argentina? Laggiù cantano per 90 minuti consecutivi e se ce ne fosse bisogno continuerebbero a cantare senza soluzione di continuità, meravigliosi, struggenti, speciali. Da noi senti un paio di cori e poi lunghi, interminabili silenzi, se si eccettua qualche situazione un po’ più calorosa a mio avviso in città particolari tipo Genova, Firenze e Roma o Napoli, senza offesa per nessuno.
E IL LIBRO A CUI PIÙ SEI LEGATO?
“British Corner”: il primo non si scorda mai.
AMMESSO CHE CI SIA, QUAL È IL FILO CONDUTTORE CHE UNISCE I TUOI SCRITTI?
Direi la voglia di raccontare il calcio in maniera non cronologica, non ortodossa, con enfasi pur non eccedendo nella retorica anche se alla fine non guasta mai se usata nelle giuste dosi, e poi con ampie divagazioni nella storia e negli incipit da romanzo.
PERCHÉ I LETTORI DOVREBBERO LEGGERE I TUOI LIBRI?
Beh, forse per la curiosità di scoprire degli aneddoti poco conosciuti, squadre dimenticate da Dio e tenutarie di piccole grandi-imprese che viste alla luce di oggi strappano una lacrima e un sorriso.
C’È QUALCOSA CHE VORRESTI AGGIUNGERE?
No, solo leggete: non sto parlando delle mie cose, ma più in generale vi dico di leggere, e, se possibile, fare un viaggio nei luoghi che più vi hanno colpito dalla lettura, sarà un modo per entrare totalmente in empatia, in comunione affettiva con quei posti e farci risuonare le parole stampate nei libri, un’esperienza che consiglio vivamente a tutti. Un saluto.
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